i racconti erotici di desiderya |
Padronvale: la clonazione |
Di tom. Se vuoi scrivermi, lodarmi, criticarmi, uccidermi scrivi a tom2075@hotmail.it. Il professor Markov sapeva che la discoteca era un luogo chiassoso, pluriaffollato e rumoroso, ma non se l’aspettava così frastornante. Due soli minuti di quella musica ad altissimo volume erano bastati a mandargli in pappa il cervello. La gente che ballava, unita alla danza grottescamente scombinata delle luci psichedeliche, gli stava facendo girare la testa. Non era abituato a quei luoghi. Il laboratorio in cui aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita era tutta un’altra cosa. Un angolo di paradiso al riparo dalla frenesia, dal rumore e dall’invadenza. Girovagò seguendo itinerari disordinati fra i corpi in movimento quando all’improvviso…eccola laggiù. Il suo obbiettivo. La ragione per la quale si era spinto fino a quella bolgia di perdizione. La osservò per bene. Specie biologica: Homo sapiens. Sesso: femminile. Etnia: bianca caucasica. Segni particolari: straordinario senso dell’equilibrio, visti i tacchi su cui stava ballando. Le si avvicinò a grandi passi, la provetta in una mano e le pinzette nell’altra. Lei era voltata di spalle. Quando le fu sufficientemente vicino, allungò le pinzette e le prese un ciuffo di capelli. Ebbe solo il tempo di ritrarre la mano. PadronVale si voltò con un movimento felino, fulminandolo con i suoi occhi neri e profondi. “Che cosa stai facendo?” chiese con voce altera e superba. “Acc…” Le pinzette erano vuote e lei si era accorta di lui. “Cosa fai con quelle pinzette in mano? Eh?! Rispondi, porco! Vorresti portarti via un ricordino?” “Ecco, io…” La padrona lo artigliò per il colletto della camicia e lo schiaffeggiò con forza. “Ora te lo do io, un regalino! Vedrai per quanto ti resterà!” Lo sbatté violentemente sul pavimento della discoteca e senza farsi problemi gli salì sopra il torace con entrambi i piedi. I tacchi dei suoi stivali neri e lucidi sembravano armi realizzate appositamente per torturare gli ignari schiavetti che fossero finiti sotto i suoi piedi. Markov pensò alla divinità che lo stava calpestando in quel momento come ad una sadica torturatrice del Mossad in forma di angelo nerovestito. Una miscela elettrizzante, in altre circostanze. Non la pensò così mentre le suole della padrona andavano su e giù, dal torace alla pancia, e di nuovo dall’addome al petto. I tacchi giunsero più volte in prossimità della sua gola. “Allora, collezionista di capelli altrui…come ci si sente sotto i miei stivali?” chiese la padrona senza smettere di sorridere. “Aaaargghhh…” disse Markov. “Questo ululato vuol dire che ti trovi bene? Lo credo. Sei nell’ambiente adatto ai vermi come te. Sotto i miei piedi. Che altro potresti volere?” “Piet…” La padrona compì un salto e ripiombò sulla faccia del poveretto. Poi un altro e un altro ancora. “Per ora basta. Ma lo sai che a ballare sopra di te ci si stanca subito? Non sei affatto comodo!” Non appena la padrona scese dal suo corpo, Markov tentò di rimettersi in piedi. Due ragazze vestite come Vale lo presero prontamente per le spalle e lo mantennero in ginocchio. “E tu dove credi di andare, furbetto?” chiese una di loro. Calzava scarpe col tacco e indossava una minigonna. Markov tentò di indietreggiare, fallì e fu scaraventato con la faccia per terra, proprio a pochi centimetri dalla punta degli stivali di Vale. “Già che sei lì, spregevole maniaco fallito, datti da fare. Lucidami un po’ gli stivali, che dopo torno a ballare” Al povero dottor Markov non rimase altro che obbedire. Lo fece sotto la pioggia costante degli insulti e dei colpi di tacco delle amiche della padrona. Dal canto suo quest’ultima si accese una sigaretta e fumò tranquillamente. “Guarda com’è bravo” disse una delle compagne “Lecca come un cane” “Tu dici? A me sembra che manchi di pratica” disse l’altra. “Dai, cane, continua. Anche la suola, mi raccomando” “Secondo me ha bisogno di un po’ di calci ben assestati per spingerlo a dare il massimo” “Ragazze, lasciatelo lavorare” disse Vale “Già come cane da lecco fa schifo. Poi, se lo maltrattate così, finisce che gli stivali, invece di pulirmeli, me li rende