i racconti erotici di desiderya |
L'odore dei fiori 1989 |
Gli occhi socchiusi , l’odore dell’erba, del fiore di cipolla. Lo stradello ripido là dove compie la grande curva, si inoltra in questa specie di paradiso fresco, un muro di cespugli che sembrano sbarrare con tenerezza la strada verso questa piccola radura verde , prato spontaneo, colori, margherite bianche e gialle e tanti di questi fiori di cipolla selvatica. Le ginestre sono più su , altezzose, nobili e fitte. Questi sei metri che portano ad un piccolo prato scosceso nascosto dai fitti cespugli sono un dono prezioso. A mezz’ora da casa l’angolo dei pensieri, il mondo che io e Pino scoprimmo tanti anni fa , quando per la prima volta facemmo l’amore qui sull’asciugamano per poi rotolandoci sull’erba. Sensazioni mai dimenticate quando sognavo, quando credevo che tutto sarebbe stato meraviglioso. Quanto tempo fa ? Una vita, tre lavori, due figli fa, mille sbagli, e ora mi avvicino pericolosamente ai 40 anni che pesano, improvvisamente. Non ho motivi seri per essere così stanca e depressa, lo so. Ed allora solo questo posto mi consola e offre un filo d’ombra alla mia anima arsa. Lui lo sa, mi conosce, attende silenzioso e paziente che il momento mi passi. Quella passione, quella curiosità che ci aveva unito e stimolato si è persa prima nei pannolini, poi nelle febbri, poi nei problemi economici, infine nelle tante cose che accadono a tutti. Ed io che pensavo che a noi non sarebbero mai successe. Passerà, ha detto Pino.
Lo so. Ma è dentro di me che la fiamma non si alza, che tutto mi sembra piatto. Le mani sul prato a strappare fili da odorare ad occhi chiusi, la gonna leggera sollevata a cercare frescura per le mie gambe accaldate , gli occhi chiusi per lasciare entrare quel filo d’azzurro intenso tra le ciglia appena sollevate per godere del dolore causato dalla luce accecante. Riflessioni, sonno, stanchezza mentale, tristezza, e soprattutto ansia. Non mi sento più in grado di nulla, di amare di piacere, di vivere. Pensieri duri e persino rumorosi. Tanto rumorosi che non mi sono neanche accorta del giovane (certo meno di trent’anni) che ha forzato il muro verde ed è penetrato nella “mia” radura e mi guarda con curiosità e sorpresa. Asciugamano sotto braccio , fermo in piedi, sconcertato, incerto. Poi il mio immobilismo lo conforta. Avrei potuto e dovuto ricompormi, tirare giù la gonna a coprire gli slippini praticamente all’aria, ma sarebbe stato un gesto goffo e timido che non mi sento proprio di fare. Non mi è venuto spontaneo coprirmi e non l’ho fatto. In fondo qui è come si fossimo al mare che non abbiamo, una specie di spiaggia in collina per chi ama l’abbronzatura ma non pensavo che altri conoscerlo questa piccola radura. Torno a stendermi chinando la testa da un lato, occhi socchiusi come prima, tra le palpebre e le ciglia lo osservo, lo percepisco. Cerca un punto meno scosceso , stende l’asciugamano ad un paio di metri da me, spostato sulla mia destra, torna a guardarmi per un attimo, sembra indeciso, poi rassicurato dalla mia immobilità, inizia a spogliarsi, guardandomi di tanto in tanto. Maglietta, calzoncini, e ancora uno sguardo, un attimo di esitazione, e improvvisamente con gesto deciso, si sfila anche lo slip restando nudo senza neanche tentare di coprirsi. Un bel corpo, muscoloso ma non troppo, senza troppi peli sul petto ma ben concentrati là dove lo sguardo non può che essere attirato dal cospicuo chiarore che emerge dalla foresta nera. I pensieri di prima svaniscono. Me lo godo tra le ciglia, contenta di potermi concedere questa visione che sa di “ libera trasgressione” mentre lui si volta, mi mostra glutei piccoli e molto atletici, poi si stende, pancia in sotto, testa verso le mie gambe che sono restate scoperte e dischiuse a sentire lo stimolante soffio del vento sull’inguine sudato e sullo slip traforato, ostacolo effimero al suo sguardo ora fisso e costante. Proprio lì, lo sento. Non una parola, solo sguardi che indagano e frugano, tra due sconosciuti che sembrano distanti eppure forse inseguono gli stessi pensieri. E faccio una cosa che non mi sarei mai sognata di poter fare. Ad occhi chiusi conscia di