i racconti erotici di desiderya

L'avvocatessa

Autore: Giorgior
Giudizio:
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La noia mortale di una sera di fine inverno chissà come mi aveva condotto a parlare in una chat libera.
L’esordio non era stato dei migliori ma daniela (a casa con la febbre, così almeno lei diceva) era apparsa una persona assolutamente non banale e stimolante.
In attesa di avere il responso degli esami all’abilitazione della professione di avvocato sembrava aver la stoffa ideale per irretire chiunque con le sue parole.
Aveva detto di essere di Messina ed essendo io di Palermo poteva essere una cosa buona conoscersi per darsi un volto.
Una conferenza all’Università di Messina sembrò un’ottima occasione per proseguire nei programmi di conoscenza che tante volte erano stati oggetto delle lunghe ed affabili telefonate. Doppi sensi e anche qualcosa di più esplicito facevano presagire che Daniela non fosse aliena dall’avere un “incontro ravvicinato” e poi, per esperienza, tutte le Daniela che fino ad allora avevo conosciuto erano tutte delle gran fighe.
La vidi arrivare con dei pantaloni neri, hogan ai piedi e una maglia di cotone color glicine. Delusione. Il battito del cuore che era accelerato riprendeva rapidamente la sua normale corsa. Almeno l’abbigliamento non valorizzava nulla e l’affabilità delle telefonate si era materializzata esclusivamente in un’algida e anonima stretta di mano. Lunga conversazione al bar, piacevole, per carità ma alla richiesta di osare qualcosa in più era corrisposto un irrigidimento totale da parte sua.
Sembrava la classica donna del vorrei ma non posso. L’avevo guardata bene, il lato migliore era il posteriore. Sembrava avesse poco seno ma una caratteristica erano le folte ciglia nere che ornavano un viso gradevole incastonato in lunghi e mossi capelli corvini.
Vi era stato solo un abbraccio alla fine dell’incontro in cui avevo percepito un profumo surreale e soave allo stesso tempo che emanava la sua fronte, proprio lì all’attaccatura dei capelli.
Stizzito per aver quasi perso del tempo ero andato via frettolosamente, 300 km mi separavano da casa e non avevo nessuna voglia di star li a far nulla.
Nelle telefonate successive assunsi un tono distaccato fin quando non ci sentimmo più per diversi mesi.
Ma una mattina complice l’auricolare attivato risposi senza guardare prima chi fosse. Oddio, il numero in una rapida sbirciatina mi suonava familiare ma non avendolo memorizzato non avevo associato alcun nome.
Fu rapida. Mi invitò nuovamente ad andare a Messina. Non mi avrebbe deluso, diceva. Anzi voleva passare un paio di giorni vicino Taormina e andare la mare insieme. Come avrei fatto? Allora ero ancora sposato e se fossi tornato abbronzato la scusa che ero via per lavoro si sarebbe sciolta come neve al sole.
La verità era pure che ero stato respinto l’altra volta e non avevo voglia di concederle nulla. Se voleva si doveva piegare ai miei voleri e null’altro.
Le dissi che sarei andato a Messina al mattino e tornato a casa al pomeriggio. Accettò.
Nonostante l’autostrada fosse interrotta mille volte da altrettanti cantieri la mattina stabilità feci volare la mia Saab e puntuale mi presentati alla stazione così come convenuto. Mi baciò affettuosamente sulla guancia e preso il caffè ci dirigemmo alla ricerca di 1 albergo.
Questa volta aveva indosso una camicia a righe di molti colori e sottili, stretta sul petto che evidenziava le forme. Come avevo fatto a non accorgermi la volta precedente di quelle tette? Lei parlava e i pensieri e non solo indugiavano sulla scollatura procurandomi 1 violenta erezione.
Se ne accorse e allungò la mano per sincerarsene. Rimasi stupito. Dov’era andata a finire quella ragazza impacciata e ostile che avevo conosciuto?
Mi disse che era merito dell’avvocato presso cui aveva fatto pratica. E non solo legale….. mi avrebbe sorpreso! Timidamente mentre guidavo posai la mia mano sul suo seno e lei lasciò che facessi. Era sodo grande. I capezzoli sembrava volessero bucare la camicia.
