i racconti erotici di desiderya

Col vento nel cuore


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Cap. 1

Ancora poco e sarà quì. Come ogni giorno da 12 anni quasi alla stessa ora si affaccerà alla mia finestra facendo capolino e riportandomi alla mia vita reale, quella che durante tutte le notti riesco a dimenticare grazie ai sogni di libertà e spazi aperti. Come sempre lui sarà lì a ricordarmi di fare i conti con la mia coscienza. Lui è il primo raggio di sole del mattino quello che da 12 anni mi sveglia entrando dalla finestra di questa mia cella.



E’ curioso come quando non possiedi più niente, persino una squallida cella di un carcere possa diventare tua, sentendola come l’unico posto dove trovi rifugio.



Questa notte ho dormito poco, il pensiero del mio ultimo giorno all’interno della Agrippa e forse anche il mio ultimo giorno sull’Isola di Pianosa, mi ha reso inquieto.



Se da un lato sono felice di uscire e poter respirare soltanto se mi andrà, dall’altro so bene che i fantasmi della mia coscienza non potrò lasciarli quì.



In questi lunghi anni non mi sono mai professato innocente, sono reo confesso. Con un mio gesto ho tolto la vita ad un altro essere umano, e poco conta se sia stato un gesto involontario e se in buona parte il fatto sia stato dovuto al caso. Rimango sempre colpevole di non aver pensato, di non aver fatto attenzione, di non aver prevenuto, con la colpevole leggerezza di tutti quelli che pensano: “a me non può accadere”.



Subito dopo quel maledetto giorno di 12 anni fà, ho desiderato fortemente che il mio processo e la mia condanna fossero quanto più rapide possibile sapendo che la vera espiazione sarebbe venuta dopo, nella solitudine della mia mente e nell’ansia delle notti insonni. Speravo che la reclusione con tutto quello che sarebbe conseguito dal convivere con uomini spesso senza scrupoli e con niente da perdere, alla privazione della libertà, potessero lenire il mio dolore ed il mio senso di colpa, ma non è stato così.



Non credevo potesse esistere un dolore così persistente, come un’indolensimento che non ti abbandona mai, in ogni attimo della tua vita, è pronto a riemergere ricordandoti il come, il quando ed il perchè della tua condizione attuale.



Nei primi anni dopo la condanna mi convinsi che l’avrei fatta finita, privandomi del bene più grande e riequilibrando le cose: la mia vita in cambio di quella che avevo distrutto. In seguito si fece spazio il dubbio che così facendo mi sarei sottratto al peso della mia coscienza e che sopportare e convivere con questo dolore avrebbe, almeno in parte, reso , silenziosa giustizia, alla persona scomparsa ed ai suoi familiari.



Arrivai anche a chiedermi se questo mio sentire non fosse altro che una scusa legata all’istintivo desiderio di sopravivenza insito in ogni essere umano. Tutt’oggi non sono giunto ad una risposta certa. Sono però convinto del fatto che ogni giorno della mia vita in cui mi dannerò di aver stroncato un’esistenza, avrà il valore di un fiore deposto sulla tomba di quell’uomo.



Prima che tutto cominciasse ero un poliziotto, forse non bravissimo, ma con un certo istinto e con l’arte della mediazione. Là dove alcuni miei colleghi avrebbero risolto tutto con qualche schiaffo, io mi inerpicavo nella difficile ricerca di una mediazione verbale spesso con successo, ma qualche volta con clamorosi “tonfi”.



Sono cresciuto in una famiglia dove il valore più alto che mi sia stato trasmesso è quello della “vita umana” e della dignità degli individui. Per questo già da ragazzo ogni forma di sopraffazione verbale o fisica era contraria al valore da me attribuito all’individuo ed alla sua vita. Con questa motivazione ho potuto interpretare il ruolo di “poliziotto” contrastando, nel mio piccolo, la sopraffazione, la violenza e l’ingiustizia in ogni sua forma, cercando di non cadere mai nel paradosso di utilizzare la violenza per combattere la violenza.



Avevo costruito una famiglia, avevo una mia casa e come molti conducevo una vita regolare, ma le prove che la vita ti mette davanti sono talvolta più grandi di noi stessi e così un giorno ho perduto tutto: gli affetti, gli amici, il lavoro e tutto il resto.



Poi il baratro. Le voci urlanti dei parenti il giorno del processo che mi offendevano nel vano tentativo di alleviare la loro sofferenza esprimendo tutto l’odio che provavano per me. Dentro di me tanta carica aggressiva poteva soltanto unirsi al mio dolore trincerato dietro al mio ininterrotto silenzio durato per un intero anno dopo quel tragico giorno.



La vita sull’isola di Pianosa scorreva abbastanza bene. Durante il giorno le attività della colonia agricola riuscivano ad impegnarmi dal punto di vista fisico quel tanto da farmi giungere sfinito all’ora di andare a letto facendo sprofondare tutti i miei pensieri e le mie angoscie dopo “soltanto” un paio d’ore di arrovellamenti mentali.



Pianosa è una delle forme più “perfide” di reclusione che mente umana potesse concepire, ma non per le condizioni di vita dei detenuti. Il contrasto tra una vita di reclusione e privazione associato alla possibilità di guardare quasi ininterrottamente la linea dell’orizzonte con il contrasto del verde di una vegetazione rigogliosa e prepotente ed il blu scuro del mare, rappresentano una vera tortura per chiunque, non esclusi i secondini che conducono una vita in qran parte simile a quella dei detenuti, con la sola consapevolezza mentale di essere i vigilanti e non i vigilati.



Guardando il mare dalle sbarre della mia cella mi sono chiesto spesso come sarebbe stato il mio domani e se un domani ci sarebbe stato. Adesso che stavo per uscire non mi sentivo minimamente pronto ad affrontare il mondo. Non sò quando sia accaduto che questa prigione sia divenuta il mio carapace, in grado di proteggermi oltre che di ospitarmi, ma adesso che sentivo sempre più vicino il momento di liberarmene provavo un forte senso di disiagio.











Alle 9.00 in punto il Sovrintendente si presenta alla mia porta e sento che introduce la chiave nella toppa. Il mio cuore batte all’impazzata come quello di un 15 enne al primo appuntamento. Mi conduce all’Ufficio Matricola lo stesso dal quale sono passato il giorno del mio arrivo, ma questa volta gli oggetti che mi furono tolti allora, mi vengono restituiti. Alcuni di loro non li ricordavo neanche più. L’Addeto alla matricola, dopo aver depositato i miei “effetti personali” come li chiama lui, sul tavolo, si avvia verso la cassaforte e ne estrae una busta con spillato un foglio che stacca con un colpo secco e pone davanti a me insieme ad una penna.



Soltanto in quel momento apprendo che in tutti questi anni il mio lavoro nella colonia ha prodotto un guadagno che si è accumulato al fine di permettermi da “scarcerando” di poter contare su un minimo di autonomia economica sino al momento di una nuova sistemazione. Firmo, ringrazio sommessamente, mi guardano come se avessi bestemmiato, poi è il momento del commiato dei compagni e del Direttore.



Non riesco a nascondere la mia commozione quando mi trovo faccia a faccia col Maresciallo Del Pistoia, un uomo speciale, forse l’unico che nonostante il mio silenzio di questi anni si sia ostinato a parlarmi senza mai ottenere una sola risposta alle sue domande. Un uomo, gentile e fortemente legato al mare. I suoi racconti tra l’immaginario ed il reale mi hanno spesso fatto volare con la mente aldilà di quelle sbarre ed oggi che che parto, non posso che ricacciare in gola un nodo di pianto e distogliere il mio sguardo dal suo. Non potrò mai dirgli quanto questa sua umanità mi abbia scaldato il cuore in questi anni.



Poi come in un vortice, tutto si “srotola” troppo velocemente perchè io possa realmente rendermi conto di quel che sta accadendo. Vengo come spinto fuori dal portone che subito si richude dietro di me ed il panico mi assale.... mi volto un attimo a guardare il muro “sgarrupato” della Agrippa e poi mi volto lentamente verso il mare con lo sguardo ancora a terra è come se avessi paura di incrociare tutta quell’infinità, mi faccio coraggio e poco a poco alzo lo sguardo su quel trionfo di colori e luci.