essere osservata, senza alzarmi, sfilo la maglietta ( sotto non ho niente) poi, facendo arco, la gonna e senza esitazioni anche lo slip. Nuda come lui. Mi ristendo quieta, disturbata solo dal tambureggiare del cuore emozionato e sorpreso dall’improvviso sforzo ma soprattutto da tanto ardire e…senza mio marito. I suoi sguardi li sento graffiare l’interno coscia, li avverto insolenti e insistiti, e non mi oppongo. Anzi impercettibilmente mi giro verso lui, piego le gambe e le dischiudo offrendogli una visione completa e chiara mentre sento un diverso calore assieme al vento che gioca sulla vetta delle mie emozioni , penetrare laddove si stanno aprendo percorsi per me quasi dimenticati, in questi ultimi tempi, di piacere. Schiudere. Il pensiero, la fisicità del pensiero mi trascina, si impossessa della mie sensazioni, di proibiti sogni che riguardavano proprio sconosciuti, quasi sempre controllati gestiti da mio marito e per una volta privi di catene e del bisogno di comunicarli. Come se questa cosa risvegliasse una parte di me assopita e della quale, ora lo capisco, sentivo la mancanza. Intravedo ancora che si è messo in ginocchio per sistemare meglio l’asciugamano verificando che la potenza , la forza e l’attrazione della mia idea oscena hanno preso forma e consistenza in lui. Forma che desidero improvvisamente, che sento dominante e dolcemente brutale , che vorrei possedere, toccare, amare, persino mangiare, ben sapendo però che non farò nulla di tutto questo. Sola, nuda, con uno sconosciuto che indugia a guardarmi tra cosce dischiuse che non ne vogliono sapere di conservare un pizzico di riservatezza. Immobile ed in tumulto. E’ il vento, la brezza appena tiepida, a sollecitare il mio piacere, a verificare la mia eccitazione laddove niente più ostacola il fresco contatto tra aria e umidità sempre più intensa e scandalosa e che non posso e non voglio frenare. Il sole regala calore a zone che non l’hanno mai conosciuto e il soffio lenisce lo strano “tocco caldo”. Mi abbandono così senza difesa e senza alcun timore pudico a sguardi e pensieri per me sino a poco fa distanti. Mentre sto godendo della mia inattesa piccola perversione, sento scorrere sul mio volto un’ombra. Una nuvola? Percepisco un movimento ma qualcosa mi impedisce di verificare la genesi di quell’improvvisa eclisse. Sia quel sia, niente che possa sacrificare la mia immobilità e il piacere della pudicizia violata. Così quando sento la mano dello sconosciuto poggiarsi lieve ma decisa sul mio monte di venere il sussulto che mi causa mi pare niente di fronte all’immediato tormento che mi infliggo imponendomi l’immobilità, l’estraneità alla sua manovra come se il corpo non fosse il mio. Lui sfiora i peli con il dorso della mano, verifica l’umidità sudata dell’inguine con la punta del dito risalendo poi su e sfiorando con il palmo la fonte del mio calore interno. La sua mano mi possiede. Con insolita delicatezza, ruba i miei pensieri più riprovevoli e li convoglia in un solo punto, dove la carezza si fa insistita e sapiente, penetra senza forzare, esplora senza voler conoscere ma solo per darmi qualcosa, per condividere il piacere di un tocco dolce e assurdo. Mi arrendo. Stendo le gambe dischiudendole e non riuscendo più a trattenere il lamento che so di emettere ma non sono in grado di sentire. Non cambia ritmo, non chiede altro. La sua mano ignota è quanto desidero ora, quello che serviva. Senza prepotenza ma con determinazione insiste a cercare quella cosa che sa essere ormai diventata il mio unico obiettivo. Il piacere, quell’orgasmo liberatorio che solo in questo modo, da una mano sconosciuta, non porterà con se rimorsi, vergogne e paure: mi piace, me la godo. Cosa c’è di più naturale accettare di piacere ad altri, sentirlo materialmente? Punto i talloni, mi inarco, spalanco gambe e cedo alla potente forza estranea che ora mi avvolge senza più segreti e senza più dolcezza per farmi esplodere in un urlo violento e selvaggio che mai mi è capitato di emettere mentre i sussulti catturano la sua mano stretta tra le mie cosce che vibrano. E resta così un istante o un’ora, lui. Non lo so. Tutto il tempo di sentire i muscoli che si