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Una sconfitta vincente


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Usciamo dall’ascensore e ti seguo dentro uno stretto corridoio. Il tuo è un passo sensuale e lento. Ti fermi davanti alla stanza 18 ed io appoggio le mani calde sui tuoi fianchi, stringendoli sotto quel vestito nero che metti per le grandi occasioni, ma che per me sarà l’unico che io ti abbia mai visto indossare. Respiro il profumo dei tuoi capelli per sentire se è davvero quello che avevo immaginato. Tu mi offri il collo da baciare perché sai che mi ecciti. Io lo mangio atomo dopo atomo. Sento una scossa che ti infiamma la schiena e si scioglie tra le tue gambe, ma aspetto che tu apra la porta per spingerti in avanti e per spingermi contro di te come se volessi passare attraverso i tuoi indumenti. Non voglio farti sentire che sei tu la più forte. Non dico nulla, ma sono già eccitato e sto pensando a come farti pagare questa lunga pausa davanti ad una porta che sfonderei a calci. Finalmente fai scatatre la serratura magnetica ed entriamo nella stanza tra luci accese che ci aspettano. Ti giri verso di me e mi guardi respirando forte: vorresti che ti sbatta contro il muro, per ribadire il tuo essere vincente. Ma io non lo faccio. Vendetta. Io e te. I nostri occhi scuri. Le nostre labbra umide. Le nostre voglie palpabili. La nostra passione che preme. Fermi. Immobili.Vicini. Allunghi una mano curata dalle lunghe dita e me lo accarezzi, lo afferri, sopra il tessuto. Io immobile (ti avrei spinto contro il muro con la schiena inarcata). Ti stacchi con ironica aria di sfida e lanci le tue scarpe rosse con i tacchi alti in due diverse direzioni. Io mi appoggio al muro (ti avrei aperto le gambe e sollevata per i fianchi). Prendi la cerniera del tuo corto vestito nero e la fai scorrere lentamente. Metto le mani in tasca (sarei affondato tutto dentro di te, con un colpo solo). Cade a terra formando una macchia nera sul parquet giallo scuro. Alzo gli occhi alla ricerca delle tue mutandine. Non ci sono. Senza. Per tutta la sera. Piccole gocce illuminate dalla luce bagnano le tue cosce. Le accarezzi. Dondolo leggermente ma la parete mi trattiene in equilibrio (te lo avrei spinto dentro sempre più forte, fino ad arrivarti al cuore, al cervello, all’anima). Ridi. Io resto serio: patetico orgoglio. “Dai vieni qui” mi dici mentre segui con un dito e abbassi il pizzo rosso sopra i tuoi seni. I capezzoli emergono come isole nascoste. Non rispondo (occupato negli ultimi affondi violenti per farti urlare di un piacere virtuale). Il mio respiro però si sta arrendendo e le tue labbra restano socchiuse come le finestre dopo aver fatto l’amore. I ganci si aprono sotto le tue dita e le spalline inchinandosi cadono. Tu sei nuda. Stai ancora ridendo mentre ti afferro per i capelli e ti guido verso l’angolo più lontano della stanza. Ebbene si, non sono un uomo che vince quando combatte contro una donna nuda. Ma il suo corpo bianco e curvo sopra la spalliera di un divano, mi consola della sconfitta subita.


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