i racconti erotici di desiderya

Amanda e la mia iniziazione ....il primo incontro

Autore: Efabilandia
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Quando lei cominciò a colpirmi provai un moto di ribellione e di reazione a quello che mi stava facendo, ma si spense di fronte alla sua abile dimostrazione di padronanza e di forza. Lei continuò a colpirmi indirizzando ogni volta i suoi colpi sulle mie guance indifese, controllando il mio capo attraverso la presa sui miei capelli. Quella presa che non accennava a diminuire.







Al di sopra del trambusto che i colpi provocavano dentro di me sentivo la sua voce suadente ma metallica.







Mi ritrovai con le braccia abbandonate, il corpo molle, una totale confusione in testa. Con lo sguardo che era costretto a incrociare il suo. Lei mi guardava con quei suoi spietati occhi dolci, luminosi come mai prima di allora. Si stava godendo lo spettacolo di un uomo, apparentemente forte e sicuro, che si sgretolava davanti a lei. Alla sua mercé.







Eppure c'era qualcosa di erotico in tutto questo. Lei stava imponendo il suo essere al mio, in quel momento debole e frastornato. Attraverso i suoi colpi, lei aveva materializzato la dipendenza psicologica che era scattata dentro di me alla vista del suo corpo, del suo addome cesellato, delle sue braccia definite, dei suoi occhi teneri e luminosi. E questo si era imposto, per una serie di circostanze forse irripetibili, alla mia volontà.







Quando si accorse che la mia forza di volontà era spezzata, mi tolse le scarpe, poi si liberò delle sue e si alzò invitandomi dolcemente a fare altrettanto. Mi alzai. Lei riprese a tenermi per i capelli e a fissarmi. Io non potevo sottrarmi a quello sguardo, sentendomi totalmente nudo.







I nostri corpi si fronteggiavano: il mio molle e battuto, il suo duro e diritto. In quel momento, stranamente, mi resi conto che era un po' più alta di me. Non lo avevo mai notato, forse perché ogni volta che la incontravo lei portava scarpe da ginnastica, mentre io avevo sempre scarpe con un paio di centimetri di tacco. Ora quei due centimetri in meno mi privarono anche di quella remota sensazione di sicurezza che mia altezza superiore alla sua mi avrebbe dato. Mentre mi guardava, lentamente mi avvolse con un braccio. Poi lo abbassò. La sua mano si trovò in fondo alla mia schiena, quindi abilmente si incuneò tra i miei glutei. Lì si fermò per un po'.







Continuavamo a guardarci. Il mio viso, pur arrossito per i suoi colpi, certamente lasciò trapelare il mio imbarazzo. Lei sembrò quasi dispiaciuta per quello che stava per fare. Passarono alcuni attimi che sembrarono un'eternità, poi, nel silenzio, un colpo quasi impercettibile: un suo dito aveva colpito la parte dei miei pantaloni che copriva il mio ano.







In quel momento esplodemmo silenziosamente entrambi. Non so cosa passò nella mia testa, ma di sicuro qualcosa che sembrava accettazione naturale del rapporto di forza che lei aveva imposto tra noi: io ero suo, come una vittima sacrificale. Lei, scuotendo il capo e allargando gli occhi, ancora una volta fingendo stupore, intuì subito che aveva via libera: io era suo.







"Abbassa i pantaloni". Le sue parole, sussurrate, riempirono la stanza, mentre un altro colpetto si abbatteva sul mio ano, appena attutito dal tessuto che lo copriva.



Nel frattempo lei mi conduceva lentamente vicino ad un tavolo.



Io mi sfilai i pantaloni. Non appena lo ebbi fatto lei introdusse la sua mano sotto i miei boxer. Continuò a battere, ora più decisamente. Il suo dito arrivava rapido e deciso.



I miei occhi erano costretti dalla presa della sua mano sui miei capelli e dal suo sguardo predatore ad incrociare i suoi, più alti. Non c'erano più incertezze in essi.



Rapidamente la sua mano abbandonò i miei boxer ed andò a tuffarsi al sotto dei pantaloni elastici della tuta che indossava. In un attimo tornò su e si introdusse nuovamente nei miei boxer, a ancora oltre.