rilassano di sentire la sua mano umida abbandonare la profondità dove ha saputo scovare un piacere nuovo e regalarmelo. Ho sete. Ma anche tenerezza e riconoscenza. Sembra pago, non fa altro. Lui si stende sull’erba accanto a me. Lo vedo ora ansimare e vedo l’eccitazione che lo ha catturato e la forza della sua passione che provoca violenti sussulti, tensione dolorosa evidente e straordinaria nella sua eleganza e nella sua irruenza. Non penso neppure a quello che sto facendo. Stavolta sono io a scattare in ginocchio e lui a tenere gli occhi chiusi senza una parola, senza un commento, solo un sibilo tra le labbra quando mi impossesso io della sua arma di piacere e ora, lo sento, di dolorosa tensione, quando le mie dita lo cingono con forza e senza neanche l’ombra della vergogna mi sistemo in modo da poterlo osservare vicino. Niente ritegno o paura. Mai visto così al sole e al vento nelle mie mani tanto desiderio, mai odorato così forte il sentore di maschio, mai stata così avida nel tirare giù la sua pelle, nel denudare il vertice del suo potere e lasciarlo qualche istante così , per osservarlo bene, per godere dei piccoli sussulti del suo corpo, per accompagnare con l’altra mano una carezza lieve che scende sino alle rotondità inferiori strette e compatte nella pelle indurita e irrobustita dall’eccitazione della carezza. “Mi sento Regina, maitresse e signora di un piacere che sento prendere sempre più corpo tra le mie mani, tiranna e padrona di un corpo bello e ignoto totalmente affidato alla mia carezza e al potere del palmo della mia mano. I movimenti sono dettati dall’anima e dall’eccitazione che avverto, guidati dai suoi sospiri. Ora sfioro, ora torno a coprire con le mani il simbolo della sua sottomissione sempre più protesa verso il cielo. Copro e poi riscopro, magari con forza, con uno scatto prima, poi lentamente a scendere e ancora a salire la scala del suo ultimo tratto di piacere. Solo quando sento tutto il suo corpo appartenermi e dipendere da me, fremere grazie alla stretta della mia piccola mano dai capelli ai talloni, solo quando vedo i muscoli delle gambe contrarsi ed il respiro farsi più veloce e i pettorali disegnare strane linee, solo in quel momento sento che posso avvicinare il viso, usare la guancia lisca a lenire la sua tensione mentre la mano sa da sola come compiere movimenti sino a pochi istanti prima ignorati. La forza del suo sogno erotico esplode con un urlo identico al mio, libera fiumi di emozioni dense e ricche di piacere che accetto ovunque, fronte, capelli, viso, labbra, mentre le mie mani si fanno dolcissime e tenere per raccogliere gli ultimi spiccioli del suo tremore. Solo sospiri e due urla tra di noi. Si rilassa lentamente mentre continua lenta la mia carezza e immagino le mie dita immerse nella schiuma di un mare lontano e di cui stranamente avverto ancora il sapore salato (e di mandorla) tra le mie labbra. Solo quando lo sento chetato mi alzo e lascio la presa divenuta dolce, interrompo il movimento lento che aveva accompagnato gli ultimi rantoli e sospiri. Non apre gli occhi. Spero che non lo faccia perché in questa posizione si vede quel po di pancia e la cellulite che mi riportano alla mia realtà e spezzerebbero l’estasi. Ma lui resta immobile mentre mi pulisco il volto ed i capelli con il mio asciugamano, indosso lo slip, rimetto la gonna, la maglietta e senza dire una parola mi avvio verso la siepe che nasconde lo stradello . Mi volto. Il sole ed il vento hanno avuto subito la meglio su quella schiuma che tanto piacere ci ha regalato. E’ ancora steso immobile, bello e sconvolgente come questo momento fuori dal tempo e dalla realtà. Mi sento diversa, serena.. Qualcosa dentro di me è cambiata. Gli spedisco un bacio, affidato al vento mentre l’odore del fiore di cipolla si mescola con l’odore forte di quella schiuma catturata dalle mani in un folle pomeriggio d’estate. Ho bisogno di tornare a casa, di riprendere con mio marito quel discorso interrotto, di dirgli che ci sono spazi miei che posso scegliere di condividere con lui e che però da lui non dipendono. E so che lui lo accetterà. Lo amo per questo, mi sto dicendo, finalmente sollevata. |