Percorro di buon passo la strada che porta al porticciolo. Passando getto uno sguardo su Cala dei Turchi e poi giù sino alla banchina dove il molo e pieno di turisti. Mi confondo tra loro con la paura che qualcuno possa riconoscermi, ma è soltanto una mia idea, non sono ne un Boss mafioso ne un personaggio conosciuto ed infatti nessuno si volta a guardarmi. Per alcuni attimi resto rapito dalla bellezza di una donna con i capelli al vento. Non ricordavo più come fosse bello guardarle. Poi la mia attenzione cade su due ragazzini che giocano gioiosamente. Sono attimi di un’intensità indescrivibile e come risvegliarsi da un torpore durato 12 anni. E’ il momento dell’imbarco e l’uomo che controlla i biglietti è l’unico che può sapere da dove vengo. Il mio biglietto è diverso da tutti gli altri, infatti si sofferma, lo guarda con attenzione poi mi sorride e restituendomelo mi dice “ ben tornato”. Salgo a bordo e mi confondo nuovamente tra la folla.

















Il viaggio per Livorno mi sembra interminabile, guardo l’Elba scorrere accanto a noi e sono incantato dalla sua bellezza. Continuano a venirmi in mente i racconti del Maresciallo Del Pistoia e quella volta in cui venne a bussarmi alla cella in piena notte per dirmi di seguirlo senza fare domande. Mi condusse nei sotterranei, aprì una porta cigolante e mi fece partecipe di un suo segreto.



Negli scantinati del carcere, aveva allestito un vero e proprio cantiere navale dove nottetempo, quando non era in servizio si dedicava alla costruzione di una barca di legno a vela con la quale, giurò più volte, sarebbe partito per il giro del mondo appena raggiunta l’età della pensione. Non gli chiesi mai come avrebbe fatto a farla uscire dagli scantinati giàcchè era forse lunga 7 metri e larga almeno 3, sicuramente più del vano scale che risaliva verso l’uscita.



L’Arrivo a Livorno mi provoca una nuova emozione, continuo a non saper dove posare lo sguardo per primo, so soltanto che tutto mi sembra bellissimo, il porto, le barche all’ormeggio, i pescatori, persino i rifiuti che galleggiano negli angoli della darsena vecchia.



Mi siedo e resto a guardare, la vita che scorre per alcune ore fino a quando “rinvengo”. Improvvisamente mi accorgo che la mia prigione è venuta via con me, non ho potuto lasciare i fantasmi sull’isola di Pianosa, sono tutti dentro di me in più con il cruccio adesso di essere stato assolto dalla giustizia dell’uomo avendo espiato la pena, ma di non poter in alcun modo ottenere il perdono della mia coscienza.



I giorni scorrono tra la ricerca di un equilibrio e le mille domande che mi assillano. Sono certo del fatto che non cercherò nessuno dei parenti o dei colleghi che di sicuro mi hanno dimenticato. L’ultima lettera l’ho ricevuta 2 anni dopo il mio ingresso in carcere, da allora 10 anni di silenzio ed assoluta assenza di chiunque.



Continuo a toccare nella mia tasca la busta contente tutto il denaro consegnatomi a Pianosa, ma è come se avessi paura anche soltanto di aprirla. Credevo che il mio primo giorno di libertà sarebbe stato pieno di quei confort che mi sono stati negati per così lungo tempo, invece mi scopro capace di accontentarmi di poco e resto cosi trà il porto e la città per almeno due settimane, dormendo sul ponte di una peschereccio alzandomi alle 4.30 tutti i giorni per non lasciare traccia della mia presenza e non essere scoperto dal pescatore che ogni giorno alle 5 salpa per il suo lavoro.



E’ un uomo anziano con capelli e barba bianca, un volto segnato dal freddo e dal sole sembra una persona semplice, ma dall’aria severa. Lo guardo ogni mattina dal ponte che sovrasta la darsena vecchia, mentre si accinge a lasciare l’ormeggio, non parla con nessuno, appronta la sua barca e salpa in completa solitudine per poi rientrare verso le 9 lui non rivolge mai lo sguardo verso di me anzi sembra non accorgersi nemmeno della mia presenza.



Lo guardo e un pò lo invidio fiero e libero di affrontare il mare contando soltanto sulle proprie forze. Proprio come quei gabbiani che lo accompagnano al suo ritorno in porto. Penso che vorrei avere il coraggio di imbarcarmi e partire forse per ricominciare e forse per farla finita, ma di sicuro per lasciare questo mondo che sento non appartenermi più.





Cap.2

Un sera più fredda delle altre, salendo sul ponte della barca di legno che scricchiola sotto i miei piedi, trovo una coperta ed un maglione ben piegati come se fossero li ad aspettarmi. Quella stessa sera, nuovamente assalito dai miei fantasmi stenterò a prendere sonno abbandonandomi soltanto a notte fonda. Come se fosse trascorso soltanto un attimo dal momento in cui mi sono addormentato vengo svegliato dal rollio della barca, qualcuno sta salendo a bordo. Il panico mia assale. Mi nascondo sotto la coperta cercando di diventare invisibile. Dopo pochi attimi sento il motore che si avvia e la barca che si muove. Resto come congelato sotto la coperta trattenendo il fiato. Intanto albeggia, l’uomo si muove sul ponte della barca. Penso fra me e me che dovrei saltare in mare per non dargli il tempo di accorgersi della mia presenza se non quando ormai fuori bordo. Un profumo di caffè mi avvolge, sa di caldo e di buono.



Il passo dell’uomo si avvicina, si sofferma, poi riparte. Ormai sono sicuro. Non può non evermi visto. Alzo un lembo del mio nascondiglio per sbirciare cosa accade. L’uomo ha depositato davanti a me una tazzina metallica di smalto blu colma di caffè e si è nuovamente dedicato alle sue attività. Rifletto e capisco che non solo sa della mia presenza, ma il caffè lo ha messo li proprio per me.



Mi faccio coraggio, esco lentamente da sotto la coperta, resto seduto sul ponte, accecato dai primi raggi del sole. Incrocio il suo sguardo. Accenna un sorriso. Poi si volta e riprende ad osservare l’orizzonte con in mano il timone.



Fulvio, questo è il suo nome mi racconta che da alcuni giorni aveva notato le tracce del mio soggiorno a bordo, ma che se ero tornato senza mai toccare niente, non rappresentavo un pericolo per lui e per la sua barca.



E’ un uomo solo, non ha famiglia, anzi dice: “la mia famiglia è Onda Etrusca, la sua barca, con la quale da oltre 8 anni tutti i giorni, anche quando il tempo non lo consiglia, esce dal porto di Livorno, per andare a pescare intorno allo scoglio della Meloria e nei pressi della Gorgona.



Fulvio non domanda mai niente di me, come se sapesse già tutta la mia storia e non volesse mettermi in imbarazzo.



La mattinata prosegue tra poche parole e molti sguardi. Cerco di rendermi utile a bordo come posso. Non ho mai pescato neanche con la canna, figuriamoci con le reti, ma osservando Fulvio, cerco di apprendere ed imitarlo.











Le settimane successive saranno le più belle dopo molto tempo, l’accordo mai espresso prosegue. Io continuo a dormire a bordo, ma questa volta in cabina in un vero letto, ed alle 5 di ogni giorno usciamo per la pesca dalla quale Fulvio mi lascia tenere quel che mi occorre per mangiare. Al rientro dalle battute, cerco di rendermi utile facendogli trovare Onda Etrusca pronta e pulita per il giorno successivo.



In breve mi rendo conto che trovarmi in mezzo al mare riesce a sollevare il mio spirito e la mia anima da tutte le angosce, come se mollando gli ormeggi, potessi lasciare tutto il mio passato a terra liberandomene sino al il mio rientro. In mare mi sento libero, veramente libero e felice.



Ogni giorno le prime luci dell’alba che illuminano la rocca della Darsena Medicea e poco a poco la diga foranea di Livorno accendono in me un desiderio irrefrenabile di prendere il mare.



I giorni passano e la confidenza con Fulvio cresce a poco a poco. Una sera, tornato al molo, vedendomi pulire il ponte mi invita a bere qualcosa. Io accetto, faccio l’atto di scendere dalla barca, ma lui con un gesto della mano mi ferma, sale a bordo e mi dice di mollare gli ormeggi. Non capisco ma eseguo senza discutere. E’ la mia prima navigazione notturna, ma vedere Fulvio al timone della sua Onda Etrusca, mi rassicura, lui certamente sa quello che fa. Dopo pochi minuti siamo in mezzo ad una splendida notte su un mare calmo e reso argenteo da una luna come non ricordo di averne mai viste prima. Fulvio ferma i motori. Gettà l’ancora e aprendo uno stipo, estrae una bottiglia di vino che stappa con un sol movimento, le sue mani, rugose e forti sembrano non incontrare mai ostacoli durante i movimenti.



