i racconti erotici di desiderya

William

Autore: In Barca
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Quando mi superò in autostrada mi fu subito chiaro che sarebbe stato mio. Non avevo particolari elementi per dirlo, tranne l’intuito; qualcosa dentro di me mi diceva che avrei avuto quell’uomo che mi aveva sorpassato senza degnarmi di uno sguardo. Gli lampeggiai. Lui subito rallentò e lasciò che mi accodassi. Mi guardava dallo specchietto retrovisore e quei suoi occhi scuri mi penetravo nell’anima. Fui io allora ad accelerare e lo superai, guardandolo sfacciatamente mentre gli passavo accanto. Mi sorrise; io lo guardai come distrattamente ma lasciandogli capire che non mi era indifferente. Quando fui davanti a lui mi lampeggiò. Proseguii senza accelerare, fino all’area di sosta successiva. Segnalai con abbondante anticipo la mia intenzione di entrarci e lui mi seguì. Parcheggiai e mi diressi nei bagni. Lui aveva fermato l’auto accanto alla mia e mi seguì. Il bagno era squallido, come lo sono tutti quelli lungo l’autostrada. Però aveva anche qualcosa di affascinante e perverso.

Varcai la soglia, mi accolse una zaffata di odori nauseabondi. Possibile che li lavino poco e male, sempre. Entrai in una delle toilette e richiusi la porta metallica dietro di me. Non aveva lucchetto, come al solito. In compenso era ricoperta di scritte, inviti, offerte di ogni genere e numeri telefonici. Un attimo dopo sentii dei passi entrare. Era lui, ne ero sicuro. La mia era l’unica delle tre porte chiuse. Sentii che si apriva, spinta con delicatezza. Era proprio un bel ragazzo, moro, mediterraneo. Entrò spavaldamente, richiuse l’uscio alle sue spalle, appoggiandovisi con tutto il peso. Nessuno ci avrebbe disturbati. Mi accostai a lui, gli baciai il collo e corsi alla cintura. Era eccitato, avvertivo il suo sesso duro sotto i pantaloni. Glielo accarezzai, poi lo liberai dagli indumenti. Era invitante. Mi chinai e glielo presi in bocca, mentre lui mi tratteneva la testa sul suo sesso, accompagnandone i movimenti. Sentivo che la sua eccitazione cresceva, ma non volevo che venisse così. Lo volevo dentro di me. Quando capii che stava per esplodere mi fermai. Mi alzai, mi spogliai, mi girai allargando le gambe.

Avvertii le sue dita, inumidite dalla saliva, che mi lubrificavano. Poi il suo sesso che si appoggiava a me e mi entrava dentro, spaccandomi in due. Sembrava non finire mai. Poi terminò, purtroppo, per fortuna prese a muoversi, sempre più velocemente, spingendo con colpi ogni volta più forti, quasi violenti. Mi afferro le palle, accarezzandole, poi prese a masturbarmi, mentre le mie mani erano occupate a tenermi su, appoggiato al muro. Mi sentivo morire, ero pieno di lui. Me lo sentivo dentro, che mi apriva, allargava, facendomi godere, riempiendomi del suo piacere. Esplose dentro di me, esplosi anch’io, schizzando sul muro e sulle sue mani. Il nostro ansimare si calmò. Uscì dal mio corpo, anzi ne scivolò fuori. Mi sentii svuotato, in tutti i sensi, mentre lui accostava alla mia bocca le sue mani macchiate del mio sperma, che succhiai avidamente. Non disse nulla. Mi girai, ci baciammo con calore. Mi mordicchiava la lingua mentre me la succhiava. Mi diede un biglietto da visita e uscì. Mi ricomposi, uscendo anch’io fuori alla luce, come se niente fosse. Lo chiami quella sera stessa.

Ci demmo appuntamento in sauna, la sera successiva. E’ un po’ un carnaio, la sauna, e c’è sempre il rischio che ci sia qualche diverso. Lui era già dentro quando arrivai. Era bello, maschio, affabile sorridente. Volevo baciarlo. Mi salutò, parlammo del più e del meno, solo guardandoci, ascoltando il suono delle nostre voci. Poi venne a casa mia e dormì con me. Mi ebbe ancora e io ebbi lui. Era bello succhiarlo e fu fantastico bere il suo seme caldo e vischioso, acidulo e dolce nello stesso tempo. La nostra storia d’amore cominciò così, un po’ carnalmente, ma era invece una vicenda di affetti e di sentimenti. Vivemmo quasi due mesi come marito e moglie. Io avevo il mio lavoro e lui il suo, ci trovavamo la sera: una normale storia di coppia insomma. Anzi, non normale, straordinaria: quell’uomo possedeva il mio cuore e attraverso il cuore aveva tutto di me, non sapevo negargli nulla, neppure l’amore più bestiale, che sapeva però fare con tanta, tantissima dolcezza.

