i racconti erotici di desiderya

Eros e [inutili] parole d'amore

Autore: Muyhermosa
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Cambia lo sfondo
Voglio imbrattarmi di parole oscene,

palesare le allusioni, ammonire

i rivoli di miele a render[mi]e stucchevole

ogni periodo... a trasfigurarlo,

alternandone la passione iniziale...

Perché il cuore tende sempre ad arrovellarsi

su eterni dilemmi di irrisolti dissidi

smarrendo i dettagli di tante notti

sprovviste di quell'impegno mentale

e di quel coinvolgimento emotivo che fa grave

ogni interludio che altro non dovrebbe

contemplare e comprendere

se non l'armonia dei sensi che nulla ha in sé

di tendenzioso e, pertanto,

sufficiente ad autoalimentarsi?

Eppure io sono [anche ] altro.

Io sono stata e ho vissuto

soprattutto d' altro...





"Lei ha da sempre rituali che sanno di piccola magia, gesti quotidiani che danno e mettono cornice a quello che fa. Va in cucina, riempie d’acqua il bricco di ferro smaltato che ha portato anni prima dall’Inghilterra, accende il fornello più piccolo, e mentre l’acqua si scalda apre la vetrinetta dei pensili alti, prende la scatola del tè verde cinese. Poi con tre dita –pollice, indice e medio- afferra e stringe una minuscola noce di semi verdi. Guarda sempre in alto, mentre l’acqua inizia a far salire a galla bollicine lievi e scoppiettanti. Guarda e pensa, e risente lo scrosciare lento e leggero della pioggia londinese, rivede le signore che corrono per la strada, senza ombrello o riparo, solo fazzolettoni ridicoli in testa e galosce ai piedi. Orribili. Poi ancora riempie la tazza bianca con le fragole rosse, un regalo della sorella, va nella sala piastrellata di parquet scuro. Accende una candela, la infila nel vaso di vetro riempito di riso e sassi per sostenerla. Sulla fiamma della candela arroventa un incenso, e fa penetrare l’asta di legno sottile nella terra di un vaso, vicino alla finestra. Beve, lentamente, guardando dalla finestra. Alberi, cielo attraverso i rami, le case di fronte, cani che corrono, ogni tanto un uccello attraversa quel poco spazio tra vetri e alberi. Una scia nera veloce, una freccia scura che spezza a metà l’immagine ancora nel suo sguardo.

Era seduta sul letto dell’albergo, quella sera. Un hotel di lusso, una stanza elegante, uno specchio appositamente macchiato, ad arte, appeso sul soffitto. Era seduta e guardava in basso, la punta delle sue piccole scarpe nere faceva su e giù come a spostare qualcosa sul pavimento. Un batticuore la invadeva tutta. Se avessero messo un altoparlante sul petto, sulla maglia nera aderente, si sarebbe potuto sentire un “tum tum tum” ossessivo, perforante. Lui era accanto a lei.

Non lo guardava, ne vedeva solo la parte finale delle gambe, le sue

scarpe marroni, il bordo dei pantaloni. Non lo guardava, ne aveva

come un po’ di timore, si vergognava…..

”Mi vergogno, io?” si sorprese a pensare stupita. Io, si diceva, che in queste situazioni divento immensa, sovrastante, un mantello di carne e passione che riesce a coprire tutto…io, piccola minuta e un po’ bambina, che poi allargo braccia e cuore, e avvolgo chi ho accanto, per farlo sparire in me, inglobarlo come un’ameba vivente. Farlo mio, senza una parola o un sussurro, che non siano i miei…. Ma si vergognava. Si sentiva le guance che scottavano. Lo ricordava, anni prima, in una situazione esattamente capovolta. Lei sfrontata, sicura delle sue intenzioni, lui timido e irretito, ormai, dal profumo di sesso che lei emanava.

Forse sono rossa, sulla mia pelle del viso adesso, pensò….

Devo andare, devo andare, presto presto presto….il suggerimento della ragione perforò l’aria, e lei alzò il viso. Lui era bellissimo, e sorrideva.

Appena le pieghe della bocca inclinate, e un brillìo negli occhi. La volontà forzata di lei si smorzò subito…qualcuno le impresse una leggera spinta sulla schiena, si trovò sotto il volto di lui, gli sfiorò appena le labbra,

le sentì asciutte, volutamente avare.

Si ritrasse. Lo guardò.

E poi di nuovo, un altro ondeggiamento in avanti. Per incontrare questa volta la bocca di lui, disponibile, avvicinata. Si baciarono a lungo. Lei con le piccole mani gelide dall’emozione intrecciate in grembo, sulla gonna. Il batticuore che le straziava la carne tra i seni, che faceva male adesso. Si vedeva da fuori, e le veniva da sorridere ad immaginarsi in quella posizione strana, dritta sulla sponda del letto, solo la testa dai corti capelli neri girata verso di lui. Il resto del corpo per conto suo, e il viso con una vita propria. Pensò per un momento “e ora?” sorprendendosi immediatamente per la stupidità estrema di quelle due parole. Ora cosa? Ora che? Ora, e basta……. Passò attraverso quelle labbra, la saliva dolce di lui, il tepore morbido della carne, il fiato caldo che si sentiva sul viso, l’odore strano della sua pelle. Si trovò come dietro ad uno schermo di un cinema.

Non spettatrice, ma personaggio con un’altra lei che guardava,

comodamente seduta e interessata….

Stava dentro quella bocca, tutta intera,

ormai al sicuro, in uno spazio che aveva cercato da tanto.