Restiamo seduti ed incantati a raccontarci le nostre vite. Nessun commento, soltanto comprensione. Anche Fulvio no ha avuto una vita facile, ma almeno la sua vita attuale è una scelta. Io invece mi rendo conto che in queste settimane sto soltanto rimandando di occuparmi della mia “nuova vita”. La verità è che ogni volta che mi immagino intento nella ricerca di un vero lavoro o di una casa, sono assalito dalla sensazione di non meritare questa seconda opportunità. Sono comunque coscente che non potrò approfittare in eterno dell’ospitalità di Fulvio.



Racconto la mia storia ad un uomo del quale non so quasi niente e lui senza dir niente ascolta, con lo sguardo verso il buio. Intuisce la mia irrequietezza che ho la sensazione di non riuscire a dipingere con reale intensità. Le mie ansie e le mie paure raggiungono la superfice attraverso un flusso ininterrotto di parole, che come la forza delle acquee che rompono un argine all’improvviso, fuiscono oltre la mia reale volontà. Mi ascolto mentre parlo e le parole suonando insolite anche a me che sino ad oggi non ho mai raccontanto il mio dolore.



Terminato il mio racconto restiamo in silenzio per molti minuti. Sono attimi che hanno il valore di cento parole. Fulvio interrompera quel silenzio con una sola parola: “rientriamo”.



“Domattina niente pesca” dice Fulvio al nostro rientro. Passo a prenderti alle 8.



La notte che seguirà sarà la prima dopo tanti anni una in cui riuscirò a dormire senza sognare qualcosa che abbia a che fare con il motivo della mia reclusione. Forse condividere con qualcuno il mio peso mi ha fatto bene.



Puntuale come la ritmica del faro della Meloria, Fulvio arriva. Accenno a scendere dalla barca, ma con un gesto della mano mi ferma.



- Molla gli ormeggi (dice)

- Ma non avevi detto che oggi non si pescava?

- Infatti (risponde lui)



Non insisto, mollo gli ormeggi mentre Fulvio mette in moto.

Onda Etrusca non si lascia pregare e muove immediatamente verso l’uscita della darsena.

Questa volta però Fulvio non punta verso il mare aperto e risalendo la costa in direzione nord, imbocchiamo un canale che ci porterà ai piedi di un Casone da pesca. La struttura è di legno alta oltre 10 metri, posa su palafitte ed esattamente sopra di noi si stende un enorme bilancere da pesca. Accostiamo ad un improbabile molo di legno al quale ormeggiamo “all’ inglese”.



Fulvio tace e io non domando. La nostra conoscenza è fondamentalmente basata su questo. Libertà di non doversi dare spiegazioni. Molte volte del resto, basta attendere per capire tutto senza aver domandato.



Così scendiamo sul molo che ondeggia in maniera preoccupante sotto il nostro peso. Solo pochi passi ci separano da una scala verticale in legno che conduce verso l’interno del casone. Salgo preceduto da Fulvio, senza poter fare a meno di notare quanto l’intera struttura sia tanto affascinante quanto vetusta. A pochi metri da noi alcune anatre rumoreggiano come a segnalare la nostra presenza.



Un forte rumore richiama la mia attenzione. Fulvio con un colpo di spalla ha ribaltato la botola che si trova al vertice della scala e che immette all’interno della costruzione. Entro e resto a metà con la testa nella botola e le gambe ancora fuori sulla scala. L’interno del casone è incredibilmente affascinante. Il gioco di legni con i colori caldi e la qualtità di oggetti in esso accumulati, impegna il mio sguardo per alcuni minuti. Ogni angolo delle pareti e del soffitto è coperto di reti, gavitelli, cime, lanterne, palamiti e tutto quant’altro abbia attinenza con il mare. Un forte profumo misto tra sale, pesce e muffa pervade l’ambiente.



Entro e vedo Fulvio aprire una porta che immette in una seconda stanza, questa volta buia. Ancora un rumore ed una delle pareti di questo locale buio si apre verso l’esterno lasciando entrare una ventata di aria pulita e la forte luce del sole. Resto accecato per alcuni attimi, poi focalizzo al centro del grande locale qualcosa di molto grande coperto da un telo.





Si tratta di un’imbarcazione, evidentemente rimessata in attesa di chissà cosa. Fulvio mi racconta che quella è la vera “Onda Etrusca”, apprendo che il suo peschereccio si chiamava in un altro modo, ma Fulvio gli ha cambiato nome quando è entrato in possesso di questo “relitto”. Onda Etrusca è uno Shogun di 14 metri a vela armato Sloop, si tratta di un imbarcazione a chiglia, che ha recuperato ed acquistato per poche lire molti anni fa con l’idea di ripristinarla e partire per un viaggio intorno al mondo, ma che poi ha continuato a fissare per settimane, mesi ed anni senza mai avere il coraggio di cominciarne la ristrutturazione.



Restiamo seduti a parlare per diverse ore, capisco dalle parole di Fulvio che quella barca in realtà è il suo sogno nel cassetto. Quello che spesso accompagna la vita di un uomo restando il più delle volte inrealizzato, ma che conserva il valore di un obiettivo da perseguire, di una motivazione per andare avanti anche nei giorni in cui la vita è tutt’altro che facile. Mi confessa di non aver mai iniziato i lavori di ristrutturazione perchè economicamente troppo onerosi anche soltanto in termini di materiali e tutto sommato di essere anche troppo vecchio e stanco per trovare l’energia necessaria a provarci.



Posso soltanto intuire la silenziosa sofferenza di Fulvio che da oltre 10 anni osserva la sua Onda Etrusca stazionare in quel magazzino senza trovare le risorse per poterla rimettere in mare. Improvvisamente, mi ricordo della busta che ho in tasca. Adesso so cosa voglio fare di tutto questo denaro. Realizzare il sogno di Fulvio e forse anche un pò il mio. Ripristinare Onda Etrusca e prendere il mare verso una nuova vita.



Un pò timoroso propongo a Fulvio l’idea di lavorare insieme alla ristrutturazione e di fare società lui mettendoci la barca ed io offrendo le risorse economiche per la ristruttuazione.



Non risponde, mi guarda, allunga lo sguardo verso il mare, mi mette una mano sulla spalla e con le forti dita la stringe come a voler sugellare un contratto. Colgo un moto di commozione nei suoi occhi. Il silenzio sancisce il nostro accordo.



I mesi che seguiranno saranno pieni di entusiasmo e di fatica. Onda Etrusca è ridotta davvero male. Una falla nello scafo, l’albero diviso in due parti ed al suo interno segni evidenti dell’acqua che ha invaso tutto impregnando irrimediabilmente legni, tessuti ed anche il motore che si presenta come un unica incrostazione. Capisco lo sconforto di Fulvio davanti a tutto questo, ma la chiave delle “grandi opere” sta nel non guardarle nel loro insieme, ma nello scomporle in piccole parti. Ogni singolo piccolo lavoro, costituisce una conquista che ti avvicina al risultato finale.





Ogni giorno per 14 mesi, dopo aver pescato in mare per garantirci comunque quel che ci occorre per vivere, andremo al casone e riprenderemo i nostri lavori. Le mani spaccate dalla polvere e dal freddo a volte ci indurranno a desistere, ma fortunatamente l’alternarsi degli stati di umore ed entusiasmo tra me e Fulvio sosterranno a volte l’uno a volte l’altro .



Restaurare la barca sarà stimolante non soltanto per le nozioni di manualità che acquisirò durante tutta la lavorazione, ma anche per la continua attività mentale necessaria al reperimento del giusto pezzo o dell’impiego di qualcosa di recuperato in sostituzione di un pezzo non reperibile. Sfaciacarrozze, vecchi cantieri edili e navali saranno le nostre basi di approvigionamento. A volte dopo ore di estenuante trattativa commerciale riusciamo a farci cedere assi di legno e pannelli non più utilizzati in stato di evidente abbandono, ma che improvvisamente per il proprietario, assumono un enorme valore affettivo nonappena intusce l’opportunità di ricavarne un prezzo.



