i racconti erotici di desiderya

Zaira

Autore: In Barca
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Che fosse un’insegnante d’inglese l’ho scoperto dopo, perché me lo aveva detto lei, in un momento di chiacchiera sul nulla. Ma che fosse insegnante o qualcos’altro a me poco interessava. Importante invece era il fatto che lei era la nuova inquilina del miniappartamento di fronte alle finestre della mia camera, quello dove fino a poche settimane prima abitavano dei miei compagni di corso. Le serrande di quell’appartamento erano rimaste a lungo abbassate, poi si erano riaperte quando una signora ha pulito a fondo quel mini, infine con lei, Zaira.

Sui 35 anni, riccioluta, castana, piccolina, ben fatta, appetitosa, aveva preso possesso di quella stanza con angolo uso cucina e servizi all’inizio della primavera. Io studiavo tutto il giorno, lei usciva la mattina e rientrava il pomeriggio, tirava su la serranda, non troppo però: in pratica le spalle e la testa restavano sempre coperti. Di sera era diverso, perché la luce faceva risaltare la sua figura e i suoi gesti. Io ogni tanto buttavo l’occhio, incuriosito e anche speranzoso. Ma non era mai accaduto nulla. Quando era l’ora di dormire abbassava tutto e buona notte.

Fu ai primi di aprile che lei entrò e vidi che si spogliava. Rimasta completamente nuda era poi sparita chissà dove, per riapparire poco dopo con un asciugamano allacciato sotto le ascelle. Si era fatta una doccia, probabilmente. Poi però aveva tirato le tende. Non ho mai capito se si fosse accorta di me, che certo non facevo nulla per nascondermi: avevo la scrivania di fronte alla finestra e dunque giocoforza ero lì, che lei ci fosse oppure no. La scena della doccia si ripeté abbastanza spesso, ma nuda come quella volta non la vidi mai: al massimo in mutande. Poi spariva e riappariva col solito asciugamanone. Una volta entrò con un ragazzone grande e grosso, tra le cui braccia lei si immerse quasi completamente. Ma le serrande vennero abbassate e ciò che accadde potei solo immaginarlo.

Ormai quella figura era diventata una costante: una coinquilina che salutavo mentalmente ogni giorno e che mi sarebbe piaciuto conoscere, però non sapevo come. Può sembrare incredibile, ma avere orari diversi e abitare dai lati opposti di una strada può essere il motivo per rimanere degli estranei per tutta la vita. Il caso mi aiutò: una domenica sfilarono sotto casa le maschere di carnevale ed entrambi ci affacciammo per vederle. Io avevo la mia fida fotocamera, con la quale scattavo foto, sia a quanti stavano passando in strada sia a lei, la dirimpettaia. Non molte, due o tre. Le stampai, le misi in una busta e le infilai nella cassetta delle lettere che sapevo essere sua, almeno ne avevo la ragionevole certezza, dal momento che in precedenza era quella dei miei compagni d’Università. La targhetta diceva Zaira Viandanti. Nome curioso.

Non accadde altro, se non che quando ci incrociavamo nei rispetti appartamenti ci sorridevamo, come non fossimo più estranei. In compenso le fugaci visioni del suo corpo sparirono del tutto: lei aveva preso le sue precauzioni di fronte al curioso che abitava davanti a lei.

Io però mi ero ormai messo in testa di approfondire la nostra conoscenza, ma non sapevo come. Il ghiaccio poteva anche dirsi rotto, ma sono timido e non sapevo come portare avanti il discorso. Mi venne un’idea tanto cretina quanto banale, che però si rivelò efficacissima. La mattina appiccicai alla mia finestra un bel foglio protocollo, sul quale c’era scritto a caratteri cubitali: “posso venire a trovarti?”. Il pomeriggio, stesso mezzo, arrivò la risposta “sì”. Com’è strano il mondo, e piccolo e facile.

