i racconti erotici di desiderya

Halloween


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La vita può riservare molte sorprese, a volte piacevoli, altre meno, altre ancora del tutto inaspettate ed illuminanti.

Sono uno dei tanti impiegati che affollano la metropoli di Milano, uno di quelli, per intenderci, stressati non solo dal proprio lavoro, ma anche dal continuo esercizio da pendolare che quotidianamente devono fare e sopportare. Come sempre la vita in ufficio, quella mattina, si svolgeva secondo la solita routine: timbro del cartellino, aggiornamento sul lavoro da svolgere da parte del capo petulante, inizio del lavoro stesso con i tuoi colleghi. Nulla lasciava presagire una conclusione diversa dal solito, sennonché quella sera era la notte di Halloween e si era organizzata una festicciola mascherata a casa di uno di noi: tema della serata, lo scambio, ovvero gli uomini rigorosamente vestiti da donna e ovviamente le donne da uomini. Inutile dire che le battute si sprecavano da due settimane, dove il tema più gettonato era chi avrebbe meglio interpretato l’altro ruolo. Sarà banale dirlo, ma a quanto pare ero dato da favorito in questa bislacca gara, probabilmente dovuto al mio aspetto un pochino effeminato (odio barba, baffi ed affini), al mio gusto ricercato per la moda ed alla mia innata capacità al maquillage, accentuata dal mio stretto rapporto con l’arte teatrale coltivata durante gli anni delle superiori.

Giunto l’orario di chiusura, ci demmo appuntamento al solito bar, giusto per aprire in modo adeguato la festa e scegliere chi avrebbe dovuto prendere l’auto e fatto d’autista agli altri.

Arrivato a casa e fatta una veloce doccia rinfrescante, diedi inizio all’opera: avevo optato per un abito sobrio, un tailleur nero, e delle scarpe abbinate al vestito, mentre avevo eliminato la borsa, non avendo avuto modo di trovarne una adatta tra le tante che costituivano il corredo delle mie sorelle, per un più comodo marsupio dove riporre documenti, soldi e chiavi di casa. Conciato in questo modo ero sicuro di avere un tocco di fascino, ma essendo nella mia indole la voglia di primeggiare nel travestimento, avevo acquistato delle calze autoreggenti, che lasciavano intravedere tutta la loro sensualità da sotto la gonna, visto che non erano abbastanza lunghe per la mia statura, e un completo intimo rosso, tutto in pizzo, con l’idea di sfoggiarlo al mio “uomo” nel momento più opportuno, sapendo che “lui” era la collega a cui ormai facevo la corte da un anno buono.

Prima di tutto mi feci la ceretta: una sensazione più che conosciuta, ma che mi diede qualche grattacapo quando venne il momento di cosce e inguine; poi diedi una sistemata alle sopracciglia, quindi mi vestii e completai l’opera con il trucco e la parrucca. Nel complesso ritengo di aver fatto un ottimo lavoro e quella sera non fui il solo a pensarlo.

Scoccata l’ora, salii in auto e partii. Non abito molto distante da Milano, ma l’esperienza al volante con i tacchi la sconsiglio a chiunque, un vero calvario; oltre a ciò, mi ritrovai presto in panne, costretto ad abbandonare il mio mezzo in un parcheggio pubblico e dovermi fare un buon kilometro e più a piedi. Sarà stata l’euforia di questa inconsueta festa, sarà stato il mio aspetto o più semplicemente l’elevato tasso alcolico, ma mi si avvicinarono tre uomini un po’ malfermi sulle gambe e ben poco lucidi, i quali cominciarono a riempirmi di elogi per il mio vestiario, le mie gambe, i miei occhi, il mio seno prosperoso(!), e successivamente a chiedermi cosa facevo “tutta sola”, se volevo compagnia, se necessitavo di protezione, insomma una pletora di luoghi comuni pur di accedere alle mie grazie. Ovviamente li lasciai fare, cercando nel contempo di scrollarmeli per evitare facili ironie da parte dei miei colleghi. In effetti ci riuscii, ma solo perché mi ritrovai steso a terra a causa dello strattone che ricevetti da un povero ladruncolo, il quale prese a correre come un indemoniato con il mio marsupio.

