i racconti erotici di desiderya

Dominazione a lungo attesa

Autore: LightInDarkness
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Dominazione a lungo attesa



Trip to the hell



Scese dal treno.

Nervosa scrutava la pensilina in cerca di uno sguardo conosciuto, ma troppe persone aspettavano, camminavano, spintonavano, avrebbe voluto mandarli tutti al diavolo, loro, senza scopo, senza un fine, senza una guerra interiore da combattere strenuamente col proprio pudore, con la propria ansia da messa in gioco.

Finalmente, in fondo, proprio all’inizio del binario.

Attratta come da una calamita, soffermò i suoi occhi su di un uomo in attesa, anche lui insinuava il suo sguardo tra le persone, dietro i cappotti, le ventiquattrore, al di là del fumo di sigarette.

Incrociò il suo sguardo, ma in realtà non la vide. Lei però lo riconobbe e il cuore le sussultò e poi non batté più. Da un’infinità di giorni aspettava questo momento e si ritrovò a sentirsi turbata, in realtà quell’uomo non lo conosceva affatto, non era andata più in la di chiacchiere al telefono, fugaci momenti di passione rubati a vicendevoli impegni quotidiani.

Abbassò lo sguardo, fece una panoramica mentale del suo aspetto, percependosi a dir poco goffa e mal acconciata, trasse un sospiro e rialzando lo sguardo s’incamminò.

Ormai di tutta quella moltitudine di gente era rimasto ben poco e l’uomo, di cui fino ad un momento prima scorgeva solo una sagoma, si stagliava ora ben distinto ai suoi occhi.

Lui la guardo, in un primo momento perplesso, poi visibilmente compiaciuto di averla finalmente trovata e le sorrise, un sorriso sincero, quelli che fanno socchiudere gli occhi e che fanno sembrare che tutto il mondo stia gioendo della sua felicità. Le si riempì il cuore e sentì una vampata di calore che l’avvolse da capo a piedi e la fece fremere.

Lui aspettò che fosse lei a raggiungerlo, finalmente erano l’una accanto all’altro, poteva percepire il suo profumo, percepire il suo corpo, come se l’aura stessa fosse un’entità palpabile, capace d’avvolgere i corpi sensibili ad essa, in una calda coperta.

I suoi occhi, difficile fu sostenere lo sguardo, di occhi così penetranti e capaci di scivolarti dentro.

Non sapeva bene che fare, sopraffatta com’era da quel sentimento che le pulsava dentro, lasciò infine cadere la pesante borsa che reggeva su una spalla e gli buttò le braccia al collo, insinuò il viso rigato di lacrime tra il suo collo e il bavero della camicia e inspirò profondamente. Lui ricambiò prontamente il suo abbraccio, scivolando con le mani all’interno della giacca aperta, accarezzandole la schiena coperta solo da una maglietta e provando così la prima fugace sensazione del suo corpo.

La fece scostare quel tanto che bastava per guardarla nuovamente negli occhi e colto da una dirompente passione, la baciò. Pochi convenevoli, lingua contro lingua, in uno spasmo ansimante, occhi chiusi, mani che scivolano dal collo alle spalle, dita che si insinuano nei suoi capelli e che in un impulso di dominazione vennero tirati in modo da inclinarle la testa e dare spazio al collo bianco e lungo, ora ricoperto di baci e morsi al limite del dolore.

Era pronta, se la decenza pubblica lo avesse permesso, si sarebbe concessa in quell’attimo stesso di passione travolgente.

Lo seguì all’esterno della stazione.

Felice di essere finalmente sua per almeno due giorni, il viaggio in macchina lo trascorse come la gita tanto attesa verso il patibolo, una confusione di tutte quelle emozioni percepibili da un essere umano.

Chiacchierarono.

Arrivati a destinazione, lei scese dall’auto e aspetto composta che quell’uomo dall’animo oscuro e indecifrabile la raggiungesse dopo aver parcheggiato.