A maggio 2005 Onda Etrusca sarà pronta, almeno così credevamo. Per issare l’albero, ricavato dalla paziente lavorazione di un palo di legno proveniente da una dismessa rete elettrica, dovremo ricorrere all’internvento di un carro gru che prima alerà Onda Etrusca nel sottostante canale e poi isserà l’albero che fisseremo a strallo, paterazzo e sartie. Per la regolazione ed il fissaggio definitivo ricorreremo ad un esperto. Gianni Serafini, Comandate di lungo corso della Marina Militare in pensione, appassionato progettista e costruttore di barche noto per non volere compensi in denaro per la sua consulenza, ma per decidere se fornirla solanto in situazioni che lui stesso giudica o meno opportune. Dopo aver visionato Onda Etrusca ed aver ascoltato il raccolto della sua storia e della lunga opera di restauro, Serafini, con lo sguardo fisso sulla barca scosterà la pipa dalla bocca per un attimo, ed in una nube di profumato odore di tabacco bruciato emetterà l’attesa sentenza:



- Si può fare!



L’Indomani e per tre settimane sarà all’opera in piccole regolazioni e grandi modifiche. Diventerà il nostro capo cantiere, aggirandosi per la barca con l’aria del critico d’arte segnalerà tutti gli interventi da fare e rifare sino al raggiungimento dello stato dell’arte.



A volte la sua aria da consumato esperto, farà innervosire Fulvio, ma il rispetto per la figura del Comandante prevarrà su quei momenti di nervosismo anche in vista dell’avvicinarsi della prima uscita in mare aperto. Serafini farà molto di più di quanto fosse nei patti. Continuerà a verificare l’imbarcazione con meticolosa e professionale attenzione fino al giorno in cui un mattina arrivirà al casone non con il suo proverbiale ciclomotore, ma con un furgone. Senza parlare, indicherà con un gesto della sua pipa il furgone e aprendolo io e Fulvio ci troveremo davanti un quintale scarso di vele recuperate non sapremo mai dove, a volte è meglio non domandare, che serviranno ad invelare Onda Etrusca comprese randa, fiocco, tormentina e spinnaker. Serafini si rivelerà anche un abile velaio e per giorni e giorni misurerà, taglierà, cucirà ed incollerà completando l’attrezzatura di coperta con 2 winch recanti il simbolo della Marina Militare.





Il restauro di Onda Estrusca, intanto non è passato inosservato e numerosi curiosi tutti i giorni passano a vedere come procedono le operazioni.



Un maestro di una scuola elementare chiederà il permesso di condurre i ragazzi a vedere la barca da vicino. Fulvio un pò dubbioso accetterà a condizione però che rimangano sulla sponda del canale, senza salire a bordo. Quel giorno mi riconcilierò ulteriormente con la vita. I bambini con la loro innocente irruenza mi ricorderanno di quando ero ragazzino io. Le domande, a volte incomprensibili ed a volte incredibilmente argute, ci faranno sorridere non senza un pò di orgoglio per l’ammirazione che si legge nei loro occhi.



Al termine della visita dei ragazzi, mentre si allontanano restiamo seduti sul ponte suddisfatti ed appagati dalla loro presenza. Fulvio con un balzo salterà sulla tuga e chiamato il Maestro annuncerà:

- Se desiderate assistere domenica mattina ci sarà la prima uscita in mare di Onda Etrusca.

Lo guardo stupito. Mi sorride. Rispondo con un gesto della mano chiusa a pugno.



Il Maestro ringrazia e ci assicura la sua presenza e quella dei ragazzi all’imboccatura del canale alle 10 di domenica mattina.

Si allontanano. Guardo Fulvio e dico:



- ma non siamo ancora pronti

- noi no, ma Onda Etrusca si.



Annuisco. Siamo comunque increduli che il grande giorno sia arrivato. La notte la passeremo a bordo di Onda Etrusca senza quansi riuscire a dormire per la palpabile eccitazione ed all’alba siamo già in piedi. Pulire e riodinare la barca impegna le prime ore del giorno ed alle 9.30 Fulvio, con aria solenne dice:



- è ora!



sorrido e gli stringo la mano



- “molla gli ormeggi !”



Mentre libero Onda Etrusca mi tremano le mani. Fulvio avvia il motore che parte al primo colpo. In quel momento mi sovviene che non ho mai navigato a vela e sorpatutto non ho la minima idea di cosa si debba fare anche soltanto per dare assistenza. Mi volgo verso Fulvio per renderlo partecipe, ma la sua aria fiera mi rassicura. Così opto per un più dignitoso silenzio. Guardiamo scorrere la costa in silenzio. Onda Etrusca è al suo massimo splendore.



E’ Curioso non ho idea di come governarla, ma ne conosco ogni più intimo dettaglio, dai paglioli alla chiglia, dall’elica all’indicatore del vento posto in testa d’albero.



Mentre un tiepido sole ci riscalda guardo il mare in fondo al canale, le piccole onde disordinate sulla barra segnano l’incontrarsi della corrente fluviale con le onde del mare e probabilmente anche un basso fondale. Mentre inseguo i miei pensieri quasi dimentico il nostro “appuntamento”.



Fulvio fa segno con la mano ed indica la sponda destra della foce del canale. Un campanello di persone nel vederci arrivare intona un brusio crescente che si trasforma in fischi, applausi e grida via via che ci avviciniamo. Dentro di me penso che non stiano aspettando noi e guardo verso poppa. Invece non c’è nessun altro.



Quando ormai i volti cominciano a delinearsi, riconosco il maestro della scuola con la sua classe al completo più molti genitori, amici e curiosi. Onda Etrusca sfila il gruppo acclamata come una vera diva. L’ingresso in mare e liscio come l’olio. In pochi attimi cominciamo ad allontanarci dalla costa. Le voci degli amici venuti a salutarci si attutiscono sempre di più. Siamo euforici, non ho mai visto Fulvio sorridere così e ci abbracciamo in un walzer di esultazione.



Tornati in noi, Fulvio, mi dice di prendere il timone. Rispondo che non ho la patente. Lui ribatte: “ nessun’ onda ha mai chiesto la patente ad un marinaio prima di infrangersi sulla sua barca”.



Sorrido e mi accosto a lui. Prima una mano e poi l’altra, ecco, adesso Onda Etrusca è al mio comando. Fulvio issa la randa con non poca fatica. La tela è molta e forse il mio modo di prendere il vento non è l’ideale per aiutarlo. Terminato con la randa è il momento del fiocco, sento la barca inclinarsi verso sinistra. Fulvio mi fa un gesto passandosi una mano distesa sotto la cola come per tagliarsela. Capisco che si riferisce al motore. Internvego sul pulsante ed un beep accompagna lo spengimento e la magia.



Fulvio raggiunge il pozzetto e riprende il comando. Le vele gonfie di un vento non teso, ma costante sospingono la barca con maggior vigore di quanto non facesse il motore che non era certo al massimo dei giri, ma la sensazione della velocità in assenza di rumore se non quello del’acqua e del ventom, è inebriante.



Sono al limite della commozione quando mi volto verso terra e realizzo che si trova ormai lontana. Il nostro primo giorno di navigazione sarà salutato da 4 delfini che al largo di Marina di Massa ci affiancheranno passando più volte sotto la nostra prua. Nessun battesimo poteva essere migliore di questo: prima gli amici della scuola e poi i delfini.



Veramente, una giornata perfetta.



Alle 18.00 circa, siamo nei pressi della diga foranea di Spezia dove Fulvio, con l’aria di uno che è di casa, ammaina le vele e riaccende il motore per accostare alla banchina di un’associazione nautica dove alcune persone ci vengono incontro è ci assistono nelle manovre di ormeggio. Il racconto del restauro di Onda Etrusca e della nostra breve navigazione monopolizzerà la serata ed i nostri nuovi amici, offrendoci una cena a base di pesce, si intratterranno con noi fino a tardi. Nel frastuono delle risate penso che erano almeno 13 anni che non passavo una giornata così, ma poi ripensandoci capisco che forse una giornata così non l’avevo mai vissuta. Emozioni, natura, spazi aperti e la magia della vela. Forse sarà il vino, ma ho la sensazione che qualcosa di grande ed inaspettato si sia affacciato nella mia vita.











CAP.3

La mattina seguente dormirò fino a tardi e senza alcun fantasma che mi disturbi. Il vento ed il vino hanno giocato il loro ruolo. Alle 10 dei rumori provenienti dal pozzetto mi richiamano alla realtà. Esco ed abbagliato dal sole guardo Fulvio seduto sul pontile che osserva l’ampia baia. Mentre lo saluto noto accanto a lui il suo sacco.