Naturalmente quei bravi ragazzi se la diedero a gambe levate alla vista di questa scena ed io mi vidi costretto a rincorrere il mio scippatore a piedi nudi e con le scarpe in mano. Per mia fortuna, ci imbattemmo in una volante della Polizia, la quale fermò lo sfortunato malvivente, mi restituii quanto mi era stato sottratto ma mi costrinse ad andare alla stazione per tutti gli accertamenti del caso. Tralasciando le infinite risa che il mio aspetto suscitò, dovetti rimanere seduto a sbrigare la pratica del mio furto per oltre un’ora e così persi il party per cui mi ero tanto prodigato. Ciliegina sulla torta, sarei stato costretto a raggiungere casa con i miei mezzi se una simpatica poliziotta, ormai a turno ultimato, non si fosse offerta di darmi un passaggio, per solidarietà femminile mi disse. La battuta mi strappò un sorriso e quindi accettai.

Mentre percorrevamo la strada scambiammo le classiche quattro chiacchiere, giusto per evitare un imbarazzante silenzio, e proprio questo mi indusse a non controllare dove ci stessimo dirigendo. Con mia grande sorpresa, mi ritrovai in una zona sconosciuta e quando chiesi motivo di questa deviazione, per tutta risposta mi trovai la pistola d’ordinanza puntata addosso; ammetto di aver avuto paura in quel frangente e molta di più quando fui costretto a scendere per vedermi ammanettato. Durante questo supplizio, la simpatica agente mi confidò che ci trovavamo a casa sua e che era decisa ad offrirmi una serata speciale in cambio di quella a cui avrei dovuto partecipare. La mia faccia non deve aver espresso un atteggiamento positivo, perché premette ancor di più la canna sulla mia guancia, urlandomi nelle orecchie che dovevo fare esattamente quello che voleva e che ad ogni trasgressione sarei stato punito; a tale affermazione provai a ribellarmi, ma la sua era una presa ferrea e mi parve d’intravedere una scintilla di eccitazione, cosicché decisi di accontentarla.

Una volta dentro venni liberato anche se sempre sotto la costante minaccia dell’arma che teneva in pugno. Senza dire una parola mi indicò un grosso pezzo di legno posto al centro del salotto: in principio non capii cosa volesse, ma poi compresi quando notai che sul pavimento erano presenti degli anelli a cui erano attaccate delle catene. In sostanza, fui messo alla gogna, in una posizione che mai avrei pensato di assumere, ovvero a quattro zampe, con polsi e caviglie incatenate al pavimento e il ventre appoggiato al rozzo sostegno di legno. Quando fui a posto, rimise nella fondina la pistola e si dileguò in un’altra stanza per tornare vestita con un corpetto di pelle nera, stivali lunghi fino al ginocchio e un insieme di oggetti che ben poco lasciavano all’immaginazione sul loro uso.

A questo punto la festa iniziò: mentre un’infinita sequela di insulti fuoriuscivano dalla sua bocca, cominciò a tagliare il vestito, partendo dal collo, passando per il reggiseno fino ad arrivare alla gonna, lasciandomi con la schiena completamente scoperta e le mutande addosso, oramai raggruppatesi tra le mie chiappe esposte. Intuivo che la mia paura l’aiutasse nel suo perverso gioco, perciò cercai di assumere un atteggiamento più forte, più coraggioso, ma invano: lasciandomi completamente basito, mi resi conto che le mie gambe si stavano aprendo da sole, trascinate dalle catene a cui ero legato. Quando raggiunsi la massima apertura, la vidi tornare al tavolo dove aveva lasciato il suo armamentario e scegliere il suo primo strumento di piacere. Ne avevo sentito parlare, ma mai avevo pensato che l’avrei visto così da vicino: era una mutanda con un fallo finto di dimensioni ridotte per la lunghezza, ma non altrettanto per la larghezza. Una volta indossata, tornò alle mie spalle e con un colpo deciso riuscì ad infilarmelo tutto; il dolore fu straziante, cercai di urlare ma mi diede un colpo con un frustino sulla schiena e infine mi mise una correggia in bocca per farmi tacere. Purtroppo davanti agli occhi avevo un orologio e così potei vedere che si divertì letteralmente alle mie spalle per una decina di minuti. La sentivo gridare dall’eccitazione, darmi della puttana in calore, di quanto ero “sporca” e di come meritassi la sua punizione.