Salirono le scale, lei dietro in silenzio, sempre più agitata, consapevole che una volta entrata nella sua prigione urbana, avrebbe vissuto momenti di intenso godimento, ma anche tanta sottomissione e dolore che l’avrebbero accompagnata in tutti i suoi passi futuri.

< Una sorta di prova di resistenza > pensò, varcando la soglia di casa.

Le diede solo il tempo di richiudersi l’uscio alle spalle e la prese per le braccia stringendola forte, la sabbatté contro la porta e la baciò nuovamente, le stava facendo male. Le sfilò la giacca, mantenendo serrate le sue labbra contro quelle di lei, esplorando la sua umida bocca vogliosa di cotanto ardore. Lei non oppose resistenza, non avrebbe ottenuto la libertà, lasciò che le sue mani le accarezzassero i fianchi, la pancia, i seni che furono ricoperti a coppa, soppesati ed infine stretti in una morsa implacabile ed estremamente dolorosa, che le strappò un gemito soffocato tra le labbra insaziabili di quell’uomo così affascinante.

Una delle mani lasciò la presa, ormai il suo respiro s’era fatto vistosamente affannoso e mentre lei godeva da quell’improvvisa libertà, dita indagatrici le alzavano la gonna e s’insinuarono tra le labbra della figa abbondantemente bagnata d’eccitazione. Era completamente depilata, è una di quelle cose che la facevano sentire più a suo agio e più desiderabile ad occhio altrui, la mancanza di slip, che le coprissero le zone intime invece, era una richiesta, anzi un ordine, impartitoli direttamente da quell’uomo che stava violando le sue nudità.

Avrebbe voluto che la penetrasse lì, si sentiva fremere da capo a piedi e non riusciva a credere che l’oggetto dei suoi desideri, fosse ancora del tutto vestito, coperto ancora dalla giacca di pelle nera che emanava un profumo arcaico e conturbante. Avrebbe desiderato poter ammirare quel corpo che tanto aveva sognato ed invece no, rimaneva ancora celato al di sotto di strati di indumenti che avrebbe voluto strappar via con i denti, se le fosse stata data la possibilità.

In poco tempo si ritrovò completamente nuda, esposta e scrutata come fosse ad un’asta di schiavi, ma era appunto a ciò che agoniavano le sue carni e la sua mente, desideravano essere umiliate e sferzate dolorosamente per un unico scopo, quello di compiacere il suo padrone e in fondo all’animo, godere anch’essa.



In to the grave



Polsiere e cavigliere, agganciate le une nelle altre, la costringevano ora in ginocchio sul bordo del letto, le spalle e la testa girata da un lato, poggiavano sul materasso e le gambe ben aperte, l’esponevano all’umiliazione di un’esplorazione delle sue morbide carni pulsanti. Provava sincero piacere nell’offrire se stessa in quella posizione oscena e percepiva l’intensità di emozioni che anche il suo Signore provava nel toccarla e penetrarla con le dita. Si sentiva sempre più violata e coinvolta, stava pian piano perdendo la consapevolezza del suo essere e si stava tramutando sempre più in uno strumento per il suo ed altrui piacere.

Ansimava ed aspettava solo un ordine e quello arrivò, ma non fu verbale, bensì una manata ben assestata al fianco la fece cadere di lato, le furono liberati i polsi dalle caviglie. Strattonata bruscamente venne fatta cadere sul pavimento e messa in ginocchio, si ritrovò finalmente il suo cazzo davanti alle labbra. Desiderava da un’eternità di poter socchiudere le labbra e far scivolare la lingua lungo quell’asta liscia e turgida e di sentire quella presenza ingombrante ed estranea riempirle la bocca e toglierle il respiro. Si accorse in quel momento di star già leccando la punta del suo uccello, senza neanche essersene resa conto. Una reazione improvvisa dei lombi di lui, la colse di sorpresa e si ritrovò il suo cazzo per metà in bocca, le sue mani le avevano poi preso la nuca tirandole i capelli e stantuffando l’arnese in quella cavità viva.Per tutta risposta lei prese ad accarezzargli il culo, per poi piantarci le unghie ogni qual volta l’affondo diventava troppo violento e rischiava di indurle i conati.