Finalmente trovammo un albergo. La sola stanza in tutta Messina. Sembrava che tutti avessero deciso di andare lì quel giorno….
Salimmo in camera e appena dentro la spinsi verso la porta che si chiuse dietro di lei e la baciai a lungo, avidamente, ritrovando quel profumo che mi aveva prima inebriato e aggiungendo il suo gusto. Delizioso, dolce al punto giusto, caldo, succoso.
Mi leccava come fossi un gelato mi baciava il collo il petto che era già nudo, scese verso la pancia, facendomi mettere con le mani in alto mi lecco sotto le braccia, i capezzoli, li mordeva e me li succhiava con una decisione e desiderio sconosciuti.
La feci girare e mi misi dietro di lei cingendole la vita e pressando il mio pacco gonfio sul suo sedere continuai mordendole il collo, le orecchie leccandola anche quando la gonna cadde sul pavimento con accanto i miei boxer a fargli compagnia.
Sembrava ipnotizzata non faceva nulla e si faceva condurre. Le mie mani andarono sotto la camicia e tolto il reggiseno accolsero quelle tette a tegamino. Sode lisce, profumate. Solo dopo tempo quando andò via anche la camicia mi accorsi di quanto erano belle, succulente. Gli enormi capezzoli puntati verso il cielo sarebbero stati capaci di reggere il peso di una giacca e gradivano il mio pizzetto rasato che ruvidamente li stimolava. A dire il vero gradivano anche la mia lingua e i miei denti che dolcemente li mordevano.
Solo allora mi accorsi del suo intimo. Anonimo. Scialbo. Color carne. Sembrava quello di una vecchia. Nessuna cosa a sottolineare la sua femminilità. Era però arrivato il momento di sentire il calore del suo ventre.
Un folto vello morbido copriva le grandi labbra chiuse, strette, caldissime e bagnate tanto da inondarmi la mano. Sembrava che avesse fatto pipì ma erano solo i suoi umori morbidi. Fremeva e tremava mentre tenendo le sue gambe strette cercavo a fatica di farmi strada.
Era ferma, in piedi, sembrava un tronco d’albero immobile. Era incapace di far qualunque cosa. Sentivo solo il suo petto andare su e giù con ogni respiro, sembrava il mantice che soffia sulla forgia bollente.
La sua immobilità non mi dava fastidio, anzi. Alla fioca luce che penetrava dalla finestra socchiusa potevo ammirare una venere.
Dolcemente le presi una mano e l’accompagnai su di me. Lo ebbe in mano. Una mano tremante e calda. Lo strinse, lo tastò. Lo fece suo e con l’latra mano lo scappellò dolcemente massaggiandolo con lentezza.
Adesso mi teneva per le palle. Esplorava anche quelle e le stringeva con garbo e delicatezza.
La girai ancora e la piegai sul tavolinetto posto di fronte al letto. Mi inginocchiai dietro e cominciai a leccarla.
La penetrai con la lingua che aveva dischiuso dolcemente le sue labbra e messo a nudo un clitoride turgido e denso di desiderio che cominciai a mordere e leccare. Venne. Venne e le sue gambe tremarono come un pilastro sotto l’attacco di un terremoto. Affusolate e muscolose erano solcate dai suoi umori e dalla mia saliva.
Andammo sul letto e mi fece stendere a panca sotto massaggiandomi a lungo le spalle con le sua figa calda e bagnata scese con le mani al mio dentro coscia e continuò il suo lento ed inesorabile massaggio. Salì mi aprì i glutei e cominciò a leccarmi dall’ano allo scroto. Adesso ero io imbambolato. Mi girò e messa la sua figa vicino il mio viso per averla ancora leccata ma adesso posseduta anche da indice e medio cominciò la danza della sua bocca sul mio cazzo. Sembrava che le mie palle dentro la sua bocca fossero caramelle e ogni volta che succhiava mi sentivo aspirare il ventre e il cervello.
Appena percepiva che stavo per arrivare lo stringeva alla base e stringeva anche i coglioni prolungando i tempi del mio orgasmo. Rantolava di piacere e io soffiavo dal naso come un toro nell’arena.