ancora più schifosi” Dopo qualche minuto la padrona si stancò di quel trattamento. Allontanò Markov con un calcio in faccia e disse “Su la testa, cane” L’uomo si sollevò appena. La padrona allungò la mano in cui teneva il mozzicone della sigaretta e gliela spense sulla fronte. “Ecco, meglio non lasciare rifiuti in giro” disse. Si voltò e seguita dalle sue compagne, se ne tornò a ballare. “Guai a te se ti fai ancora vedere da queste parti, hai capito?” si raccomandò la dominatrice con le scarpe dal tacco alto. Markov schizzò subito in piedi e fece per correre via. Si fermò dopo qualche passo, esistante. Tornò indietro, raccolse il mozzicone della sigaretta e lo fece sparire nella provetta di vetro che si era portato dietro. Trenta secondi più tardi Markov lasciava la discoteca con la promessa di non rimetterci più piede. Fuori dal locale la dottoressa Pinkerton attendeva impazientemente. Era una giovane ricercatrice bionda e carina. Portava i capelli a caschetto e gli occhiali. Quando Markov uscì dalla porta sul retro vacillando come un ubriaco gli andò incontro con fare allarmato. “Professore!” esclamò “Ce l’ha fatta? E’ riuscito a prendere un campione di DNA del soggetto?” Markov estrasse la provetta di tasca e la mostrò alla collega. Sulla sua faccia sudaticcia e sconvolta comparve un accenno di sorriso. “Ecco” “Una sigaretta?” “L’ha fumata il soggetto” “Allora abbiamo la sua saliva” “Esatto” “Possiamo procedere con l’esperimento” “Proprio così” “Complimenti, professor Markov. Lei è un genio. E’ stato difficile?” Markov sollevò le spalle. “Difficile? E’ solo una ragazzina! Pfui! Ci vuole altro per mettere in ginocchio la scienza!” “Vedo” assentì la dottoressa Pinkerton “Ma…e quei lividi che ha sul collo?” “Ehm…bazzecole…ora andiamo in laboratorio, dottoressa Pinkerton. Che la fase due dell’esperimento abbia inizio!” Sei settimane più tardi… I recenti progressi dell’ingegneria genetica erano stupefacenti. Riprodurre un intero organismo a partire da pochi filamenti del suo DNA richiedeva solo pochi giorni e utilizzando quella nuova tecnica di coltura in vitro a sviluppo accelerato, era possibile completare la crescita del clone in poche settimane. Il dottor Markov guardò la sua opera attraverso il vetro cilindrico della camera di sviluppo ed esclamò “Oh, quale mirabile visione! Quale meraviglia! Ora lo vedi, se non mi danno il premio Nobel!” “Cali, professor Markov, cali” mormorò alle sue spalle la giovane dottoressa Pinkerton “Le ricordo che il nostro esperimento è solo iniziato. E poi l’hanno dichiarato illegale in quarantaquattro stati, Bangladesh compreso” “Dottoressa Pinkerton, non rompa i coglioni, per cortesia!” esclamò il grande scienziato “Ciò che abbiamo creato in questo laboratorio aprirà la strada ad una nuova era della sperimentazione scientifica…manipolazione cromosomica di organismi pluricellulari, terapie geniche applicate alle malattie ereditarie, creazione di ibridi genetici adatti a stili di vita estremi per arrestare la desertificazione del pianeta, nonché creazione di gran bei pezzi di fie per quando ho voglia di farmi fare una pompetta o due” “Lei è un vero filantropo” disse la dottoressa Pinkerton “Non è che più avanti potremmo creare anche qualche bel pezzo di topolone? Che so…a me piace tanto quello che ha fatto Anakin Skywalker nel remarke di Guerre Stellari, ha presente?” “E come si chiama?” “Boh?” “Ma se non ricorda neppure il nome! Dottoressa Pinkerton! Eccheccazzo! Lei non è una professionista seria! Rigore, ci vuole! Rigore e razionalità! E poi, se per il DNA di una sgualdrina da night-club ho rischiato la pelle, te lo immagini andare a prendere quello di un divo di Hollywood!” “Ho capito, vai. Mi attacco a playgirl” “Perché? Io non vado bene?” La dottoressa Pinkerton represse un rutto ed una smorfia. “Sì, vabbè, andiamo avanti con l’esperimento che è meglio, va’…Che si fa ora che il clone ha raggiunto l’età e le dimensioni dell’originale?” “Lo liberiamo” “E poi?” “Eeeehhhh….e poi! E poi! E poi, lo vedi che bel pezzo di cinghialotta che è? Ecco, per intanto la metto a buo pillonzi e la trapano come un…” “Professor Markov, mi chiamano dall’Università” disse la giovane