i racconti erotici di desiderya

3. la sottomissione


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Cenammo in un ristorantino vicino a casa di Viktoria, sotto lo sguardo curioso degli altri avventori del locale, per il divertimento del propretario, amico di Viktoria.

Finita la cena Viktoria si licenziò da noi, avendo altri impegni precedentemente fissati.

Barbara chiamò alcune sue amiche e si fece venire a prendere andandocon loro per locali e lasciando soli me e Simona, la quale disse che non era dell'umore di andare per locali e che preferiva una rilassante serata in casa.

"Beh, andiamo a casa, guida tu, io non è ho voglia!".

Con queste parole, mi invitò a riaccompagnarla a casa.

Arrivati sul portone, mi fece segno di entrare e l'accompagnai fino alla porta dell'appartamento. Lei l'aprì, entrò, poi si rivolse a me: "Entra, fammi un pò di compagnia".

Non mi feci pregare, e la seguii lungo il corridoio. Lei si stese sul divano.

Stavo per avviarmi verso l'altro divano, ma Lei mi bloccò con la richiesta di portarLe una bottiglia di spumante e un bicchiere.

Presi la bottiglia dal frigorifero, poi due bicchieri da spumante dalla dispensa, porsi tutto su di un vassoietto e li appoggiai sul tavolino tra i due divani.

"Avevo detto un bicchiere, non due!"

"Uno, sarebbe per me", abbozzai timidamente.

Afferrò un bicchere e me lo porse.

"Rimettilo al Suo posto!", mi ordinò, senza aggiungere altra spiegazione.

Amareggiato per quella inspiegabile reazione, feci quanto richiesto, in silenzio.

Quando mi riaffacciai in sala, fui accolto da una nuova richiesta, il cui tono sembrava più un ordine.

"Vieni qua, toglimi gli stivali!".

Seppur irritato da quel tono, feci quanto da Lei richiesto, sfilai prima lo stivale del piede destro, sollevandone la gamba che si stendeva lungo il divano, fino ad appoggiarsi al bracciolo opposto, dove ebbi cura di riappoggiarla delicatamente; poi mi chinai per afferrare lo stivale sinistro, la cui gamba si appoggiava stanca a terra, la sollevai e l'appoggiai sopra il mio ginocchio, poi sfilai lo stivale e feci di nuovo calare lentamente la gamba fino a terra.

"Ah, ora sì, finalmente, mi stavano scoppiando i piedi là dentro. Dovreste provare che tortura sono i tacchi a spillo, vi si rizzerebbe meno", affermò con aria compiaciuta.

"Valli a mettere al loro posto, c'è una scarpiera dietro la porta di camera mia".

Ancora una disposizone imperativa.

Ancora una volta ci passai sopra e mi apprestai ad eseguire.

Riposi gli stivali nella scarpiera dietro la porta, al cui interno trovavano posto ogni tipo di calzatura, tassativamente con tacco alto.

Ridiscesi in sala; apprestandomi a sedermi finalmente sul divano, quando di nuovo Lei ordinò:

"Vieni qua, sfilami le calze. Ho bisogno di far respirare le gambe".

Come vittima di un incantesimo, seppur contrariato, eseguii anche questo Suo nuovo ordine, mi inginocchiai ai piedi del divano e delicatamente sfilai le due calze, ammirando l'eleganza e la sinuosità delle due gambe.

"Bene, adesso versami lo spumante nel bicchiere".

Eseguii, di nuovo.

Le porsi il bicchiere. Lo portò alla bocca, ne sorseggio un poco, poi ancora un ordine.

"Massaggiami le gambe e i piedi!", ordinò, con tono sempre più autoritario.

Mi inginocchiai ai piedi del divano e presi a massaggiare, dapprima i piedi, salendo lungo i polpacci, fino alle ginocchia, quando con un gesto di stizza, mi fece capire che non dovevo superare quel limite.

Mentre io operavo sulle Sue gambe, Lei guardava distrattamete la televisione, sorseggiando lo spumante. Raramente volgeva lo sguardo su di me o sulle mie mani.

Dopo qualche minuto, posò il bicchiere sul tavolo e si alzò dal divano. Mi fece cenno di seguirLa. A passo spedito, si avviò verso le scale.

Salimmo al piano superiore, fino a raggiungere la soglia della Sua camera, dove mi ingiunse di restare fermo, immobile lì davanti.

Lei entrò nella camera e cominciò a spogliarsi, lentamente si sfilò camicetta e gonna, poi anche le piccole e sode tettine furono liberate dell'abbraccio del reggiseno nero, infine anche il perizoma cadde ai piedi di Lei.

