i racconti erotici di desiderya

Sogno di una notte d'autunno


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Passeggiavo per le strade di Ortigia, l'isolotto su cui si abbarbica il centro storico di Siracusa, la mia città natale, ero un pò alticcio, a causa del buon nero d'Avola di cui mi ero generosamente servito durante la cena a base di zuppa di cozze al pomodoro con crostini di pane e
caponata di melanzane, si, ero andato sul leggero, ma dopo l'ultimo
lavoro era il primo pasto decente che mi concedevo.
Ero un pò malinconico percorrendo le strette vie del centro,
illuminate malamente da lumi che ricordavano le vecchie lanterne ad olio.
Dove la luce non arrivava, i vecchi muri che chissà quante storie
potrebbero raccontare, trascoloravano dal giallo della luce al blu
chiaro della luna, che incombeva sopra la mia testa, dall'occhio
ciclopico, enorme ma non minacciosa.
L'aria era calda, profumata dai mille odori dell'isola.
Con gli occhi socchiusi girovagavo, riconoscendo angoli, luoghi, case, appartenenti al mio ormai lontano passato ortigiano.
Ad un tratto, lungo la via Alagona, vidi una traversa che non ricordavo: in alto un ponte di case chiudeva e tratteneva i due lati del vicolo, e, proprio sotto quell'arco, che incorniciava uno scorcio di mare irrorato di luce lunare, dalla parte sinistra del vicolo, una flebile luce gialla, proveniente dal vetro istoriato di un bistrot.
Non so cosa mi spinse ad avvcininarmi a quel posto, ce ne sono tanti così da queste parti, entrai spingendo una vecchia porta fatiscente, senza un nome, solo un piccolo mazzo di rosmarino rinsecchito fissato con una cordicella al centro del pannello.
Mi ritrovai in uno strano locale, scuro, illuminato da sole candele.
Non riuscivo a distinguere quasi nulla, forse perchè un pò ottenebrato dall'alcol, ma percepivo il suono di una chitarra che suonava una strana melodia antica, che risvegliava echi profondi nella mia anima.
io fondo un piccolo banco di mescita con una grande botte ovale, dei bicchieri che forse non venivano lavati molto spesso, uova sode, una grossa candela ed una vecchia donna grassa indifferente che strofinava controvoglia una brocca di vetro.
Trovai un tavolino in un'angolo della piccola stanza, addossato ad una parete su cui era addossata una lunga panca che la percorreva, mi sedetti, non sapendo bene cosa volessi farci, lì.
La donna grassa si avvicinò senza dire una parola, e mi mise davanti la brocca da mezzo che aveva riempito di un liquido bruno che, immagino fosse vino locale, sbattè un bicchiere opaco davanti a me e se ne andò ciabattando, facendo ondeggiare due enormi natiche vibranti di grasso.
Un pò sospettoso versai il vino nel bicchiere, dopo averlo ripulito col mio fazzoletto, e annusai, sembrava passabile.
Risultò buono, anzi, il suo sapore rotondo, saturo di mandorla, miele, e arancia, mi inebriò al punto che, senza rendermene conto avevo quasi svuotato la caraffa in pochi minuti.
Il mio sguardo reso sfocato dal vino cominciò a vagare per l'ambiente fumoso, soffermandosi su dipinti scadenti alle pareti, facce stanche, forse pescatori che affogavano la stanchezza nel vino, una battona, ma forse era un travestito di almeno ottant'anni, che ricambiò il mio sguardo con un sorriso seducente senza denti.
All'angolo opposto della sala, un pò appartata, c'era una coppia, che non avevo notato fino a quel momento.
Erano seduti ad un tavolo come il mio, uno di fronte all'altra.
La prima cosa che svegliò il mio assopito interesse fu lo strano modo in cui erano seduti.
Composti eretti eppur rilassati, gli avambracci e le mani appoggiate al tavolo, con le dita che si sfioravano, gli sguardi persi l'uno in quello dell'altra.
E poi, la mia mente che si disannebbiava, notò altro.
Lei aveva un abito di squisita fattura, nero,forse un pò vintage, con il corpetto trasparente di pizzo nero incrostato di decorazioni che non riuscivo ad intrepretare, che nascondevano appena due magnifici seni eretti, i capezzoli che premevano imperiosi contro la stoffa.
Lunghi guanti le coprivano fino al gomito le bianchissime braccia affusolate. Lunghi capelli di un rosso appena più chiaro del vino che avevo bevuto, morbidi e fluttuanti sulla schiena nuda, un piccolo cappello con una minuscola veletta evidenziava, più che nascondere, due occhi di uno strano viola intenso, un profilo meraviglioso, quasi una antica miniatura. Dallo spacco laterale della lunga gonna di raso nero usciva una gamba che avrebbe fatto invidia ad una star. Due scarpine tenute su da due striscioline di stoffa nere, tacco altissimo, calzavano piedi da capogiro.
Lui, in un'abito d'alta sartoria, rigoroso ma elegante, nero come l'abito di lei, camicia e cravatta in tinta, scarpe lucide e di foggia perfetta, aveva la stessa pelle bianca, quasi diafana della sua compagna.
I suoi capelli, nero corvino, di media lunghezza, incorniciavano un viso dai lineamenti forti ma piacevoli, due profonde rughe gli solcavano il viso, dal naso, vagamente aquilino fino alla bocca, dandogli un'espressione tra l'ironico e il sensuale. Gli occhi, poi, non meno magnetici di quelli della donna, erano di un nero incredibilmente profondo.
Mi sorprese l'esame che avevo fatto dei due nonostante l'alcol, e soprattutto di lui, visto il mio poco interesse, fino a quel momento, per il genere maschile.
