i racconti erotici di desiderya

Diario intimo iii capitolo

Autore: Muyhermosa
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Cambia lo sfondo
Edito in queste pagine un tratto di pensieri e di vita sentimental-erotica che presento per la prima volta.

Pubblicata in anteprima sul mio blog personale: www.inpuntadicuore.blogspot.com sotto il titolo "Note discinte".





Era per indole un uomo veramente tranquillo.

Troppo tranquillo per una come me.

Certo, aveva anche lui un temperamento impetuoso e passionale,

ma nulla in confronto alla sottoscritta.

Io dovevo sempre ricercare situazioni nuove, stimolanti, che ravvivassero e rinnovassero continuamente un’intesa che dal suo punto di vista era già perfetta.

Era un uomo di vecchio stampo, sempre elegante, riservato, inappuntabile.

Roxane, segretamente, continuava ad amarlo e a pendere dalle sue labbra.

Io vestivo diversamente da lei, dovevo tenere il passo con quello stile “adulto”

e, per non apparire troppo giovane accanto ad un uomo già maturo

per quanto pieno di fascino, su cui non solo la mia amica aveva

messo gli occhi, mi vedevo costretta ad agghindarmi già

da “grande”, a portare i primi tacchi da dieci

centimetri e a truccarmi tutti i giorni.

Un escamotage che sembrava accorciare

il divario anagrafico fra noi.

Roxane viveva in Italia dal giorno in cui era nata. Il papà aveva conosciuto a Monaco di Baviera di un’italiana in vacanza della quale si era innamorato e che avrebbe raggiunto e sposato non molto tempo dopo, lasciando la Germania e Roxane era la seconda di due sorelle; il suo vestire ed apparire forzatamente retrò, con i suoi maglioni ampi e trasandati, i jeans sbiaditi, i capelli raccolti, gli occhialetti da intellettuale-secchiona e mai un filo di trucco, non dimostrava nemmeno la sua età.

Era di un anno più piccola di me e i ragazzi

non la notavano nemmeno come donna.

Non lasciava intravedere nulla che potesse attrarre.

In occasione del precetto pasquale, quell’anno la scuola aveva organizzato, al posto della solita recita, un concerto strumentale in coda alla funzione religiosa del mattino, avvalendosi della presenza dello stesso uomo con il quale ero solita incontrarmi privatamente, per le lezioni di pianoforte che erano solite divagare sempre verso qualcos’altro… saltando di tanto in tanto l’utile per il dilettevole, o alternandoci…

Per la prima volta i nostri mondi e le nostre rispettive

realtà si sarebbero incontrati alla luce del sole.

Un paio d’ore prima ero sotto casa di Roxane, con un insospettabile borsone blu.

Certe d’esser sole e indisturbate nella camera della mia amica, sul suo letto ho tirato fuori un corpetto di paillettes rosso, senza maniche, con il decollété a forma di cuore, una gonna-tubino nera che scendeva aderente lungo i fianchi e una cintura con una vistosa fibbia metallica di color oro che si fissava sul punto vita.

Infine, un lungo cappotto nero per nascondere quello

che c’era sotto, calze a rete comprese.

Vestita in quel modo non l’avrebbero mai fatta uscire di casa.

Era una donna, irriconoscibile..

I capelli, biondissimi, le ricadevano sulle spalle con un’onda perfetta,

gli occhi verdi erano luminosissimi, le labbra disegnate da una matita

rosso corallo e l’interno coperto da un rossetto rosso cupo.

Sui tacchi era bellissima, per quanto avessi dovuto

lottare non poco per convincerla ad indossarli.

“Se non ti va bene stasera

– le avevo detto –

agghindata così, tesoro mio, fattene una ragione:

quell’uomo non ti merita!”.

L’aula dov’era stato allestito un palco con delle tende pesanti,

di velluto rosso, era attigua alla biblioteca, situata al pianoterra,

l’ultima stanza in fondo, enorme, disposta lateralmente

rispetto alla grande hall che si spalancava all’entrata,

dal cui cancello non tardarono a sfilare

donne fasciate da abiti eleganti e uomini in abito blu.