Sentii qualcosa guizzare attraverso l'ano, senza resistenze.



Erano le sue dita, ora lubrificate. Due, mi sembrò. Non incontravano attrito e si muovevano sapienti. Penetravano nella cavità, poi ruotavano nell'orifizio, indugiando sul suo orlo.



Ancora una volta arrossii, cercando di sottrarmi al suo sguardo.



"Guardami", sentii dirle, con severità.



"Mi vergogno. Cosa mi stai facendo?", dissi.



"Solo quello che ci piace. Lo sai che ti sta piacendo, come sta piacendo a me", rispose, convinta.







La sua consapevolezza non tollerava ipocrisie da parte mia. Sì, mi stava piacendo.



La sua abile e sapiente condotta, alternando dolcezza e violenza, si stava rivelando travolgente.



Qualcosa del genere aveva ispirato anche me, talvolta, con un paio di ragazze.



Ma non ero mai stato bravo quanto ora lei dimostrava di essere. Io non avevo mai capito tanto lucidamente cosa si aspettasse da me una donna. E non avevo mai capito cosa io mi aspettassi da una donna.



Quanto agli uomini non mi interessano sessualmente, e continuo a pensarla nello stesso modo. Eppure ora Amanda stava sollecitando parti del mio corpo che non avrei mai pensato di abbandonare così totalmente a nessuno.



C'era qualcosa di straordinario in quell'incontro con Amanda. Mi stava rivelando la mia natura gay? O forse era qualcosa di più complesso, forse spaventoso: stavo apprendendo di avere una natura sottomessa e debole.







La sua forza, fisica e mentale, mi stava dominando e conquistando, forse troppo facilmente.



Amanda non era affatto un uomo. Era dolce e femminile. Ma il suo corpo ben fatto e meglio costruito esprimeva forza e decisione. La sua natura non era arrendevole. La mia lo era. Però, se qualcuno avesse brutalmente cercato di imporsi a me, avrei senz'altro reagito. La dolce fermezza di padrona Amanda, e la sorpresa del suo corpo armonioso, palestrato e solido, mi avevano, invece, travolto.







Ma ora lei stava preparando con le sue dita il mio ano ad una ben più decisa penetrazione.



Quando si rese conto di aver lavorato a sufficienza con le dita, alzò la mano e, dopo aver aperto un cassetto, afferrò qualcosa che mi sembrò spaventosamente grosso e lungo e tornò al mio ano, ormai docile e aperto.







Sentii qualcosa entrarmi dentro, incuneandosi dapprima senza resistenza, ma poi più ruvidamente. Cominciai ad accorgermi con spavento che quell'affare era enorme. Come avrei potuto resistere?



Cominciai a provare dolore e nausea. Ma lei continuava, dopo aver appoggiato il mio volto sulle sue spalle, vicino al suo collo, sottile ma ben piantato.



Perché non reagivo? Mi stava forse piacendo? Credo di no, aveva un sapore come di amaro, appena ammorbidito da frammenti dolciastri. Un'esperienza totale e assorbente: mi sentivo scuotere tutto, posseduto da quella protesi fisica della volontà di dominio di Amanda, non riuscivo a pensare a nient'altro. Fitte e spasmi mi penetravano fin nel cervello. Ero come ubriaco o peggio.



Anche lei ora sembrava ubriaca. Aveva perso il suo autocontrollo, e spingeva su e giù come una forsennata. Dentro e fuori, con violenza e furore.



La cosa più sorprendente era che il mio membro si era irrigidito, protendendosi in avanti e toccando il suo corpo sodo. Sembrava sul punto di scoppiare.



Lei ad un certo punto cominciò a strofinarlo con il suo addome, e in pochi secondi venni, scosso da spasimi e vibrazioni mai provate. Un grido strozzato e disumano uscì dalla mia gola, mentre lei intensificava le spinte dell'oggetto che brandiva dentro il mio corpo. Ora erano insopportabili.



Sentii del liquido caldo scendermi giù per le gambe e un dolore lancinante.



Mentre catturavo uno sguardo beffardo e cinico di Amanda, un ghigno perverso misto a disprezzo, mi accasciai, annientato.


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