Una volta terminato e prossimo alla resa, fui liberato ma solo per essere nuovamente incatenato in posizione supina. Sentivo il mio povero sedere in fiamme, sia per la privazione della mia verginità anale, sia per le fustigate che non si era risparmiata di dare ai miei glutei; ahimè, ancora non era finita: toltemi le mutande, prese a masturbarmi con foga e quando fui completamente eretto, strinse la base del mio pene con una seconda striscia di cuoio in modo tale che non ricadesse su se stesso. Così messo, raccolse il mio scroto tra le mani e strinse. Non riuscivo più a distinguere la realtà dall’incubo, ma percepivo solo il dolore alle mie parti basse, la sua estasi data dalla mia pena e i movimenti convulsi a cui erano sottoposti i miei testicoli e il suo clitoride. Quando raggiunse l’apice, si portò velocemente sulla mia pancia e mi venne addosso, schizzandomi in ogni dove, quasi fossi la sua latrina. Poi si girò, dandomi le spalle, e si piegò sul mio pene: inizialmente lo leccò da cima a fondo, e visto quel che avevo subito fino ad allora mi sembrò il paradiso, ma poi prese a morderlo, stringendo tra i denti la punta fino a farmi sanguinare, per proseguire con sberle lungo tutta l’asta e concludere con una nuova masturbazione violenta, che mi portò all’orgasmo. Naturalmente rimasi eretto dopo e questo le permise di assaporare il mio nettare, leccandolo a partire dal basso per risalire fino alla cima.

Ero stremato, scosso dalla paura e dal dolore; sicuramente fu questo insieme di sensazioni che mi diede la forza per la mia ribellione appena compresi di essere libero: mentre ancora mi elogiava per la mia grande prestazione, le balzai addosso e cominciai a ripagarla con la sua stessa moneta. Le mie mani calavano sempre più forte sul suo corpo, volevo farle del male, volevo, desideravo, pregavo perché anche lei urlasse di dolore, che mi implorasse di lasciarla. Preso ancora dalla foga la scaraventai sul patibolo e la legai. Vidi un lampo di incomprensione nel suo sguardo e questo mi eccitò: afferrato il fallo più grosso e lungo che vidi, le sollevai le gambe e glielo misi su per il retto finché potei, quindi, ricordando di avere ancora il membro legato, le divaricai le labbra in malo modo e spinsi forte, con foga, fino a venire nuovamente; ma non mi fermai, continuai ancora e ancora, fino a quando le forze nelle gambe mi lasciarono. A questo punto avvicinai la mia bocca e presi a morderle il clitoride, mentre la mia intera mano destra entrava in lei. Più gemeva e più mi eccitavo, e più continuavo con quella tortura, più lei urlava. Era un circolo senza fine, ma anche questa giunse.

Mai avevo provato tante e tali emozioni, così scivolai a terra, ma prima di abbandonarmi ad un sonno senza sogni, la liberai, conscio del fatto che io non ero come lei.

Quando mi risvegliai era notte inoltrata e la trovai tra le mie braccia. Con calma la scostai, liberai il mio povero compagno d’avventure dalla sua prigione di cuoio e mi ricomposi. Dopo aver approfittato del suo bagno e di ogni crema disponibile per alleviare il dolore, specialmente quello sul retro, mi diressi verso la porta per poter uscire da quell’inferno e tornare a casa. Lì la trovai che mi fissava. Non sapevo che fare, ma per fortuna anche lei si ricompose in fretta, prese le chiavi dell’auto e mi riportò a casa. Facemmo tutto il viaggio in silenzio, ognuno immerso nei suoi pensieri, i miei, lo confesso, molto scuri. Giunti alla meta, poco prima che scendessi senza degnarla di uno sguardo, mi confidò che l’avermi visto vestito da donna, colpito da uno dei tanti sgarbi che quelle del suo stesso sesso ogni giorno subiscono, quasi indifeso e succube degli eventi, aveva acceso in lei la fiamma della voglia di potermi dominare; era stata irrefrenabile e vi aveva ceduto, ma poi, quando lei era passata dalla parte del dominato, aveva trovato qualcosa di nuovo, qualcosa che non aveva mai provato e che le piaceva. Perciò, prima che mi allontanassi, mi diede il suo numero, chiedendomi di riprovare ancora un giorno. Quando fui nuovamente in casa cercai di scacciare ogni istante di quel che avevo subito e provato, ma non ci riuscii. Con il passare dei giorni il pensiero tornava sempre alla mia mente e alla fine cedetti. Oramai sono passati due anni da allora, due anni trascorsi tra una dominazione fatta ed una subita, perché tra noi non ci sono ruoli, ma solo il gusto per la perversione.


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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Marc741 Invia un messaggio
Postato in data: 10/03/2014 08:21:12
Giudizio personale:
eccitante mi piacerebbe giocare con voi senza avere un ruolo definito....eccitante

Autore: Il Chimico Invia un messaggio
Postato in data: 08/07/2010 16:58:44
Giudizio personale:
eccitantissimo!


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