Scesi, attraversai al strada e suonai, rispondendo semplicemente “sono io” alla sua richiesta di identificarmi. La porta è semiaperta, lei è sull’uscio “Ciao, entra pure” mi dice. Io entro, intimorito, e scopro che praticamente mi aveva preparato la cena, buona, leggera. Ci siamo seduti, quattro chiacchiere, conversazione di routine, io faccio questo tu fai quello, ma non riuscivo, o forse non riuscivamo, a trovare l’occasione per andare oltre, per realizzare qualcosa che, ne ero sicuro, era nei desideri di entrambi. Lì appresi che insegnava inglese al liceo scientifico della città. No, io solo studente fuori corso. Esaurita anche la frutta, non avevo più motivo per rimanere e non avevo altri argomenti da trattare e non avevo ancora combinato nulla.

Mi alzo per andarmene e mi avvicino alla porta, lei mi accompagna. Mi giro, la guardo: aveva delle belle labbrone provocanti, piccolina, più vecchia di me ma non di molto. Insomma quasi ci salutiamo, poi la guardo negli occhi, rompo gli indugi e la abbraccio. Un bell’abbraccio, con bacio forte, penetrante, la lingua sua che entra nella mia bocca quasi con violenza. Insomma io la abbraccio ma è lei a baciarmi, a trafiggermi con la lingua, frugandomi dappertutto. Questo, unitamente a tutta la voglia repressa nel corso della cena, ha come effetto una immediata e violenta erezione da parte mia, che lei prese a gustarsi strofinando il suo piccolo ma ben tornito corpo contro di me, per sentire bene se quello strano turgore era ciò che pensava e le piaceva o qualcos’altro.

Fu lei a dire: “adesso no, che non ti lascio andare”. Si stacca da me e mi trascina verso il letto, mi spoglia, la spoglio. Risponde perfettamente alle aspettative, è piccola, soda ed eccitata. La bacio e la lecco sul viso, con una mano le tocco il sesso mentre lei allarga leggermente le cosce per favorirmi. E’ bagnata, ha le grandi labbra turgide. Anche le labbra lo sono. La prendo in braccio e la sdraio sulle coperte, la bacio tutta. Mi piace leccare quelle sue tette dure ed erette anche in posizione supina. Ma è il gusto della sua vagina ad inebriarmi. L’umore le cola, è dolce, invitante. Lei afferra il mio sesso, lo cerca a sua volta con la bocca, mi sdraio accanto a lei, nella classica posizione del sessantanove. Ha una bocca abilissima, una lingua intelligente. Mentre io la lecco lei mi fa venire, ingoiando il mio seme. Ma non smette, anzi prosegue finchè non mi ritorna duro.

Non c’è che dire, ci sa fare davvero: mai nessuna era riuscita a farmi tre pompini di fila e farmi sentire ancora la voglia. Abbiamo fatto sesso per ore, ci siamo leccati fino a consumarci la lingua, siamo venuti entrambi più volte. Poi lei si è girata e io le ho sfiorato il buchino. Lei ha sussurrato “in culo, sì, in culo”, ma al primo tentativo chissà perché si era ritirata, forse non era pronta, forse era una fantasia superiore alle sue vere possibilità. Perciò l’ho presa alla pecorina, limitando alle dita il compito di esplorare la parte terminale del suo intestino, cosa che lei ha dimostrato di gradire davvero. Abbiamo avuto orgasmi senza soste, ma ormai l’ora era avanzata. Ci siamo salutati, mi sono rivestito, ho riattraversato la strada.

Il giorno dopo era rientrata col suo grosso amico. Questa volta non aveva chiuso la serranda e ha lasciato che potessi assistere al suo amplesso con lui. Una forma di esibizionismo? No, era per farmi capire che quello era il suo uomo, e che io ero stato un’avventura passeggera. Ci siamo sentiti spesso, ma non abbiamo più ripetuto quella esperienza, eccitante e non banale, ma non suggellata dal sentimento.



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Leopardo78 Invia un messaggio
Postato in data: 19/09/2008 10:46:44
Giudizio personale:
davvero bello


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