D'un tratto, in perfetto unisono, ma non si erano apparentemente detti nulla, si girarono e fissarono esattamente l'angolo in cui mi trovavo.
Distolsi lo sguardo, imbarazzato, convinto in qualche modo di averli disturbati, e mi immersi nella contemplazione del mio bicchiere, ormai vuoto.
Ad un tratto avvertii la presenza di qualcuno accanto a me.
Era Lui che mi guardava dritto negli occhi, un leggero, sorriso sensuale si allargò su quel viso intrigante e, senza dire una parola, mi fece cenno di seguirlo.
Tutti e tre uscimmo dalla bettola, nell'idifferenza generale.
ci inoltrammo in un dedalo di viuzze che all'inizio riconobbi, poi non più.
finalmente un piccolo slargo si aprì davanti a noi.Una facciata barocca, arancio nella luce di un lampione, un portone che si apriva.
I miei sensi, pur obnubilati dal vino, mi trasmettevano segnali di eccitazione.
Una fuga di stanze, corridoi, grandi finestre che lasciavano entrare la luce esterna.
Alla fine una grande camera, un grande letto a baldacchino. Anche lì la Luna la faceva da padrona, rivelando ogni dettaglio dei mobili, dei quadri, delle finissime decorazioni delle pareti, degli stucchi.
Come in un sogno vidi lei togliersi lentamente, e nel più totale silenzio, il cappellino, il vestito,sotto non portava nulla,e infine le piccole scarpe. Era di una bellezza perfetta eterea e carnale allo stesso tempo, trasudava sensualità e purezza allo stesso tempo. Rimase li, nuda, vestita solo di luce.
Poi fu il turno del suo compagno. Con eleganza, tolse la giacca, la cravatta e la camicia, poi in un unico gesto si sfilò i pantaloni, mostrando un corpo scolpito nel più puro dei marmi, un membro di dimensioni notevoli, già eretto, come il mio, d'altronde, che ormai disperato per essere sacrificato nei pantaloni, era al limite della sopportazione.
In un'attimo di lucidità mi chiesi perchè due meravigliose creature come quelle dovessero essere interessate ad un uomo di mezza età, massiccio e peloso, anche se, mi fece dire la mia vanità, ritenuto abbastanza sexy...
Ma smisi di pormi domande, quando, sempre in silenzio, rotto solo dal mio respiro affannoso, e sempre in perfetto unisono, si avvicinarono a me e mi spogliarono completamente.
Mi ritrovai su quello splendido letto, su lenzuola di pura seta bianca profumata, accarezzato da quattro mani, baciato da due bocche, all'inizio mi irrigidii quando la lingua di lui mi si infilò vorace in bocca, ma poi, quando sentii le labbra di lei sul mio membro, mi lasciai andare completamente al piacere.
Poi si invertirono, e mentre lei mi baciava ed io accarezzavo i suoi seni perfetti, la bocca di lui prese possesso del mio cazzo ormai turgido da scoppiare. mi ritrovai ad accarezzare il suo, pieno e duro nella mia mano inesperta, mentre, finalmente! dei piccoli gemiti uscivano dalle loro bocche perfette. O è solo un ricordo?.
Poi lei si offri a me, aprendo quelle splendide cosce bianche, ed io cominciai a leccarle dolcemente il clitoride roseo e delicato, ad insinuare la mia lingua nella sua vagina, mentre lei si inarcava per il piacere.Lui, da dietro cominciò a leccarmi il buchetto del mio culo, strappandomi un mugolio di piacere profondo.Alla fine non potendone più, la penetrai fino in fondo, mentre la sua bocca si apriva in un muto urlo di piacere. Mentre pompavo su e giù in un parossismo di estatico piacere, sentii che lui, da dietro aveva sostituito la lingua col suo cazzo, e, lentamente, delicatamente, mi entrò nel culo, muovendosi sempre più in fretta, mentre io raggiungevo il nirvana.
Poi, prima che potessi arrivare all'orgasmo, si fermarono, lei si girò di spalle, offrendo un buchetto roseo e stretto, mentre con la mano si titillava il clitoride, e lui le infilò quella meraviglia di cazzo nel culetto, mentre mi spingeva verso le sue natiche. Mi ritrovai a leccargli a mia volta quel piccolo pulsante buco e poi, senza tanti complimenti, gli infilai il mio uccello nel culo virile.
Dopo qualche istante, ancora una volta all'unisono, ma adesso c'ero anch'io nel gioco, due fiotti di sperma reso argenteo dalla luce della luna, sgorgarono copiosi dai nostri due cazzi, inondandoci i corpi sudati.
esausti, ci abbattemmo sulle ormai bollenti lenzuola, mentre lei, con eleganza, cominciava a leccare il bianco latte della vita dai nostri corpi, con uno splendido sorriso sulle labbra.
Ci baciammo a lungo, poi, esausti ci addormentammo.
Mi ritrovai, la mattina nella mia cameretta, nella mia casa.
Avevo sognato? no, il mio corpo recava ancora i segni della notte trascorsa.
Presi un caffè, e, preso dall'ansia di rivedere quelle meravigliose creature, cominciai a cercare per Ortigia.
Cercai a lungo, senza riuscire a trovare il luogo, domandai in giro...nulla.
In serata, quando ormai avevo perso ogni speranza, mi ritrovai di fronte a quella facciata. Nella luce del tramonto sembrava fatiscente, non curata..bussai prima delicatamente, poi sempre più forte.
Una vecchina che passava mi guardò incuriosita e mi chiese chi cercassi.
Le descrissi la splendida coppia.
Mi guardò stranita, e mi riferì che in quella casa non abitava più nessuno da cento anni.


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