Ouverture alle 18,00 in punto e un vernissage per omaggiare

la presenza del maestro a seguire.

Da soli o fra trecento persone, ogni volta che le sue mani si posavano

sull’avorio di un pianoforte e dei tasti producevano un suono,

sapevo che lui suonava per me.

Ed era un’emozione alla quale non mi sarei mai abituata.

Durante il banchetto post-concerto, mentre tutti si affollavano al buffet

Roxane si lanciava sul solo piatto

per lei appetibile, quella sera.

Si conoscevano già da un po’ di tempo.

Da quando con il pretesto d’incontrarlo, lei aveva deciso

di prendere lezioni private, pur non avendo

alcuna attitudine alla musica e non amando

affatto quegli “scarabocchi” incomprensibili

che erano scale e note di un pentagramma.

“Maestro, quanto tempo!”.

Mi sembra di sentire ancora il rumore

dei tacchi sul pavimento reso lucido dalla cera

e l’andamento sicuro di Roxane,

la voce cristallina, la falcata

di una donna ancora bambina.

“Signorina Roxane”, da lontano osservai lui voltarsi e contemplare

meravigliato la figura di donna che avanzava nella sua direzione.

“Non l’avevo riconosciuta… complimenti per la mise”.

Nel momento in cui raggiunsi Roxane, alle spalle, vidi lo sguardo di lui spostarsi sul mio viso,

e i suoi occhi accendersi di una luce

che mi era molto più che familiare…

Erano gli occhi di due persone unite dalla consapevolezza

d’essere i protagonisti di qualcosa che si preannunciava

spaventosamente grande.

Che annullava ogni altra presenza, faceva tacere

ogni altra voce o suono si producesse nell’aria intorno.

“Maestro, credo la stiano reclamando... di là”,

la voce di Roxane anticipava un coro

intento a chiedersi dove fosse finito

l’ospite tanto conteso,

riportandoci a una chiassosa realtà.

Lui osservò la mano della ragazza che, con quel pretesto,

si era posata sul suo braccio.

“La ringrazio, signorina… vado”.

Garbato e visibilmente a disagio,

lo vidi allontanarsi verso la parte interna della sala,

gremita di gente raccolta intorno ad un pianoforte

disposto in un angolo.

Eravamo rimaste da sole, io e Roxane, così decidemmo

di unirci agli altri.

Lei prese posto su una delle poltroncine

allineate in prima fila e io stavo raggiungendola

per occupare il posto accanto,

quando il maestro spezzò il mormorio dei presenti e,

inaspettatamente, mi chiese:

“Signorina, perché non prende posto lei al pianoforte?”.

In quell’attimo mi sentii mancare il respiro.

“Come ha detto?”.La sua figura elegante mi venne incontro

e mi allungò un braccio, porgendomi la mano.

“Questa deliziosa fanciulla è una delle mie migliori allieve”.

Gli applausi che seguirono quelle parole coprirono

ogni mio tentativo di sottrarmi a quella richiesta.

Ero disperata. Impreparata.

Di fatto, lui prese posto accanto a Roxane ed io… il suo.

Non dimenticherò mai l’intermezzo del Manon-Lescaut

di Puccini né i suoi occhi durante l’esecuzione al piano,

lucidi al termine della prova, fra onde di mani

che applaudivano e voci che si congratulavano.

Il maestro che applaudiva la sua allieva,

consapevole del fatto che, per una volta,

aveva suonato lei per lui.

Consapevole ed emozionato fino a una malcelata

commozione, proprio come un bambino.

Quella sera, rimasti da soli, mi catturò

il viso tra le mani e mi disse:

“Sai, Laura, ho deciso: io lascio mia moglie”.

Io piegai la testa da una parte, con l’espressione

di chi era certa di non aver capito.

“Vedi, io amo te”, proseguì lui con occhi

fiammeggianti di desiderio,

“Ti amo, non mi è più possibile vivere così…

Voglio che tutti sappiano che tu sei mia”.