La mia faccia grondava dei suoi umori e le sue natiche erano rosse per le sberle che avevano ricevuto, lei però si era vendicata mordendo delicatamente il mio glande al limite del dolce dolore. Quando le misi anche il pollice dentro il sedere non disse nulla. Anzi assecondava il miei movimenti. La girai e messo un cuscino sotto la pancia le allargai le gambe per possederla.
Si girò di scatto e stringendo il mio cazzo fra le sue mani mi disse: “ ti prego, ti prego non nella fica. Sono vergine. Lo voglio fare solo con l’uomo che sposerò. Non ridere per piacere”.
Rimasi allibito. Non sapevo cosa dire ma di certo non avevo voglia di ridere. Dissi soltanto: “ se mi hai fiducia sappi che non forzerò la tua volontà. Ti rispetto. Però guarda come mi hai ridotto, voglio venire!”.
Mi stupì ancora, mi disse: “non ho solo quello di buco, fottimi il culo, sono la tua cagna, fottimi non resisto!”
Andai in estasi presi il cazzo e lo puntai sul suo culo. Lei in ginocchio con le mani si allargava i glutei. Feci scivolare della saliva e cominciai a spingere. Entrò il glande e mi fermai. Ebbe un sussulto. Forse non aveva mai avuto un cazzo come il mio dentro. Lo tirai fuori e l’ano pulsava come stella. Lo puntai ancora e spingendo entrai, sempre e solo il glande. Respirava con affanno, gli occhi socchiusi e le tette che ondeggiavano sullo specchio di fronte. Lascio i glutei e si appoggiò sui gomiti. La presi per i capelli facendole inarcare il viso. Rantolava ma non si lamentava. Quando sentii che si era stabilizzata cominciai ad affondarle dentro. Ruggiva! E più ruggiva più ero inesorabile fin quando non sentii che le palle sbattevano sulla sua fica.
Come con delle redini in mano cominciai a tirare i suoi capelli e a montarla, prima colpi lenti e decisi poi più veloci e lei implorava di essere ancora fottuta le lasciai i capelli e apostrofandola con mille oscenità le davo sberle sulle natiche e le cosce. Ogni volta che guardavo lo specchio vedevo la potenza del mio cazzo dentro di lei e l’ondeggiare del suo seno ad ogni colpo. Il rumore dei coglioni che sbattevano era musica per le nostre orecchie.
Piegatomi su di lei con la mano sinistra le strizzavo un capezzolo e con la destra le titillavo il clitoride gonfio quasi a scoppiare. Venne! Mi strinse con le natiche quasi a staccarmi l’uccello come dentro una tagliola. Quando finì di essere scossa la feci inginocchiare davanti lo specchio e le misi l’uccello in bocca. Non voleva. Era restia dopo averlo avuto nel culo ma capì che doveva piegarsi al mio volere quando con la sinistra le presi i capelli e con la destra le sbattevo il cazzo sulle labbra. Le violai la bocca. La spalancò e accolse il mio membro fino alla gola. “guardami puttana, guardami mentre lo succhi!”
Quattro, cinque, dieci colpi secchi, che le scopavano la bocca, sentii che stavo per venire la feci rimanere a bocca spalancata e le venni dentro, sul viso, sui capelli e sugli occhi.
Era la mia puttana! E me lo confessò. Le feci leccare per bene l’uccello e glielo passai sul viso e fra i capelli mentre mi leccava con maestria le palle. La feci alzare e andammo a fare insieme la doccia.
Alla luce del bagno le guardai il sedere oscenamente aperto.
Un rivolo leggerissimo di sangue si era fatto strada fra le gambe così come la soddisfazione le appagava il cuore e la mente, aveva dolore, dolce dolore e sorrideva.
Mi lavò a lungo e si prese cura di me.
Ordinammo un pranzo frugale in camera e mangiando mi raccontò della sua decisione di rimanere vergine, sebbene l’età. Il pomeriggio riprendemmo.
Ma del pomeriggio lo scriverò un’altra volta e soltanto se questo racconto riscuoterà successo.
È tutta una storia vera. Solo il nome Daniela è di fantasia.


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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Joseph62 Invia un messaggio
Postato in data: 28/07/2011 08:05:24
Giudizio personale:
Decisamente intrigante ..................aspettiamo il resto!!!

Autore: Antonioepaola Invia un messaggio
Postato in data: 25/07/2011 05:24:48
Giudizio personale:
bel racconto.


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