Godeva di quella violenza gratuita, ma più di tutto godeva nel sentire lui eccitato e soddisfatto del suo lavoro di bocca.

Era al limite, la stava usando da tanto e già da un po’ tratteneva l’orgasmo, lei lo pregava con gli occhi di sborrarle in bocca, lui accolse le sue suppliche e venne. Un fiotto copioso le inondò la bocca, sentì sulla lingua il suo sapore e le piacque , chiuse gli occhi per godere a pieno di quel momento, si sentì onorata di essere stata usata e orgogliosa di non aver perso neanche una goccia del liquido sacro.



Eternal punishment



Decisero di uscire.

Finalmente. Da anni non vedeva più il mare, adorava il profumo della salsedine, lo stridio dei gabbiani in volo, lo sciacquettio delle onde sulle banchine del molo, era una commistione di sensazioni che l’ha sempre rilassata e fatta sentire parte dell’universo. Era con lui ora, vedeva il mondo che lui tanto amava con gli stessi occhi. Era splendido.

Mangiarono un piatto di pasta in un ristorantino e continuarono il breve giro.

Tornati a casa sua, non smisero di parlare di loro, dei desideri nascosti e di aneddoti divertenti. Lo guardava negli occhi e non riusciva a credere di aver aspettato così tanto prima di correre da lui. Non era amore quello che gli univa, ma un’intensa passione, armata di zanne aguzze che lacerava i loro ventri ad ogni occhiata.

Quella infame bestia ebbe ad un certo punto la meglio e proprio mentre lui stava terminando la frase, lei lo baciò.

Lui decise che colei che aveva avuto la sfrontatezza di interromperlo mentre parlava, dovesse essere duramente punita, le sarebbe servito da monito per eventuali errori futuri.

L’afferrò per un braccio cogliendola di sorpresa, non oppose resistenza, rimase solo turbata dal cambiamento repentino d’atteggiamento del suo Signore, capì immediatamente che l’aspettava un momento duro e doloroso, ma accolse nei suoi pensieri l’idea che se così lui desiderava, così sarebbe stato.

Si fece trascinare malamente dinnanzi ad una porta, lui le prese le mani e le fece appoggiare i palmi aperti sugli stipiti contrapposti, le allargò le gambe con un piede e le disse di non gridare, qualunque cosa lui le facesse. Un tremito del suo corpo, gli fece capire che lo stato di tensione che desiderava insinuare, era stato raggiunto. Le si avvicino e le sussurrò in un orecchio: ”lo sai che sei una nullità, non sei niente!”

Per tutta risposta ebbe solo un sospiro dalle labbra tremanti di lei ed una lacrima, che le solcò il viso. Il suo scopo era raggiunto.

Le si fece dietro e senza troppi preamboli le frustò la schiena, lei si inarcò in uno spasmo di dolore, buttò la testa all’indietro e trattenne un gemito a denti stretti. Ora tremava di più, sapeva cosa l’aspettava e sapeva che il suo Padrone non era sicuramente magnanimo, anzi godeva a vederti allo stremo e ti costringeva ad andare anche più in là.

Teneva la frusta arrotolata per parte della sua lunghezza, lo scopo infatti non era quello di lacerare le carni, ma di provocare fortissimo dolore senza lasciare segni permanenti. Assestò un nuovo colpo e questa volta le sue ginocchia si flessero e con il busto scivolò in avanti entrando per un pezzo all’interno del vano della porta. Un altro, poi un altro e un altro ancora, le sferzate si susseguivano violente e implacabili e ormai la sua capacità di trattenere le urla veniva meno. All’ennesimo colpo, lei cedette, urlò e poi chiese pietà con la voce rotta dal tremito e dalla stanchezza fisica, per tutta risposta le furono inferte altre tre frustate ravvicinate e più violente delle altre; cadde a terrà stremata, tremante, dalla sua bocca uscivano ancora gemiti per via del forte dolore che ancora provava alla schiena. Le si avvicinò, e le ordinò di alzare la testa e guardarlo negli occhi; per lei fu un ulteriore sopruso, dover guardare negli occhi il suo carnefice, con le lacrime che le fluivano copiose sul viso, lui sorrise soddisfatto, le si accucciò di fianco e con un dito raccolse una lacrima, che dal mento stava per precipitare a terra, se ne inumidì le labbra e poi la baciò.