assistente, interrompendo prontamente l’augusto mentore “La lascio solo per un po’…non faccia danni, eh? Che poi in terra ci spazzo io!” “Vada, vada, dottoressa Pinkerton” sibilò Markov, sfregando fra loro i palmi delle mani con espressione da ramarro. Non appena l’assistentina se ne fu andata, il grande scienziato pigiò un bottone alla base della camera di sviluppo e quella s’aprì, facendo defluire il liquido che conteneva e lasciando all’asciutto il clone di PadronVale. Markov si avvicinò al cilindro e quello salì verso il soffitto svelando una ragazza priva di sensi, abbandonata sul piano della camera di sviluppo. “E ora voglio proprio vedere cosa mi fai, maledetta zittellaccia con i tacchi troppo alti! Dimmelo ora che i devo leccare le suole degli stivali. O provaci!” La prese per le spalle e la scosse senza premura. La ragazza parve destarsi come da un lungo sonno. “Oh, alla fine ti sei svegliata. Sai parlare?” “Mmm…? Chi sei?” “Bene, sai parlare. Sai camminare?” chiese Markov, spingendo la sua creatura verso il pavimento. Il clone scese coi piedi sul freddo assito in pietra, vacillò per un attimo e ritrovò la stabilità. “Perfetto. Sai anche stare in piedi. Ora…sai fare un mugolone come Dio comanda?” La ragazza si volò verso l’infallibile scienziato. “Benissimo. Allora accucciati e datti da fare. Ho voglia di svuotare le palle nella tua bocca da quando mi hai trattato come una merda in quella squallida discoteca di drogati e alcolizzati” Fece per mettere una mano sulla nuca di Vale per spingerla giù, ma quella fu più veloce. Si sottrasse alla mossa di Markov e replicò con una precisa ginocchiata al basso ventre. “Mugolone, eh? Brutto verme schifoso! Te lo do io, il mugolone!” esclamò la padrona. Sollevò un piede e lo pose sul collo dello scienziato. “Ma…ma come…?” tentò di obbiettare l’uomo “Tu non dovresti comportarti così! Dovresti essere passiva e servizievole. Le esperienze ed i ricordi ti sono stati cancellati!” “E infatti chi ricorda nulla? Ma te mi fai schifo lo stesso!” disse la padrona, ruotando con forza il piede sulla gola di Markov “E guarda qui, scalza e nuda in questo laboratorio che puzza di acetone e formaldeide! Non lo vedi che prendo freddo ai piedi?” “Ma porca di quella….” Un pestone deciso sul mento di Markov. La Dea ripeté “Non lo vedi che prendo freddo ai piedi?” “Mmmffgg…s…sì…” “E come si dice, in questi casi?” “Scusa” Il piede della padrona si sollevò dalla gola dell’uomo per ripiombare subito dopo sulla sua faccia. La guancia di Markov fu raggiunta dal tallone della ragazza. “Come si dice? Scusa? SCUSA?” “Scusi! Scusi…” “E poi?” “Scusi, mia padrona…mamma mia, ma chi me l’ha mandata questa?!” “Ecco, così va meglio” Sollevò anche l’altro piede da terra e lo andò a poggiare sul corpo dello scienziato. “Non ti spiace se ti uso come zerbino, vero?” “Veramente…” Un calcio in faccia. “No, padrona” Sporgendosi un poco verso l’appendiabiti, Vale raccolse uno dei camici da laboratorio e lo indossò. “Questo non mi piace proprio, ma per il momento andrà bene. Almeno finché non avrò trovato qualcosa della mia misura” disse la padrona. “Scusi, padrona…” “Che cosa vuoi?” “Potrebbe scendere dalla mia schiena?” “Assolutamente no! Anzi, è ora che qualcuno ti dia una lezione” disse la dominatrice. Assestò un calcio di tallone sulla faccia dello schiavo ed iniziò a calpestarlo tutto come un tappeto. Nelle movenze feline e aggraziate somigliava alla padrona che l’aveva scotennato in discoteca. Ma questa, perlomeno, camminava su di lui a piedi nudi, provocandogli meno dolore. “Sai cosa ci vorrebbe, razza di verme schifoso?” chiese la ragazza. “No…” “Scarpe” “Eh?” “Ma non scarpe normali. Scarpe col tacco. Stivali. Per farti apprendere prima” “…” “Ne hai?” “No, padrona” “Procuratele” “Come? Da qua sotto sarà un po’ difficile” “Hai ragione. Prima però ho visto una ragazza” “La mia assistente” “Li andrà a prendere lei. Chiamala” Markov raccolse il telefonino di tasca e digitò un numero. “Pronto? Dottoressa Pinkerton? Sì, sì…l’esperimento è stato un successone. Il mugolone? Ehm…veramente…forse è meglio se viene di persona. Ah, una cosa…faccia presto!” Quando la dottoressa Pinkerton entrò nel laboratorio, Vale