Allora alzò le braccia, d’istinto. Gli circondò le spalle, larghe e nello stesso tempo ossute, rimaste tali e quali ad anni prima. Lo strinse forte, lo tirò contro di sé, sempre baciandolo. Poi con le labbra riarse, ormai prive del rossetto che s’era già perso sul bicchiere di birra bevuto in un pub fumoso e buio, cominciò a percorrergli le guance e il mento e il collo rasato ma ruvido, andando su e giù con la sua pelle sulla pelle di lui. Ne sentiva la superficie profumata, il raspare della barba appena spuntata. Lui sussurrava qualcosa, appoggiato con le labbra sulle orecchie di lei. Non capiva, non poteva, le parole ignare entravano e uscivano dalla sua mente. Lei ascoltava solo il rumore delle emozioni ad ondate, a boccate piene, a colpi secchi sul cuore. Quando beve il tè, lei non guarda mai nella tazza. Appoggia la bocca già socchiusa sul bordo di porcellana bianca, facendo uscire un piccolo fiotto di aria per freddare il liquido. Poi sorseggia, quasi aspirando per non scottarsi, così che il tè arriva sulla sua lingua già tiepido. Le piace amaro, macchiato poco con il latte. Quel tanto che basta per stemperarne il sapore aspro. Non serve, però. Quando il tè le arriva nella gola, l’amaro le ha invaso il palato e le fa stringere i denti. Lentamente scivolarono a distendersi sul letto.

Sempre avvinghiati, non si toccavano altro che le spalle uno dell’altra.

Si baciavano come impazziti, come una caccia al tesoro tra capelli e pelle, per trovare e cercare qualcosa di smarrito, di nascosto, di perduto…

Su un fianco, vestiti com’erano entrati nella stanza,

si erano come incollati uno addosso all’altra,

respirando i reciproci respiri.

Lui lasciava uscire, nei frammenti di tempo e spazio

che lei gli concedeva,

parole che lei percepiva a stento.

I capelli di lui erano lunghi come allora, ma più radi, e più grigi. Lei si era girata, appena arrivata al bar, intuendo la presenza di lui alle spalle. Era lì. Le aveva sorriso allargando le braccia come a dire “eccomi”, con una smorfia divertita. Poi avevano parlato, e giocato a cercare le tracce degli anni passati. Lei tendeva le spalle in avanti, con un linguaggio del corpo

che diceva “prendimi, ora, ti prego…non farmi più aspettare..”

Per tutta la sera dai pori della pelle di lei era sgorgato desiderio.

Un rito, quello che adottava con gli uomini, come con la preparazione del tè.

Sapeva il percorso, conosceva la strada.

Ne contava i passi, uno ad uno…e la fine era sempre la stessa.

Si trovava il corpo di quell’uomo prescelto tra le mani,

sapeva dove andare, dove toccare.

Lo leccava piano, dovunque, dall’interno delle cosce all’inguine al sesso, lo avvolgeva tra le labbra. Aspirava l’odore per decretare il voto, per dire sì, è quello giusto, almeno oggi, almeno per ora. Un gioco con pedine, dadi e caselle. Riti magici, lei una strega che concepiva e costruiva un’alchimia tutta sua. Quella sera non funzionò, mai. La maglia nera aderente sui seni sporgenti, lo sguardo invitante, il collo sottile e lungo, le labbra inumidite spesso, come davanti a un piatto goloso. Nulla. Lui sorrideva e scherzava. E lei l’aveva seguito….ipnotizzata. Il bar, la strada, la piazza, un altro bar, e poi il ritorno…”E adesso?” aveva domandato lui guardando la chiave della stanza. Poi si era girato e lei l’aveva seguito silenziosa, ammutolita, il cuore che già cominciava a correre. Ora continuava quasi a mordere la pelle del collo e del viso di lui, affamata assetata non sazia, senza respiro quasi. Poi s’era fermata. Staccando appena il viso da gatta da quello di lui, lo aveva guardato in fondo alle iridi scure. Aveva in un attimo costruito una strada tra sguardo e sguardo, lo aveva preso per mano, se l’era portato con sé, proprio su quella strada. Allontanandolo ancora si era girata del tutto. Si guardò nello specchio sopra di loro.

Si girò anche lui. C’erano, in quello specchio, due bambini grandi e ignari, due adulti inconsapevoli e fuggitivi. C’era tutto, nello specchio e nella stanza.

Ma lei doveva andare.

Gli sfiorò appena la stoffa scura dei pantaloni,

tra le gambe, come a promettere qualcosa.

Lui ricambiò il gesto, appoggiando la mano grande sul seno di lei, stringendo poco e emanando un calore che lei sentì subito. Ti regalo una cosa, prima di andare, sussurrò lei. Si mise seduta, alzò la gonna lunga e stretta fin sulle cosce. Girò le mani sui fianchi, impegnandole a slacciare qualcosa.

Le ritrasse dopo qualche secondo, esibendo un trofeo nero. Te lo regalo, gli disse affidandogli quel pezzo di stoffa scura nelle mani. Era un prezioso reggicalze nero, traforato, ancora caldo per il contatto con la pelle. Lui lo afferrò piano,

lo strinse nelle due mani, lo portò al viso aspirando forte l’odore di lei.

Poi lo serrò nel palmo, a nasconderlo del tutto. Lei si alzò.

Si rassettò con calma e gesti antichi la gonna. Si passò le mani tra i capelli.

Lo baciò ancora una volta, prese il cappotto scuro buttato sulla sedia, aprì la porta e lasciandola socchiusa uscì, inghiottita dalle scale ricoperte di moquette.

Quando finisce il tè, lei si tiene sempre tra le mani

la tazza calda, ancora per un po’,

a riscaldare la pelle e il cuore. Vede dentro la porcellana bianca

l’impronta scura del liquido che si rapprende.

E’ già finito, pensa, l’ho inghiottito adesso e già non lo sento più.

Ma ne ho voglia ancora".





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