L’aiutò a distendersi sul letto, la coprì con una coperta dato che stava tremando anche di freddo e la fece riposare. Le si distese accanto e la guardò addormentarsi.



Si svegliò e la casa era immersa in un silenzio assoluto, nessuna luce era stata accesa, nessun movimento o flebile brusio, era sola.

Ne approfittò per andare a lavarsi, si fece una lunga e rilassante doccia calda, per asciugarsi usò quel asciugamano che tanto sapeva di lui e le si riaccese il desiderio.

Ora ebbe l’occasione di esplorare l’appartamento, si vedeva che era un uomo a viverlo e a coltivare le sue suppellettili, profumava di vita, profumava di lui.

Presto tornò, convinto di trovarla ancora addormentata ed invece la vide seduta sulla sedia della cucina con addosso il suo asciugamano e con ancora i capelli bagnati e gocciolanti d’acqua profumata di shampoo, lei gli sorrise, lui le sorrise di rimando porgendole un sacchetto.

Mangiarono insieme i cornetti che era uscito a comprare e chiacchierarono un po’, lei però era visibilmente stanca, provata dal lungo viaggio in treno, dalla notte quasi sicuramente insonne trascorsa precedentemente alla partenza e dalle intense emozioni provate nelle ultime ore, ma a parte tutto si sentiva bene, un po’ meno sicura di se, quello si, del fatto che in quel luogo non tutto le era concesso e perdonato, ma ogni sua azione aveva una conseguenza a volte molto dolorosa sia fisicamente che emotivamente.

Si distese sul divano e la chiamò a se, lei quasi intuendo e precedendo le sue parole, si andò a sedere per terra, accanto a lui. Lui si spogliò e lei di conseguenza si tolse quel rettangolo di spugna che le copriva le zone intime e rimase nuda. Lui si prese il cazzo in mano e movendolo un po’ lo inturgidì, con un cenno le ordinò di prenderlo in bocca e lei senza fiatare lo fece, questa volta niente strattoni, niente penetrazioni soffocanti, ma solo arte. Mentre lui leggeva un libro, lei si dedicava a quel membro duro tra le sue mani e ne leccava l’estremità.

Fece scivolare la lingua lungo tutta a lunghezza, in su e in giù qualche volta, la sua lingua si fermò poi di colpo tra la fessura del glande e lì circoscrisse piccoli cerchietti, poi ritornò giù, mordicchiando questa volta il membro duro di lui. Una volta ritornata in punta, prese in bocca solo la cappella e ci fece girare attorno la lingua più e più volte. Sentendo pulsare quel cazzo dentro la sua bocca, non ce la faceva più, era eccitata e tutta bagnata, voleva scoparselo, ma senza il consenso del suo Padrone, non avrebbe mai potuto alzarsi e cavalcarlo, quindi fece l’unica cosa in sua possibilità, lentamente si fece penetrare interamente e si fece scopare la bocca da quel cazzo duro e lungo e ne godette come fosse la sua figa ad ingoiarselo.