stava fumando una sigaretta. Era la seconda. La prima l’aveva spenta sulla faccia di Markov dopo aver usato la sua bocca come portacenere. Lo scienziato le scava facendo la poggiapiedi mentre la padrona, comodamente adagiata su uno dei sedili del laboratorio, attendeva il ritorno della Pinkerton. L’assistente di Markov vide la scena e rimase comprensibilmente stupefatta. “Ma…professore! Alla faccia del mugolone!” “Stia zitta, dottoressa Pinkerton…che ho la schiena mi fa un male cane…” La padrona, tanto per aggiustare la schiena di Markov, sollevò una gamba e colpì la nuca dell’uomo con una tallonata. “Silenzio, stupido vermiciattolo. Tu, con gli occhiali, vieni qui” La Pinkerton si avvicinò. “Mi servono delle scarpe e dei vestiti” disse la Dea. “Sì, subito” rispose la dottoressa, iniziando a spogliarsi. La padrona la fermò subito con un cenno della mano. “Ma mica i tuoi, scema! Non lo vedi come sei vestita? Nemmeno per un pigiama party, mi vestirei così! Vai a comprare qualcosa di elegante. In nero. E delle scarpe, naturalmente. Col tacco. Oppure, ancora meglio, degli stivali” “Sì” “Muoviti” ordinò la padrona. La dottoressa schizzò fuori dal laboratorio nel giro di un secondo. “E tu, nel frattempo, come potrei utilizzarti?” “Oh, no! Pietà…la supplico padrona…” “Niente pietà…adesso mi porti un po’ a cavalluccio per la stanza. E quando sarai sfiancato a morte ti calpesterò fino a sbriciolarti tutte le ossa!” La Pinkerton tornò dopo un’ora circa. Markov aveva trottato per mezz’ora e Vale l’aveva sbattuto come un tappeto per la restante mezza. Le condizioni del professore erano a dir poco preoccupanti. Piccolo, terrorizzato, ridotto a una larva gemente e agonizzante. “Oh, ce ne hai messo di tempo!” esclamò la Dea, vedendo tornare l’assistente di Markov “Credevo che questo verme non avrebbe fatto in tempo a vederti tornare” “Ecco quello che mi avevi chiesto” La padrona afferrò la Pinkerton per i capelli e la mandò a raggiungere il suo capo. “Innanzitutto mi dovrai chiamare padrona. Poi, da qui in avanti, dovrai darmi sempre del lei” “Sì, padrona. Come desidera, padrona” rispose la ricercatrice. La padrona si risedette sul sedile e appoggiò di nuovo i piedi sulla schiena di Markov. “Tu, schiava. Prima di indossare calze e stivali bisogna dare una pulita alle piante dei miei piedi. Accucciati in ginocchio e provvedi” “Sì, padrona” La Pinkerton si inginocchiò, raccolse uno straccio bagnato e fece per avvicinarsi alle estremità della Dea. Non appena fu abbastanza vicina la padrona le rifilò un calcio in faccia che la fece saltare all’indietro come un gambero. “Con lo straccio ci fai le faccende di casa, sguattera. Usa la lingua. Sui miei piedi, i vermi come te usano solo la lingua” “Sì, padrona” disse l’altra. Umiliata e dolorante, la scienziata si prostrò ai piedi della dominatrice e iniziò il suo avvilente compito di massaggiatrice. Leccò con cura le piante dei piedi, rimuovendo con cura e dedizione ogni traccia di polvere. Il sudiciume fu prontamente inghiottito affinché non andasse a offendere nuovamente la delicata pelle della dominatrice. Poi toccò alle dita e agli spazi fra esse. Andò a cercare le minute piegoline dei talloni e il profilo ben levigato del dorso dei piedi. Infine, quando le estremità di Vale furono perfettamente pulite, la padrona ordinò che le fossero messe le calze e gli stivali. La Pinkerton la aiutò ad indossarle. Poi, usando il corpo martoriato del professor Markov come poggiapiedi, Vale terminò di rivestirsi. Il clone, adesso, era uguale all’originale. “Bene, adesso vado un po’ in giro a vedere il mondo di fuori. Ho voglia di fare un po’ di movimento e di divertirmi. Voi ripulite questa topaia, che al mio ritorno la voglio lustra come uno specchio” Markov e la Pinkerton risposero all’unisono, in ginocchio di fronte alla loro padrona e con il capo debitamente piegato verso il basso “Sì, padrona. Eseguiremo ogni suo ordine” |
I vostri commenti su questo racconto | ||
Autore: | Casper173 | Invia un messaggio |
Postato in data: | 14/11/2007 12:29:23 | |
Giudizio personale: | bello, quando continua la missione dei soldati democratici? | |
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