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Il diario di alice ( 3 )


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Lo chiamerò Mario, perché il suo nome è talmente particolare che scriverlo sarebbe come pubblicare la sua carta d’identità. E’ un piccolo ma affermato industriale del centro Italia e ha una quarantina d’anni portati non benissimo. Probabilmente neanche da giovane è stato un adone, e forse è per questo che si è sposato pochi anni fa. Un matrimonio d’interesse, dicono. Più che altro il matrimonio di due capitali. Mi ha confidato diverse volte che non ha mai toccato la moglie, sua coetanea, che peraltro lo tradisce spudoratamente senza problemi. Lui le rende la pariglia e di tanto in tanto mi chiama perché sa che riesco a portarlo al parossismo estremo con dei flash-back della sua infanzia, che non è stata evidentemente felice a causa probabilmente di una madre dispotica. Almeno questo mi sembra di intuire quando mi telefona e mi spiega cosa vuole da me. Lo raggiungo nel suo ufficio privato nel primo pomeriggio di una giornata uggiosa e umida. La segretaria che mi fa passare mantiene un atteggiamento professionale nonostante sappia benissimo perché sono lì. E’ stata lei a chiamarmi e passarmelo al telefono. Non posso fare a meno di chiedermi se ha mai dovuto infilarsi sotto la scrivania del capo a fare quello per il quale è diventata famosa Monica Lewinsky . Mario non è in ufficio, ma la segretaria mi dice che “posso mettermi a mio agio” e mi indica la porta di un piccolo salotto. E’ arrivato il momento di completare la preparazione del mio personaggio. Sotto l’impermeabile indosso un severo tailleur gessato, calze grigie con riga nera posteriore, scarpe nere con tacco quadrato di otto cm, foulard nero al collo, diversi anelli con pietre e camei alle mani, capelli raccolti in uno chignon e tenuti con una vecchia pettinetta d’osso. Sotto, intimo della nonna con mutande grandi bianche e canottiera ugualmente bianca di cotone che copre un reggiseno semplice e sformato. Nella borsetta a portafoglio un altro complemento che mi servirà. Completo la trasformazione con un paio di occhiali con montatura d’osso che mi danno, nel complesso, un aspetto da istitutrice astroungarica.

Devo attendere circa dieci minuti, che impiego per calarmi meglio nella parte, prima che si apra una porta mimetizzata nel mobile libreria alle spalle della scrivania ed esca Mario. Dovrei dire Mariolino, dato che indossa un paio di pantaloni corti all’inglese, calzettoni bianchi con scarpe di camoscio blu, una camicia bianca con cravatta blu e un capellino da college americano. Entra con esitazione, guardandomi di sottocchi come intimorito e tormentandosi le mani senza interruzione. “Mario!” Urlo senza preoccuparmi di chi sta fuori della porta… “ Sei stato molto cattivo! Mi ha detto la tata che ti ha scoperto ancora nello sgabuzzino che ti toccavi il pisello!”

“No mamma……non mi toccavo” inizia a frignare

“Invece si. Lo hai fatto ancora e ti dovrò punire!”

A questa affermazione un sussulto passa sul suo volto che inizia a farsi paonazzo, e mi sembra di notare una leggera protuberanza che inizia a farsi strada all’altezza della patta.

“Hai ragione mamma, mi devi punire perché sono stato cattivo”

“Vieni subito qui, Mario! Abbassati i pantaloni!”

Il suo respiro inizia a diventare ansimante mentre si avvicina fissando le mie mani che prendono dalla borsetta un sottile e resistente ramoscello di ulivastro. Con le mani tremanti si abbassa i pantaloni e gli slip mostrando una erezione che ogni volta riesce a meravigliarmi. Pare che la natura abbia ecceduto lì per bilanciare le deficienze di altre parti del corpo.

La prima frustata lo colpisce proprio sul cazzo, lasciando un segno rosso. Lui rotea gli occhi all’indietro dal dolore ma non emette alcun suono. Invece si gira e mi mostra le natiche, sulle quali lo colpisco tre o quattro volte di seguito. Inizia a mugolare e a masturbarsi poi all’improvviso si infila indice e medio della mano sinistra nel culo e si sodomizza con rabbia mentre con la destra si torce con forza il cazzo. Ho paura che prima o poi questo gli provocherà un infarto e finirò in galera, ma lui mi esorta a continuare. Altre due frustate lasciano il segno sulla pelle rugosa del culo. “Puniscimi mamma, puniscimi come la volta scorsa!”

E’ arrivato il momento di quella che lui chiama punizione ma che in effetti lo è soprattutto per me.

“Mario, vieni dalla mamma. Ti ho detto tante volte che non ti devi fare le seghe. Un ometto queste cose non le fa.”

Intanto inizio a spogliarmi fino a restare in canottiera e mutande. Lui mi osserva mentre un sottile filo di bava gli cala dall’angolo della bocca e si avvicina fino a toccarmi.

“Dai, Mario, scopa tua mamma. Questo fanno gli ometti, non le seghe” e nel frattempo mi stendo sul tappeto aprendo le gambe.

Con lo sguardo ormai allucinato dall’eccitazione mi sale sopra e mi penetra con furia. Sarebbe piacevole, se non fosse per il contesto, ma non ho il tempo di pensarci. Ad ogni colpo di reni corrisponde una frustata sulle sue natiche e i grugniti che emette non hanno più niente di umano.

“Si, Mariolino, continua così….diventa un ometto nella figa di mamma” lo esorto, anche se non è più necessario tanta è la sua furia.

“Scopo mia mamma, scopo mia mammaaaaaaaaaaaaaaaaa” Dopo una decina di colpi si svuota nella mia figa con un un sussulto e poi resta fermo come in catalessi, quasi fulminato, il respiro corto e rauco. Poi si rialza e, raccolte le sue cose, ritorna senza una parola nello stanzino.

Anche io mi dò una sistemata nel bagno privato, e quando ritorno nello studio lui è alla sua scrivania, elegante e misurato come sono abituati a conoscerlo tutti. Sembra abbia appena concluso un affare.

Mi sussura un “grazie” mentre mi allunga un assegno. Questo lo controllo, da quando ha cercato di fregarmi. Sono 600 euro, non tanti per un incesto.

“Ciao Mariolino” lo saluto uscendo

“Fottiti” mi risponde





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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Mirabeau2 Invia un messaggio
Postato in data: 02/05/2011 10:44:23
Giudizio personale:
Mi hai fatto eccitare.... Brava


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