Lui non volle venirgli nuovamente in bocca, la fermò di scatto e la tenne ferma con la bocca piena ancora di lui, appoggiò delicatamente il libro e lentamente si alzò. Lei dovette accompagnare tutti i suoi movimenti, dato che si trovava ad essere un’ingombrante prolungamento del suo pene. In ginocchio, con il collo tirato e con gli occhi che lo fissavano confusi ed eccitati, venne condotta a letto. Le fu dato il permesso, di far scivolare fuori della sua bocca quel cazzo tanto adorato e così poté finalmente chiudere le labbra e deglutire. Venne fatta sdraiare, le furono legate le mani sopra la testa e ordinato di tenere le gambe flesse e divaricate, venne poi bendata. Sentì la calda presenza del suo padrone tra le gambe e un fremito l’attraversò quando un dito di lui si accertò, toccandola tra le piccole labbra, del suo stato di eccitazione. Soddisfatto, le si mise sopra e la penetrò di impulso. Lei si inarcò, per la violenta sensazione di dilatazione e per la profonda gioia di essere finalmente fottuta da lui. La prendeva con vigore, godendo della sua forzata immobilità. Nei momenti più intensi, gli piaceva guardarla in viso, immaginare i suoi occhi chiusi al di sotto della benda e godere della sua bocca, dalle labbra turgide, spalancata in ansimi e gemiti di piacere. Ogni tanto le assestava uno o più schiaffi, in modo da tenerla sempre tesa e gioire dei sussulti di sorpresa e lieve dolore. Gli piaceva trattare così le donne, sentirle totalmente sottomesse al suo volere, poterle sfruttare per il suo puro godimento e non avere rimorsi delle loro lacrime, ma eccitarsi della loro sofferenza interiore.

Decise che avrebbe giocato con un’altra parte del suo corpo, le sfilò quindi il suo cazzo da dentro e la girò, la fece sistemare in modo da avere pieno accesso alle sue nudità. S’inumidì un dito e le penetrò il culo scavando in profondità, lei gemette. Dopo aver spinto avanti e in dietro quel dito per un po’, se ne aggiunse un altro, vennero poi ruotati al suo interno e in fine un altro si aggiunse, l’ultimo, prima di ricevere il suo cazzo. E fu così, che appena le dita furono estratte, al posto loro premeva ora per entrare nella sua pancia, un uccello duro e grosso. Venne spinto dentro senza nessun ostacolo, lei era pronta, desiderava essere usata e quella era la sensazione più forte che potesse desiderare, godette nel sentirlo scivolare dentro e quando ciò successe trattenne il respiro. Cominciò ad andare avanti ed indietro, prima piano, poi il ritmo divenne sempre più sostenuto, gli ansimi di lei s’intensificarono e divennero quasi grida ad ogni penetrazione, le piaceva così tanto che dovette mordere il cuscino per poter disperdere almeno parte di tutta quell’intensità. Alla fine lui venne, le riempi il culo di sborra calda, premette ancora qualche volta ed estrasse il suo cazzo ancora parzialmente duro. Le si distese accanto, ansimava ancora e guardandola negli occhi si mise a ridere, risero in insieme per un po’, infine si baciarono, un bacio stanco e languido.



The violence mine



Fecero tardi, chiacchierarono tanto, risero e si divertirono sapendo che quel tempo sarebbe durato troppo poco e quindi decisero di goderselo al massimo. Si coricarono l’uno accanto all’altra. Lei non riuscì a prendere facilmente sonno, la presenza di lui, il suo profumo e le esperienze della giornata la confondevano, facendola restare sveglia. Si ritrovò a pensare alla sua schiena, solo quel pomeriggio era stata frustata come una schiava, si chiese per un attimo,se le fossero rimasti dei segni che le ricordassero in eterno quel giorno, curiosa si alzò e andò in punta di piedi in bagno, per controllare allo specchio lo stato della sua pelle. Alla luce artificiale, girata di spalle, si rese amaramente conto, che nulla di quel giorno le era rimasto tatuato addosso, solo piccole linee solcavano la sua schiena, ma sarebbero scomparse presto. Si diede della cretina e della pappamolle, per non essere stata in grado di sopportare più a lungo le frustate, ma cosa sarebbe successo se l’avesse frustata più forte? Si ricordò con un brivido le urla e le lacrime versate in quella situazione, ma voleva di più, voleva un marchio da portare fieramente addosso a vita, un simbolo della sottomissione portata a quell’uomo lontano, che un giorno, armata di infinito coraggio lei andò a servire.