- Cosa fai Fulvio ?

- E tutto pronto, aspettavo che tu ti svegliassi per andare.

- Andare dove ? domando

- A casa, risponde.

- Qui inizia la tua nuova vita.



Lo guardo senza capire:



- di cosa stai parlando?

- Ho parlato con gli amici dell’associazione, abbiamo fatto un accordo. Potrai restare ormeggiato qui e vivere su onda etrusca per tutta la stagione. In cambio loro utilizzaranno la barca per brevi crociere scuola e tu potrai sempre andare con loro così farai esperienza di navigazione ed imparerai a condurre. Sono molto bravi sai ?



Sono sempre più stupito.



- ma e come farai con la pesca ? mi interrompe

- hei ragazzo, ho fatto il pescatore solitario per tanto tempo prima di te, non crederai che non ne sia più capace?

- No certo.

- Allora poche storie, accompagnami alla stazione che tra poco il mio treno parte.



Lungo il tragitto insisto perche Fulvio rimanga con me o mi riconduca con Onda Etrusca a Livorno. Fulvio però è irremovibile. Dice che quando sarò pronto riporterò io stesso Onda Etrusca a casa. Così in un silenzio di quelli che già abbiamo sperimentato, camminiamo sino alla stazione dove Fulvio sbotta con aria severa:



- adesso vai, non mi sono mai piaciuti gli addii

- non vuoi che aspetti con te il treno ?

- perchè non ne hai mai visto partire uno ?



Ancora una volta mi chiude la bocca. E dopo una poderosa stretta di mano, ignorando il nodo che mi attanaglia la gola, mi volto e mi incammino nuovamente in direzione del porto.



Quella sarà l’ultima volta che vedrò Fulvio, al molo mi racconteranno alcuni mesi dopo che risulterà scomparso in mare durante un fortunale. La sua barca sarà recuperato dalla Guardia Costiera in prossimità della Gorgona, alla deriva, malandata, ma galleggiante. Di Fulvio nessuna traccia.







Al Circolo sarà inscenata una commovente cerimonia alla quale prenderò parte in segno di rispetto per Fulvio. Al termine della cerimonia, rimasto sul molo, con due soli amici, avvolgeremo un ancorotto in una bandiera tricolore e la lasceremo scivolare sul fondo del mare come ad accompagnare Fulvio. Ovunque lui sia.



Passeranno i mesi ed Onda Etrusca continuerà ad ospitare ragazzi e famiglie desiderose di vivere il mare e conoscere le tecniche di navigazione a vela. Io gli accompagnerò sempre, da prima, confesso, mosso dalla gelosia per Onda Etrusca, per non lasciarla sola con altri, poi ben presto, trascinato dal desiderio di prendere il largo. Col passare dei mesi svilupperò le mie capacità di “marinaio” così, seguendo i consigli e le critiche di Antonio Malaspina, socio anziano del circolo, casertano di nascita, ma spezino di adozione, con il suo dialetto ibrido, spezio-partenopeo, alternati a sproloqui incomprensibili in una lingua a me tutt’oggi incomprensibile, mi apostrofa spesso dicendomi: “sei il peggiore”, ma poco dopo sorride in segno di riconciliazione. Antonio segue i gruppi sia per le navigazioni da diporto che per i corsi di vela e così approfittando della sua esperienza e pazienza finisco col apprendere tutte le nozioni e la perizia del buon marinaio. Dalle andature alla regolazioni delle vele, dalla scelta dell’ancoraggio più adeguato alla stima delle condizioni meteo e persino un pò di navigazione astronomica.



Una sera, rientrati dalla solita navigazione scuola, mentre stiamo mettendo in ordine la barca, Antonio mi dice che l’accordo fatto quasi un’anno fa con Fulvio non è piu valido e se desiderò continuare a vivere al molo dell’associazione dovrò imparare a darmi da fare.



Lo guardo un pò perplesso, ma rispondo:



- certamente, ma come ?

- non ti preoccupare, ci vediamo domani



L’indomani alle 9 il nuovo gruppo si presenta sul molo pronto a prendere la prima lezione di vela, ma Antonio non si vede ancora. Faccio salire tutti a bordo e comincio ad illustrare le parti della barca e le nomenclature fondamentali. E’ una lezione tutta teorica che avendo sentito almeno 500 volte pronunciata da Antonio, ripeto come una poesia, peraltro con la capacità di prevedere anche le domande del gruppo, che, senza nulla togliere al loro estro, sono le stesse dei gruppi precedenti. Dopo quasi un’ora di teoria, sarebbe giunto il momento di prendere il mare, ma Antonio non si è ancora visto, voltandomi però lo scorgo seduto sul molo a pochi passi da me.



L’Imbarazzo mi assale, l’idea che mi abbia ascoltanto tutto quel tempo mi fa persino un pò arrossire.



- e bravo il nostro marinaio. Mo vo verè che si diventato nu capitano ??

- scusa Antonio tu non venivi ed i ragazzi si guardavono intorno così ho pensato...

- hai pensato bene, adesso molla gli ormeggi ed oggi la lezione la continui tu.



Così, faremo. In mare le mie spiegazioni risulteranno comprensibili e la pratica acquisita riuscirà a rendere le altre 2 ore di lezione piacevoli e divertenti. Ogni tanto cercherò lo sguardo di Antonio che sorridente con un movimento del capo mi inciterà a proseguire. Al rientro in porto, salutati i ragazzi, Antonio mi dirà che quel gruppo sarà mio per tutto il percorso scuola.



A quel gruppo ne seguirà un secondo e poi un altro ancora, e mese dopo mese continuerò l’attività della scuola diventando in breve conosciuto e popolare in tutto il porto.



Vivere in barca è un esperienza formidabile. Si finisce con il diventare tutt’uno con lei. Onda Etrusca per quanto grande ed accessoriata non potrà mai essere una casa. Il suo continuo muovimendo fluttuante diventa per me insostituibile, tanto che scendendo percepisco che il labirinto del mio orecchio non apprezza per niente la stabilità della terra ferma. La vicinanza con il mare ed il cielo riempono il mio animo e le mie notti. A volte, seduto in pozzetto, con la luna che illumina la tuga e si riflette sul mare, guardando Onda Etrusca, penso a Fulvio ed a quanto sarebbe stato orgoglioso di sapere di essere riuscito a fare di me un uomo di mare. Sono anche convinto che la sua sia stata una dolce fine. Abbracciato dal quel mare che lo ha accompagnato per tutta la vita, quando arriverà il mio momento vorrò finire come lui, altro che essere seppellito.



“Date le mie spoglie al mare, lui solo sapra cosa fare di me. Se vorrà ricambiare soltanto un pò dell’amore che ho avuto per lui, mi terrà con se.”















Cap.4

E’ il 28 di maggio, sono le 3.30 del mattino e qualcosa mi sveglia. E’ il rumore delle drizze che urtano sull’albero. Esco in pozzetto, il vento è rinforzato e probabilmente con lui il mare. Ormai sono sveglio e mi siedo in pozzetto a godermi il vento sotto un cielo stellato. Una luna dal colore surreale illumina tutta la baia, l’isola del Tino si profila all’orizzonte. Fuori dalla diga foranea le onde frangono, no le vedo ma posso sentirle. Resto ad ascoltare il rumore del mare. Scendo in quadrato a prendere qualcosa da bere e mentre risalgo in pozzetto, con un gesto istintivo della mano, abbasso l’interruttore che da corrente alla strumentazione. La radio si accende sul canale 16 e subito sento un appello coincitato. Una voce segnala di essere a bordo di un’imbarcazione a vela di 9 metri a 4 miglia ad ovest del porto di Spezia e di non essere più in grado di governare.



L’Istinto prende il sopravvento, metto in moto, mollo gli ormeggi ed in pochi attimi sto raggiungendo l’imboccatura della diga foranea. Il mare e formato. Le onde frangono con un rumore assordante. Nella fretta non ho pensato a coprirmi con la cerata e la prima onda mi bagna da capo a piedi. Vorrei innestare l’autopilota, ma il mare che giunge proprio dalla direzione in cui devo dirigermi non è assolutamente gestibile in automatico. Devo assecondare le onde prendendole al mascole, ma non appena raggiungo la cresta, nella fase discendente mi trovo a compensare perchè la poppa no scivoli in avanti. L’Inferno è appena cominciato e già mi chiedeo se sia stata una buona idea uscire in mare aperto. Intanto la radio ripete l’appello in maniera sempre più coincitata. Questa volta rispondo:



- Imbarcazione 9 metri da Onda Etrusca

- Vi ricevo Onda Etrusca, il nostro timone è saltato e siamo senza governo

- Avanzo verso di voi con tutte le luci accese, avvisatemi nonappena mi avvistate



Passano alcuni interminabili minuti di silenzio mentre le onde frangono sul ponte riuscendo a riempire il pozzetto ed in parte entrando dal tambucio. Avvio le pompe di sentina. Il mare cresce ancora. E’ di un colore vitreo, quasi completamente coperto di una schiuma disordinata dalla quale non si riesce quasi ad intuire la direzione delle onde.