Mi strinse con enfasi per le spalle e mi baciò

febbrile sul collo, aderendo al mio corpo,

fasciato da un lungo abito blunotte.

Attraverso cui riuscivo a percepire l’effetto

della mia presenza mentre mi teneva fra le braccia.

Con un gesto irruento mi sciolse i capelli, mi baciò sulla bocca,

avanzando ed intimandomi al tempo l’indietreggiare

fino alla scrivania posta alle mie spalle.

Rimasi in silenzio, lasciando che mi sollevasse la gonna,

guardandolo armeggiare con la lampo dei pantaloni

eleganti e spingermi ulteriormente contro il bordo del tavolo.

Inarcandomi per portarmi più vicina con il bacino,

mentre il peso del suo corpo mi allargava le gambe

e in un attimo mi penetrava, incalzandomi

con spinte concitate, accompagnate

da un respiro grave che era a tratti un rantolo eccitato.

Circondati da cataste di libri impolverati:

c’era Montale, c’era Neruda, D’Annunzio, Leopardi,

De Sade, Prévért, Pirandello e Shakespeare.

E c’eravamo noi, con i nostri abiti discinti, le mani allacciate,

gambe a creare un groviglio intorno ai corpi accaldati

d’una inenarrabile bellezza,

bocche, occhi a rapinarsi baci che sembravano non bastare mai.

Non saziarci mai.

Infine l’orgasmo. Tenero, violento. Ripetuto.

Avvertivo dentro le sue ultime contrazioni e la schiena

che s’inarcava al’infrangersi di quel piacere

residuo contro ogni mia parete.

Bagnata, inondata dei miei umori e dei suoi,

il mio respiro ed il suo che tornavano regolari all’unisono,

l’espressione addolcita del sorriso

riflesso negli occhi dell’altro.

Era tutto perfetto.

E quella sera ci saremmo lasciati.

Per sei giorni non risposi alle sue telefonate e dissi a mamma

che quella settimana sarei stata occupata a preparare

la tesina per l’esame di ammissione al quarto anno accademico.

Mezza bugia e mezza verità.

Lo incontrai nuovamente solo il settimo giorno.

E lui sembrava impazzito.

“Mi spieghi che cosa succede?”,

mi chiese agitato, prendendomi le mani fra le sue.

“Perché fai così? Che cosa ti ho fatto?”.

Mentre mi sforzavo di rimanere fredda e distaccata,

mi rendevo conto di quanto mi fosse mancato

tutti quei giorni.

“Devi lasciare le cose come stanno se vuoi continuare a stare con me”,

gli dissi guardandolo negli occhi.

“Non ti ho mai chiesto niente.

Non voglio che tu faccia niente. Io voglio solo te”.

Lo vidi scuotere la testa, era chiaro che non capiva.

“Perché vuoi rovinare tutto?”,

gli domandai addolcendo il tono della voce.

“E’ già tutto perfetto. Così com’è.

Non m’interessa prendere il posto di tua moglie.

Io ho già il mio”.

Il grande professore, ammirato e rispettato, si perdeva con me alla ricerca del piacere. Lui era li a guardarmi, per la prima volta mi chiese quel giorno di toccarmi, e lo fece con lo stessa autorità con cui mi chiedeva di ricominciare quando sbagliavo un solo accordo. Presi la mia mano, la portai sotto la gonna che arrivava a lambire appena il ginocchio e lasciai che scivolasse al di là del pizzo delle mutandine, per alcuni minuti ad occhi chiusi, distesa sul pianoforte, mentre lui non mi staccava gli occhi di dosso. Portando in scena i suoi desideri, lo sentii nel silenzio schiudermi le cosce, salire lungo i glutei e le sue dita insinuarsi tra il nero del tessuto ed il bianco della mia pelle infuocata. Afferrò i bordi degli slip e fece scorrere anche questi ultimi lungo le mie gambe, fermandosi all’altezza delle caviglie.Intimandomi di sollevare prima un piede, poi l’altro, mentre liberava i miei movimenti dall'ingombro dei vestiti. Ora sì, poteva chiaramente vedere l’effetto delle sue provocazioni…Si sedette sul letto e mi fece cenno d’avvicinarmi.Mi ritrovai nella posizione più adatta a ricevere il giusto castigo.Mi massaggiò per interminabili minuti i glutei, scendendo a toccarmi nuovamente tra le gambe, ma il pensiero di ciò che avrebbe poi fatto mi distraeva dalle piacevoli sensazioni. Ora poteva fare ciò che voleva ed anche

se avessi gridato non si sarebbe fermato.