In quel momento si spalancò la porta del bagno e sull’uscio c’era lui che la fissava, lei si sorprese e si bloccò. Le si avvicinò, le prese la mano con cui lei si stava accarezzando la spalla destra, su cui facevano bella mostra leggere striature rossastre e la strinse a se da dietro, rimasero così davanti allo specchio. Ora poteva vedersi realmente accanto a lui, lo osservava dietro le sue spalle e nel frattempo ne sentiva il calore. Le chiese che cosa la stesse turbando e lei abbassò lo sguardo, vergognandosi dei suoi stessi pensieri, quando gli rialzò incrociò il suo sorriso. Prese il coraggio a due mani e gli spiegò, che desiderava portare un suo segno per sempre su di se. Lui abbassò lo sguardo, le guardò i seni nudi da dietro ad una spalla, quando lo rialzò, notò che lei era visibilmente commossa, gli occhi lucidi tradivano le emozioni forti che la tempestavano e si rese conto che doveva essere stato un grande sforzo, arrivare a chiedergli di procurarle un così forte dolore da lasciarle il segno, si rese conto anche di quanta fiducia e devozione riponesse in lui. Le mise le mani sulle spalle e la fece ruotare su se stessa, in modo che gli si venisse a trovare proprio di fronte, le baciò la fronte e le parlò francamente, le disse che qualsiasi metodo avrebbe usato per lasciarle un simbolo, sarebbe stata comunque una cosa molto dolorosa, al di là del punto sulla pelle che sarebbe stato marchiato, ma anche per la profondità del segno, che per rimanere indelebile, doveva essere al quanto profondo. Lei lo fissò negli occhi, trasse un sospiro e si disse pronta.

Tornarono a letto, si rimisero l’uno stretto all’altra e si addormentarono.



Il giorno dopo si svegliarono assieme, fecero una leggera colazione, ma non parlarono di ciò che era stato detto la sera prima.

Uscirono.

La portò alla Rocca, lei rimase affascinata da quel luogo così imponente, carico di storia e nel camminare accanto ai bastioni e all’interno dei corridoi, l’ansia la avvinghiò sempre più. Sentiva il peso della sua decisione, come se quelle mura le si stessero chiudendo addosso, come se il dolore di mille anime le ordinasse di superare i suoi limiti, che in realtà di limite ne esisteva soltanto uno ed era la morte.

Tornati a casa, l’atmosfera era ancora spensierata per la bella gita, approfittò allora di un suo momento di distrazione e gli si inginocchiò davanti con gli occhi bassi, lui se ne accorse immediatamente e rimase in ascolto.

“Ora” disse lei e poi più nulla.

Le ordinò di spogliarsi e lei obbedì, lentamente come se quello facesse parte di un rito di iniziazione. Una volta totalmente nuda, si inginocchiò nuovamente.

Lui si allontanò qualche minuto, al suo ritorno reggeva in mano un ferro dalla forma strana, lei seguiva ogni suo movimento con ansia e fissava quell’arnese con sincero timore, quasi paura.

Le si accucciò davanti e glielo porse, lei lo prese tra le mani e a quel punto capì immediatamente di che si trattava, era un marchio a fuoco, gli spiegò che lo avrebbe arroventato sui fornelli e che una volta incandescente lo avrebbe impresso con forza sulla sua pelle, stava a lei decidere dove.

Lo guardò negli occhi, gli riabbassò sull’oggetto nelle sue mani, che improvvisamente s’era fatto più pesante e ritornò a fissare il suo Padrone.

“sul braccio sinistro, Padrone, all’altezza della spalla” ed indicò il punto con la mano destra, accarezzandosi la pelle ancora integra e rosea.

Annui, la fece sedere su di una delle sedie della cucina, le mise tra i denti un paio di bassalingua sovrapposti, dicendoli di morderli forte e tentare di non gridare troppo e andò ai fornelli.

Un tempo lunghissimo di attesa, almeno a lei sembrò tale, la saliva le si stava accumulando all’interno della bocca, ma non osò togliere i legnetti che le impedivano di muovere la lingua e quindi di deglutire.