Ecco la voce del mio intorlocutore farsi viva nuovamente:



- Onda Etrusca da Imbarcazione 9 metri, vi vediamo siete esattamente allineati con noi, proseguite così.



Un ultima onda mi solleva e proprio quando sono sulla cresta, vedo a non più di mezzo miglio uno scafo scendere troppo rapidamente da un’onda intraversandosi sino a coricarsi sul fianco. Soltanto il pesante bulbo riesce a riportarla in verticare non appena nel cavo dell’onda stessa. Lancio alcuni fischi di sirena come per rassicurare l’equipaggio della barca in avaria della mia presenza.



Ancora pochi attimi e sono prossimo a loro. In pozzetto una sola persona imbraccia un remo o qualcosa di simile con cui cerca di improvvisare timone nel vano tentativo di controllare la direzione della barca.



Il mio motore è al massimo dei giri, gli sflilo accanto lanciando una cima assicurata alle bitte di poppa l’uomo sul ponte capisce e rapidamente recupera la cima e prima che questa sia finita corre verso prua assicurandola alla meno peggio. Lo strattone è inevitabile. Porto al minimo il motore per attutire lo strappo e poi riprendo lentamente fino a vincere la massa inerziale della barca in avaria che subito si accoda ad Onda Etrusca. L’uomo, caduto con il primo strattone, si rialza ed assicura ulteriormente la cima che nel frattempo si è tesa come una corda di violino. Non oso pensare a cosa potrebbe accadere se dovesse cedere. Ancora sulla cresta dell’onda inizio una virata leggera che mi porta ad invertire la direzione proprio nel cavo tra due onde, effettuando una manovra molto ampia il mio traino riesce ad allinearsi. Appena lo vedo quasi dietro di me, do tutta manetta ed inizia la corsa con le onde. Ogni volta che io salgo l’onda lei scende la precedente con il risultato che la cima da continui e poderosi strattoni, mentre le onde continuano ad invadere Onda Etrusca che appesantita dal traino talvolta si ingavona passando dentro l’onda anzichè sopra.



Sono non più di 15 minuti di corsa, ma sembrano ore interminabili. Finalmente superiamo la diga foranea e le onde sparisocno come d’incanto. Mi spingo ancora all’interno per allontanarci dal frastuono del mare. Rallento, fermo il motore. Lo scafo che ora distinguo essere di colore giallo, continua il suo abbrivio e mi si affianca fino quasi ad un terzo della mia lunghezza.



Vado incontro all’uomo che è rimasto tutto il tempo attaccato allo strallo di prua.



- Grazie. Mi urla.

- Tutto bene ? domando

- Si , ma ce la siamo vista brutta

- Ci sono altre persone a bordo ?

- Si , mia moglie ed i miei due bambini



Appena nominati eccoli uscire, hanno i visi spauriti e pallidi. Uno dei due bambini che non avrà più di cinque anni è avvinghiato alla madre e piange. Dopo ancora qualche parola riprendiamo il traino ed attracchiamo entrambe alla banchina dove dimoro abitualmente.



Soltanto la mattina successiva, facendo un’analisi dell’accaduto, con Malaspina, realizzo di aver fatto tutta una serie di fesserie, tra cui la più evidente, quella di essermi lanciato in mare senza aver contattato la capitaneria ne avvisato nessuno.

Credo che un pò di tutti quegli anni di Polizia, mi siano rimasti addosso. L’Istinto di soccorrere chi è in difficoltà rimane inalterato anche dopo tanto tempo. Così non ho pensato, prima di lanciarmi al recupero e poi il mare mi ha impegnato senza lasciarmi il tempo di riflettere sino al rientro in porto.



Claudio e Daniela, così si chiamano i miei nuovi amici, la sera successiva organizzeranno una cena di ringraziamento per me. Così trasferiti tutti a bordo di Onda Etrusca, sufficentemente grande da ospitare anche i piccoli Alessandro e Claudia, Daniela preparerà una cena come soltanto una donna sa fare. Le molte scatolette aperte in questi mesi mi avevano fatto dimenticare il “commovente” sapore di una pietanza vera, cucinata con capacità ed amore.



Mi raccontano di essere di rientro da un lungo giro che gli ha visti prima raggiungere Gibilterra sempre navigando lungo costa e poi puntare dritti sulle baleari da dove con una navigazione d’altura, che per un 9 metri non è cosa da poco, hanno puntato sulla Corsica e poi da Calvì direttamente verso Spezia.



Come spesso accade in mare, quando ormai avevano cominciato a rilassarsi perchè prossimi a Spezia, ecco il mare gonfiarsi ed il vento salire nello spazio di qualche ora.



Il vero problema è stato quello della rottura della trasmissione alla pala del timone. Altre volte avevano navigato con mare grosso, raccontano Claudio e Daniela, tanto che i bambini sono talmente abituati al fluttuare della loro “casetta” che ne approfittano per fare giochi sotto coperta facendo scorrere una pallina da una murata all’altra della barca, senza minimamente preoccuparsi del mare. Questa volta però il vento forte, unito all’impossibilità di manovrare hanno reso la situazione davvero ingestibile.



Negli occhi di Daniela scorgo un bagliore, forse una lacrima che vorrebbe uscire.

Claudio interrompe il silenzio che è caduto sulla nostra conversazione:

- ma poi ho sentito la tua voce alla radio ed ho cominciato a sperare che avremmo potuto farcela anche questa volta.

- È stata una serie di coincidenze quasi inspiegabili: l’essere svegliato dal vento, l’appello via radio, e poi avervi individuati quasi subito.

- Credo che possiamo ringraziare la nostra buona stella.

- Già, proprio così.



La serata prosegue tra le grida dei bambini che su Onda Etrusca scoprono nuovi spazi ed angoli per poter giocare rispetto alla loro barca. Le loro voci mi fanno tornare in mente il giorno della visita della scolaresca al “cantiere” di Onda Etrusca. Fulvio mi manca. Quanto vorrei che fosse quì con noi questa sera.



La mattina seguente Claudio prenderà accordi con un cantiere li vicino ed alata la barca stimeranno che in una sola giornata di lavoro lui e tutta la sua famiglia potranno riprendere il mare per raggiungere casa.



Qualcosa si sta rompendo dentro di me. Un’ansia crescente mi rende inquieto. Claudio e Daniela con i piccoli hanno ripreso il mare questa mattina. L’Addio è stato commovente, ma una delle caratteristiche della vita in mare è quella di incontrare nuovi amici a cui donare un pò di se e dai quali ricevere un po di loro. Poi arriva sempre il momento di ripartire. Rimane una specie di piccolo suvenir che ti accompagnerà fin tanto che la memoria sarà in grado di ricordare. I Volti di Claudio e Daniela, come quelli dei bambini, mi accompagneranno e saranno per me una visione di conforto nei momenti bui dei mesi a venire.



Dopo giorni passati a cercare di capire perchè Malaspina e la sua scuola di vela non sembrerebbero più in grado di colmare il vuoto che c’è in me, capisco che Claudio e Daniela hanno riaperto in me il “miraggio di una famiglia”.



Sono solo ormai da troppo tempo e talvolta affiorano ricordi della mia “prima vita”, quella in cui avevo una casa ed una moglie. Quando credevo che il futuro sarebbe stato proprio quello che immaginavo per me e per lei. Poi la mia tempesta personale ha cambiato tutto. Come un uragano ha stravolto i tempi e le aspettative, ho imparato da allora che non bisogna mai essere troppo sicuri di ciò che la vita ci riserverà. Un solo episodio potrà cambiare ineluttabilmente tutti i giorni della tua vita successiva. Anche per questo ho imparato ad apprezzare ogni giorno come fosse l’ultimo.