Poi i suoi rientri serali divennero meno regolari. Aveva molto da fare, straordinari per stare dietro agli ordinativi. Una volta mi annunciò che non sarebbe tornato a casa, quella notte, perché doveva andare a Roma. La settimana successiva stette fuori l’intera notte senza neppure avvertirmi, chiamandomi la mattina per augurarmi il buongiorno, dicendomi che aveva avuto imprevisti che l’avevano trattenuto quando sembrava sempre che potesse tornare e alla fine non aveva voluto svegliarmi chiamandoti. Io gli credevo. Ma la sua presenza, anche fisica, cominciava a mancarmi. Mi restava la voglia di lui, sentivo i miei desideri che non si placavano, cercavo il suo sorriso senza trovarlo, i suoi baci lontani, il suo corpo virile.

Le sue assenze si moltiplicarono. Pensai al peggio. Succede nel lungo cammino della vita che gli amori nascano e finiscano, si intreccino, si allontanino e si avviluppino. Cercai conforto, per così dire, nella solita sauna: un vizio antico, per me, ma sempre efficace- se non avevo l’amore almeno potevo avere sesso, che sapeva placarmi, almeno momentaneamente. Poi lui probabilmente aveva trovato la stessa cosa. Non era certo per rendergli pan per focaccia, ma giusto per trovare una mia stabilità. Alla seconda uscita incontrai un ragazzo, più giovane di me, biondo, forse anche tinto, occhi azzurri, un angelo, bellissimo. E simpatico, molto. Ci piacemmo subito e cominciammo a frequentarci saltuariamente. Era bravissimo: usava la bocca come pochi altri, ed era delicatissimo, sia quando mi prendeva sia quando si faceva prendere da me.

Per un paio di settimane non parlammo degli affari nostri, poi le confidenze e gli scambi di opinione divennero inevitabili. Gli parlai della mia relazione, del mio uomo divenuto fuggente, che ormai erano più le serate che non c’era che quelle che c’era. Mi tenni sulle generali, parlai del nostro rapporto, non di lui. Il mio nuovo amico mi raccontò di avere una vita molto intensa e vissuta e che ultimamente si incontrava con un uomo, due o tre sere la settimana, sempre lo stesso, che lo possedeva con foga e che lo faceva impazzire quando lo penetrava. Con lui era solo passivo e gli rendeva il piacere anche con gli abili guizzi della lingua. Me lo descrisse minuziosamente, lamentandosi delle sue troppe assenze serali. Meno male che non c’era molta luce, si sarebbe accorto del mio crescente pallore. Era lui, il suo uomo era il mio uomo. Porco, traditore. Lo ascoltai sempre più in silenzio, sempre più sconvolto, sempre più triste.

Piansi, quando tornai a casa, a lungo, disperato. Poteva dirmelo, l’avrei capito. Ma tradirmi così, mentendo: non quello non lo sopportavo. E aver anche conosciuto il suo amante mi aveva sconvolto. Lo capivo, era bello, quel giovane, ci sapeva fare, era di compagnia. Mi sentii perso. Tornai alla sauna. Ritrovai il ragazzo, feci finta di nulla. Eravamo soli e, sudati e accaldati, ci baciamo e ci cercammo. Poi gli dissi che avevo qualcosa da confessargli. Mi guardò in silenzio, come se si aspettasse ciò che stavo per rivelargli. “Sai”, gli dissi brusco, “credo che l’uomo che viene da te sia quello che frequento io”. E gli descrissi quei dettagli che solo chi era molto intimo poteva conoscere. Mi abbracciò, piangemmo l’uno sulle spalle dell’altro, infelici. Lui prese atto che lo tradiva con me. Io già sapevo che mi tradiva con lui. La mia segreta speranza era che una crisi di gelosia me lo restituisse per intero.

Ma l’amore conosce strade nascoste. Dal quel tradimento, da quell’episodio, capimmo entrambi che in realtà lui non faceva davvero per noi, era solo uno che si approfittava delle nostre debolezze. Quasi ci fossimo messi d’accordo, lo facemmo uscire entrambi dalla nostra vita, che riprese felice, facendoci rinascere nel nuovo rapporto che il caso aveva voluto costruire per noi.



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