Si voltò, in mano reggeva un tizzone fumante, lei si prese di scatto il braccio all’altezza del gomito in modo da impedirsi di muoverlo durante l’operazione, per quanto lo teneva stretto le nocche le divennero bianche, voltò la testa dalla parte opposta. La prima cosa che sentì fu un intenso calore, poi quando il ferrò le toccò la pelle il dolore fu così intenso che quasi credette di svenire, urlò, non ci fu niente da fare, un filo di saliva le colava sul mento e quando tutto finì, ansimava vistosamente, si accasciò sul tavolo e rimase così parecchi minuti.

Le si avvicinò e le accarezzò la schiena, lei lo guardò, aveva gli occhi stanchi e arrossati, ma lui avrebbe giurato di non averla vista piangere ed infatti era così, non una lacrima scivolo pigra sul suo volto, nemmeno durante la marchiatura. Si tirò dritta, così quell’uomo così sicuro di se, quasi freddo in alcuni suoi atteggiamenti, le poté medicare l’ustione che le pulsava dolorosamente. Non si volle guardare allo specchio, aveva paura che vedendo quella deturpazione si sarebbe pentita e sarebbe scoppiata in una crisi di pianto isterico, quindi si lasciò spalmare delicatamente la crema e poi bendare con bianche garze.



Mangiarono. Lei tocco pochissimo cibo, il suo stomaco aveva deciso che per quel giorno non avrebbe più lavorato e lo assecondò con piacere, già in preda alla nausea.

Parlarono ancora parecchio e non capii se fosse stato il dolore provato, o la fredda determinazione dimostrata da lui, ma il risultato si rese presto evidente: si eccitò. Il suo respiro si rese più affannoso, lo guardava negli occhi, ma in realtà vedeva scene di sesso e decise che voleva essere soddisfatta. Aprì le gambe, mostrando senza vergogna la sua figa bagnata, lui accolse subito la richiesta e cominciò a toccarla lì, dove provava più piacere e a conferma di questo, ansimi le uscirono dalla bocca sensualmente aperta. Fu così che lui la prese e l’accompagnò a letto, la distese morbidamente e gli si fece sopra. La penetrò piano, godendo della pressione delle sue pareti vaginali e lei godette nel sentirsi riempire da lui, fecero l’amore a lungo, senza fretta e lei venne, finalmente venne, era dal momento stesso che lo vide al binario che voleva godere di lui ed ora stava accadendo e così urlò tutto il suo piacere, un urlo intercalato da forti ansimi e da smorfie di dolore da quanto fu intenso, poco dopo anche lui si concesse il giusto appagamento e le sborrò dentro. Le si accasciò sopra e rimasero così finche non arrivò il momento di andare.



Return to rationality



Il saluto alla stazione fu per lei terrificante, non riusciva a contenere le lacrime, lo stringeva a se, giurandogli che sarebbe tornata presto. Lui la guardava con affetto e le promise che ci sarebbe sempre stato. L’ultimo bacio poi, le rimase amaro sulle labbra. Salì sul vagone e lo guardò allontanarsi, non si voltò mai, sparì tra le persone, lei si sentì abbandonata, poi il treno partì.

Seduta nello scompartimento vuoto, ebbe tempo di pensare che era stato meglio così, se fosse stata lei a partire per prima, lasciandolo sul binario a guardarla andar via, si sarebbe sentita come una traditrice e non avrebbe potuto sopportare il rimorso di averlo abbandonato.

Stava ritornando alla realtà di tutti i giorni e si sentiva ancora confusa. Come avrebbe spiegato al mondo il segno che ora portava sulla pelle? Era fiera però di se stessa e si sentiva rinata, più forte e più determinata di prima, si rese felicemente conto che aveva sopportato l’inferno e ne era uscita vincente. Si sfiorò il braccio pensandoci e la stilettata di dolore le provoco un sussulto. Ne godette.

Era viva e più donna che mai.



Slave Beatrice


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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Scubydoo Invia un messaggio
Postato in data: 16/08/2007 23:19:25
Giudizio personale:
bello e sano

Autore: Cami3 Invia un messaggio
Postato in data: 16/02/2007 04:20:21
Giudizio personale:
brava


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