La sua mano scorreva su di me, dalla schiena ai polpacci, insinuandosi ovunque: "Dovrei farti molto male per l'inferno che mi hai fatto passare...", il suo rantolo eccitato soffocato da un bacio che mi chiuse sulla bocca. Poi la sua mano si alzò e scese sui miei morbidi glutei con violenza.Una due e tre volte.Ed una due e tre volte la mia bocca gridò. Lo vidi sorridermi. "Torna al pianoforte - mi intimò severo, cambiando espressione - senza obiettare", aveva aggiunto vedendomi sul punto di dissentire. Sprofondai la faccia contro il cuscino, abbracciandolo e voltandomi di spalle, stizzita. conscia che in quella posizione ero interamente alla mercé dell'uomo che nello specchio torreggiava su di me imponente, con una carezza che sfuggì alla sua mano mentre si allungava verso di me schiudendomi piano le gambe per dirmi in un sussurro ad un orecchio: "Sei bellissima, piccola mia. Non fare così - tento di riavere per sé il mio sguardo, ma invano - Non immagini nemmeno quanto ti desidero". Mi baciò accarezzando dolcemente la mia schiena percorsa da fremiti di desiderio, aspirai la lingua che fece scivolare fra le mie labbra suggendola con voluttà, muovendo il bacino e schiacciando il ventre contro la sua erezione, imprigionata fra i nostri corpi avvinghiati.Lo sforzo mi faceva ansimare ma il cambiamento nell'espressione del mio amante mi ricompensava ampiamente spronandomi a continuare, le mani sotto il mio sedere accompagnavano i miei movimenti senza sostenermi, Ben presto presi a gemere, era straordinario il mio godimento, tanto forte che più volte dovetti fermarmi le ginocchia strette ai fianchi del mio amante aspettando che le ondate di piacere si attenuassero, allora lui mi sollevava portando la mia bocca all'altezza della sua, baciandomi golosamente, esplorandomi avidamente con la lingua, suggendo le mie labbra, bevendo la mia saliva mentre con la mano mi frugava oscenamente. Fu proprio quello che scatenò il mio orgasmo. Quando mi lasciò andare sulla sua erezione riuscii ancora a sollevarmi e ad abbassarmi un paio di volte, poi iniziai a venire fermandomi per gli spasmi e le contrazioni. Mi teneva per i fianchi. Le sue mani erano salde. Mi teneva perché non poteva più lasciarmi andare. Non più. Io sentii l'approssimarsi del piacere. Il ritmo crebbe e i brividi, fino a quel momento concentrati sul pube, si diffusero per tutto il corpo, per esplodermi nella testa: l’orgasmo era ormai prossimo; anche lui aveva il fiato corto e si faceva più forte, prepotente dentro di me, spingendo con vigore, attirandomi a sé, sollevando il suo bacino, in modo che sentissi il membro toccarmi nel punto più profondo e solo allora, mi sentii esplodere in gemiti che si sostituirono a quella che avrebbe dovuto essere la mia voce... Lui dentro di me caldo, denso... in sincronia con le mie scosse di piacere. La mano destra premeva sempre più a lungo… della sinistra poteva solo intuire l’azione dal ritmico avanti e indietro del polso. Ancora un gemito, una contrazione… movimenti sempre più veloci. Quando lui si fermò ero tesa, immobile, tremante… un attimo, un’eternità.Dolcemente si accasciò sul letto. Si voltò, mi sorrise, pietrificandomi.

Io quel filo d'erba, lui tutto ciò che poteva accadermi...





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