Il mio nuovo uragano si chiama Simona. La guardo ogni giorno venire al molo attendere l’arrivo di Malaspina ed imbarcarsi sempre con un’aria seria ma distesa. Ha gli occhi verdi come il mare prima di un temporale e dei lunghi capelli neri. Resto seduto sulla coperta ad osservarla ogni giorno per tutta la durata della sua lezione di vela. Non le ho mai rivolto la parola e nemmeno lo farò. Sento di non poter condividere la mia vita con qualcuno. Sono abbrutito, sregolato. Ormai da troppo tempo dormo solo poche ore per notte, recuperando poi di giorno. I miei pasti sono fatti di pesci o scatolette. Proprio non potrei immaginarmi a dividere tutto questo “lusso” con una perla come lei.



Al termine dell’ultimo giorno del corso di Simona, dopo 10 giornate consecutive di mare, Antonio Malaspina si avvicina e mi chiede se mi interessa un lavoro di qualche giorno. Rispondo di si, penso che forse servirà a scuotermi un pò da quell’apatia che ha invaso le mie giornate. Lui annuisce, si volta e sbarca come al solito. Resto incuirosito, ma so bene che Antonio è sempre un pò enigmatico. Quando riterrà che sia il momento opportuno, probabilmente, mi darà maggiori dettagli.



La mattina seguente è sabato, mi attardo un p’ò di più in cuccetta perchè come sempre, ho dormito a tratti durante la notte. Alle 9.00 vengo svegliato dal rumore di un carrello sul pontile.



- Sveglia è ora di alzarsi. ( la voce di Antonio)



Salto giù dalla cuccetta ed esco in pozzetto. Antonio spinge un carrello carico di viveri come di uno che è appena uscito da un supermercato.





- Carichiamo la cambusa tra poco il tuo ospite sarà quì.

- Chi ? domando ancora frastornato dal sonno.

- Hai un cliente che vuole navigare tra le isole dell’arcipelago, anzi dovrebbe già essere quì.

- Ed io cosa devo fare ?

- Devi approntare un buon piano di navigazione che comprenda Elba, Capraia, Giglio e Montecristo, ma probabilmente deciderete le tappe lungo il percorso.

- Quanto staremo fuori ? domando

- Non fare domande sciocche, solo Dio sa per quanti giorni il mare sarà disposto a sopportarti.



E’ inutile cercare di capirne di più, quando Malaspina fa così bisogna lasciarlo fare. Mentre carico la cambusa stivando tutte le provviste, mi rendo conto che sono veramente tante, ne deduco che si tratti di un gruppo numeroso. Non ho mai fatto lo skipper, ma quello che mi preoccupa di più non è il mare, ma la convivenza con altre persone a bordo di Onda Etrusca. E’ dai tempi di Fulvio che non ho più avuto ospiti a bordo se non per qualche ora.



Termino la sistemazione del materiale, e mentre chiudo l’ultimo gavone, dico ad Antonio di collegare la bocchetta dell’acqua per riempie i serbatoi di Onda Etrusca, mi risponde OK,

ma il suo tono di voce mi lascia perplesso.



Esco in pozzetto e di Antonio non vi è più traccia, mentre seduta a poppa c’è Simona.

Resto immobile e senza parole. Mi sorride ed ancora una volta resto stregato dai sui occhi.

Cerco di darmi un contegno:



- Ciao dove sono gli altri? (domando)

- Gli altri chi ?

- Antonio mi ha detto che aspettavo un gruppo per un giro delle isole toscane

- Infatti. Sono io il tuo gruppo. Ho chiesto agl’altri ma nessuno poteva partire in questi giorni e così ci sono soltanto io. E’ un problema ?

- ....no, certo che non è un problema.



Soltanto adesso capisco il tiro mancino di Malaspina. Gran figlio di una megattera casertana.



Mentre stiamo ultimando i preparativi per la partenza, eccolo ricomparire, Si avvicina con aria sorniona e rimanendo sul molo e mi consegna una busta.



- Non aprirla. Conservala a bordo ed aprila soltanto se un giorno la capitaneria di porto o chi per loro dovessero fermarti per un controllo in mare. Soltanto in quel caso.



- Questo è l’ultimo favore che dovevo a Fulvio, me lo chiese prima di partire.

- Cosa centra Fulvio ?

- Non preoccuparti, prendila e fai come ti ho detto.



Avvolto da una profumata nuvola del fumo della sua pipa, Malaspina si allontana lasciandomi con un palmo di naso ed una curiosità morbosa di sapere cosa conterrà quella busta, ma ho grande rispetto per lui e per il buon Fulvio, così faccio come mi ha detto. Ripongo la busta nella cartellina dei documenti di bordo e riprendo le mie attività.





Il nostro piano di navigazione si articola in maniera molto semplice. Decidiamo di puntare su Gorgona, sede della colonia penale e pertanto non avvicinabile a meno di un miglio, poi rotta su Capraia e poi vedremo. Mentre rimetto via le carte mi sovviene che non ho mai navigato fuori dalle acque di Spezia se non per poche miglia al comando di Onda Etrusca.



La prima parte del viaggio sarà per me un rivivere alcune delle emozioni della prima uscita in mare con Fulvio a bordo della nostra barca appena restaurata. Il mio silenzioso pensare non passerà inosservato agli occhi di Simona che oltre che bellissima si dimostra anche molto sensibile. Le giornate proseguiranno tra un mare clemente ed un commosso racconto dei tempi andati. Anche lei ha una storia alle spalle, nonostante la sua giovane età, la scomparsa dei suoi genitori l’ha indotta ad una crescita rapida che oggi la rende molto più forte e matura dei suoi 26 anni.



Vive da sola e lavora come archeologa in una cooperativa fiorentina che si sta occupando del recupero di alcune navi etrusche rinvenute a Pisa. L’Archeologia è una passione che ha avuto sin da ragazzina e si ritiene fortunata di aver potuto fare di questa passione un lavoro.



Simona non domanda mai. Mi lascia il tempo di maturare il desiderio di raccontare piccoli frammenti della mia storia. Ascolta con attenzione e partecipa ai miei silenzi con una pazienza da “marinaio” .



In prossimità di Livorno, l’attrazione magnetica di quei luoghi esercita su di me un’irresistibile pulsione. Così un po’ sommesso domando a Simona il permesso di fare una piccola variazione al nostro programma. Prima di rispondere osserva i miei occhi un po’ umidi e con un cenno del capo darà il via alla manovra che ci condurrà all’imboccatura del canale lungo il quale Onda Etrusca fu restituita a nuova vita.



Procediamo al minimo e davanti ai miei occhi scorre tutta la mia seconda vita. Mi sembra persino di sentire le voci dei bambini che ci salutarono il giorno della partenza. Dopo l’ennesima curva ecco comparire il casone di Fulvio. Accosto, con un balzo scendo a terra e raggiungo l’ingresso. Sulla vecchia porta di legno svetta un lucchetto lucente che mi fa rimpiangere quello vecchio e rugginoso col quale litigavamo ogni giorno per aprire la mattina e per richiudere la sera. Quel pezzo di ferro lucente mi sveglia dal sogno. Fulvio non è più li ed il casone probabilmente adesso è di altri. Simona intanto mi ha raggiunto restando 2 passi dietro me a guardare cosa faccio. Quando mi siedo sul terreno singhiozzando si avvicina e mi abbraccia come a voler lenire il mio dolore. Restiamo li per un tempo indefinito e poi torniamo a bordo dove la cena sarà l’occasione giusta per raccontare tutta la mia storia, tra un bicchiere di vino ed il suo sorriso che su di me ha l’effetto di un caminetto acceso.



La mattina seguente, baciata da un sole caldo ed un cielo terzo, riporterà il buon umore a bordo. Alzatomi per primo preparo una colazione da essere umani. Mentre la caffettiera sbuffa ecco Simona uscire dalla sua cabina. I capelli in disordine, gli occhi semi chiusi, il pigiama di pile ed il suo inseparabile sorriso. Capisco che ancora un nuovo fantasma ha lasciato la mia vita. Addio Fulvio. Buon Vento.





Entro un’ora salpiamo riguadagnando il mare aperto, destinazione Capraia.



L’Isola di Capraia è un paradiso in terra. Una vera perla del mediterraneo, la bianca roccia interrotta da antiche colate laviche che colorano di rosso pareti e fondali rendono suggestiva la circumnavigazione. Il piccolo Marina di Capraia è quanto di più semplice si possa immaginare. Poche attività commerciali subito ai piedi della montagna. Una lunga salita ci conduce al paese arroccato sulla collina dalla quale si gode una vista mozzafiato.







Gli anni trascorsi a Pianosa hanno fatto di me un isolano. Poter guardare in ogni direzione sapendo che il mare mi circonda, anziché darmi ansia, come fa ad alcuni, mi rassicura. Adesso forse intuisco il mio legame con la barca. Onda Etrusca è la mia isola, quella dove posso rifugiarmi lontano dagli sguardi e dai cattivi pensieri, anche dai miei.



Per la prima volta, la presenza “stabile” di una persona a bordo, non mi infastidisce. Simona sembra aver infranto questo confine, entrando poco a poco nel mio mondo, in punta di piedi, così da non arrecare il benché minimo disturbo, anzi da farmi apprezzare il fatto di sapere che posso incontrare il suo sguardo ogni volta che ne sento il bisogno.





Cap. 5



Il nostro soggiorno a Capraia dura, come da programma, fino a che entrambe non decidiamo che sia il momento di ripartire. Dopo le esplorazioni a terra, tra una natura prorompente e stormi di gabbiani che imbiancano intere parti dell’isola, durante la cena del 4° giorno la decisione viene presa. Domani mattina si salpa, anche se il nostro programma originario viene subito modificato. Non più le isole della Toscana, ma rotta sulla Corsica.



Il mattino ha l’oro in bocca, era solito dire Malavolti, uno dei miei compagni dei giorni di Pianosa. Così alle 6.00 sono già sul ponte a preparare tutto per la partenza. Il mio andirivieni in pozzetto ha sicuramente svegliato Simona, che però resta in cabina. Così poco prima delle 7, terminati i rifornimenti di rito, mollo gli ormeggi e faccio scivolare Onda Etrusca verso l’uscita del marina. Una Brezza proveniente da est si manifesta subito ed è di quelle che non appena accenni a sciogliere il fiocco, lo fanno gonfiare in un attimo dando inizio alle danze.



Il mare è appena increspato e lo scafo scivola via come sull’olio. Mi volto a dare un ultimo sguardo a Capraia, come per ringraziarla dell’ospitalità e nel contempo mi lascio strappare la promessa che un giorno tornerò.



Avvolto dalle emozioni che mi investono ogni volta che la mia barca gioca col vento, vengo distratto dal rumore di un peschereccio che mi segue ad alcune centinaia di mentre appena fuori dal marina. Posandoci lo sguardo, vedo qualcuno che saluta, ma è troppo lontano per distinguere qualcosa. Penso alla proverbiale accoglienza degli uomini di mare e rispondo al saluto con grandi bracciate. Mentre passano i minuti il rumore del peschereccio si fa sempre più vicino, mi volto ancora a guardare ed adesso posso distinguere due persone a bordo, resto perplesso per il continuo salutare di una delle due. Così poggio leggermente per favorire il peschereccio che sembra volermi raggiungere a tutti i costi.



La persona che mi saluta e che presto si rivela essere un donna, è Simona. Una volta a bordo mi dirà che pensando di procurare la colazione si era allontanata prima del mio risveglio e poi si era scapicollata per la discesa che dal paese conduce al marina, ma senza fare in tempo a raggiungermi. Regalo al pescatore una bottiglia di vino per ringraziarlo, ma sembra gradire molto di più il bacio di Simona quando lo saluta. Adesso l’equipaggio è al completo e possiamo far rotta sulla Corsica.



Saranno giorni di rara serenità, il mare evidentemente ancora ci sopporta e così mi permette di solcarlo senza difficoltà. La traversata sarà effettuata in condizioni ottimali, anche se con poco vento. Il viaggio di Simona terminerà non appena in vista della Corsica, una telefonata la richiamerà prima in terra ferma e poi con un aereo a casa per improvvisi impegni di lavoro. Vi risparmio il momento del saluto che io stesso mi sarei risparmiato.



La sera della sua partenza resterò seduto in pozzetto sotto una luna che quasi sembra schiacciarmi, in compagnia di una delle numerose bottiglie di vino imbarcate che senza farmi domande si lascerà a poco a poco svuotare in un accalcarsi di pensieri e ricordi con i quali passerò in rassegna tutta la mia “seconda” vita come sull’orlo di un baratro, ancora una volta sento che tutto sta per finire, ma questa volta con una nuova idea che si affaccia nella mia mente.



Su di una malandata barca in legno ormeggiata accanto ad Onda Etrusca, un anziano signore dalla bianca barba e dalle braccia così magre da sembrare un ragno, mi fa compagnia con il suo bicchiere in mano, Non scambiamo neanche una parola favoriti forse anche dalla grande bandiera finlandese che espone a poppa, preferisco immaginare che abbia compreso il mio silenzio ed abbia voluto rispettarlo.



Il mattino come si sul dire ha l’oro in bocca è così alle prime luci dell’alba, io ed il mio mal di testa, molliamo gli ormeggi e mettiamo prua verso nord. Il volto del bianco signore Finlandese di ieri sera, che facendo capolino dal tambucio mi sorride, sarà l’ultimo che vedrò per oltre 10 giorni.



Quello che soltanto ieri sera era un’idea oggi è una decisione presa ed approvata. Niente più mi lega a nessun luogo. Andrò avanti fino a che il mare mi vorrà. Un po’ come Bernard Motessier con la sua Joshua, il mio accordo con Onda Etrusca sarà : “tu dammi vento ed io ti darò miglia”.



Confortato da un meteo rassicurante e dalla cambusa pensata per 2 persone dopo la partenza di Simona anche il mio mal di testa ha voluto sbarcare e così, carte nautiche alla mano e sestante, come Malaspina ha sempre predicato : “sfaccimme e gps” penso di aver fatto rotta verso le Isole Baleari, dico penso, perché quando ormai credevo di doverle scorgere a prua le ho invece scorte al traverso ma in lontananza. La mia navigazione solitaria che si è svolta sulle 24 ore mi ha portato in sintonia col mare.



Il suono delle onde che frangono sulla prua incessantemente, è un rumore che a poco a poco diventa familiare, come l’ondeggiare di tutto il mio “mondo solido”.



Sparuti gabbiani in lontananza mi hanno urlato qualcosa che non ho compreso, ma che ho come la sensazione volesse essere un saluto.



Questo rumoroso silenzio diventa come una colonna sonora che ti accompagna senza tregua. A volte si interrompe nella sua continuità con un sordo rumore proveniente dalla coperta. La prima volta mi ha spaventato, ma poi mi sono abituato all’idea dei pesci volanti che vengono a farmi visita a bordo atterrando sul prendisole e che io mi affretto a rigettare in acqua.



Il mare ha voluto concedermi anche un'altra gioia, quella dell’incontro con 3 delfini che si sono alternati a correre da un lato all’altro della prua tra salti, tuffi e grida.



E’ come guardare dei bambini che giocano al pallone.



Entusiasti della vita e con tutte le opportunità ancora nelle mani.



Ad uno di loro ho chiesto di portare un saluto a Fulvio, questa volta, nonostante la “diversa bandiera” sono certo abbia compreso.



Chi non è avvezzo a lunghe navigazioni in solitario può essere portato a pensare che sopraggiunga la noia, ma da quel che ho potuto vedere, i tempi del mare sono assai lontani da quelli dell’implacabile orologio, ad un certo punto, giorno o notte, fame e sonno diventano unicamente pezzetti di un unico insieme: la tua esistenza, è come se una forza magnetica mi richiamasse non so bene dove, continuo a fissare la carta con l’unica certezza che il mediterraneo sia troppo piccolo per noi due.



Così davanti al porto di xxxxxx il comitato di accoglienza si scatena riconducendomi alla realtà. Una motovedetta della xxxxxxxx mi abborda come abitualmente devono fare i pirati. Il loro aspetto severo e le armi che espongono come un vessillo distintivo mi provoca un dejevux. Sono passati molti anni ma ancora ricordo certi momenti e come fermare un auto o una barca, del resto non fa differenza, sia sempre un momento di tensione, almeno sino a quando i veicoli non siano fermi, le persone non siano a terra insomma la situazione sia sottocontrollo.



Li assecondo in un inglese molto all’ “Albertone”, confido che nessuno di loro sia madrelingua inglese. Una volta trasferiti a bordo riusciamo tutti a rilassarci. Uno dei militari sale e scende più volte sotto coperta









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Autore: The Manager Invia un messaggio
Postato in data: 23/04/2010 11:55:10
Giudizio personale:
Stupendo...ma il seguito?


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