Davanti alla meraviglia della vista di quell'esile corpicino, protagonista di molte delle mie fantasie, sentivo la mia zona inguinale contrarsi, mentre il pene si induriva, in preda all'eccitazione.

Uscendo dalla stanza, notò il rigonfiamento dei miei pantaloni, poi alzò lo sguardo verso di me pronunciando: "Puoi anche metterlo a cuccia".

Entrò nella sala da bagno in fondo al corridoio, una piccola saletta, con il tetto a travi, spiovente, sopra una grande vasca idromassaggi, con un grande finestrone sopra di essa, dal quale si poteva avere una splendida vista del cielo.

Di nuovo mi ordinò di fermarmi sula soglia. Lei entrò, versò dei sali nella vasca, e aprì l'acqua, che in pochi secondi riempirono la vasca di una schiuma profumata.

Poi ci si infilò dentro, fino a scomparire sotto la schiuma, per poi riemergere e appoggiare la testa sul bordo della vasca e lanciare un altro ordine. "Vieni qua. Prendi quella spugna, massaggiami i piedi e le gambe".

Mi avvicinai alla vasca, presi la spugna che mi aveva indicato e cominciai a strofinarla lungo una delle gambe che aveva appoggiato sul bordo opposto della vasca.

Lei chiuse gli occhi, rilassata, lasciandomi accarezzare le sue splendide gambe, seppur con un spugna.

Dopo qualche minuto, riaprì gli occhi, immerse le gambe e si girò di spalle.

"Adesso la schiena, piano piano, come hai fatto finora".

Disse appoggiandosi con le spalle sul bordo.

Mentre la mia mano spingeva la spugna lungo il dorso di quell'esile corpicino, il mio sguardo fù rapito dalla visione dei suoi rotondi glutei, che come isolotti emergevano dalle profumate e schiumose acque.

Quel corpicino, le Sue sinuose curve, protagoniste di gran parte delle mie fantasie, era a pochi centimetri dalla mia vista, solamente una spugna lo separava dal contatto con la mia mano. Di nuovo sentii vibrare l'addome e contrarre il pene.

Simona si rigirò e, questa volta, mi ordino di passarLe la spugna sui seni.

Non resistetti a fare maggiore pressione con la spugna per saggiarne la compattezza, ma subito il mio polso fù bloccato da una energica presa: "Piano ragazzo, non ti scaldare troppo".

Ero confuso, mi stava facendo sfiorare ogni parte del suo sensualissimo corpo, negandomi ogni piccola ardita iniziativa. Mi stava torturando, un sottile, perverso gioco erotico, nel quale io ero il burattino e i cui fili erano comandati dalla Sua mente.

"Adesso passami l'accappatoio, là, dietro la porta!".

Le porsi l'accappatoio e l'aiutai a indossarlo, poi le passai un asciugamano che Lei si avvolse intorno ai capelli.

Lasciò cadere l'accappatorio ai Suoi piedi, per poi ordinarmi di raccattarlo e riporlo al suo posto.

Prese una bottiglietta dal mobiletto accanto allo specchio e me la porse: "Volevi mettermi le mani addosso, bene, allora spalmami questo olio su tutto il corpo.

Le mie mani potettero scivolare, unte di quell'olio aromatico, per tutto il Suo corpo, accarezzandone ogni centimetro, assecondando ogni sua curva.

Ma il piacere che mi procurava quel contatto, naufragava nel supplizio che era il tentare di strozzare l'eccitazione che ormai era arrivata al limite, con il rischio di esplodere da un momento all'altro.

Quando le mie mani si posarono sui sodi e piccoli seni, sentirono i capezzoli turgidi, sentivo di non poter resistere oltre, lasciai per un attimo la presa, portai le mani al pene e lo strizzai, come per bloccarne una possibile fuoriuscita.

Imbarazzatissimo abbassai lo sguardo. Quando lo rialzai, riflesso nello specchio, incrociai il Suo, irritato e severo.

"Quando avrai finito di comportarti come un animale, finisci di spalmarmi l'olio, grazie!".

Ritirai le mani, la guardai imbarazzatissimo, feci un lungo respiro, e ripresi il mio compito, faticando non poco a controllare gli istinti animali, per i quali ero stato redarguito.

Liberatasi delle mie mani, si avviò nella Sua camera, dove indossò una mutandina a perizoma, e una vestaglina corta, appena sotto il sedere, leggermente trasparente; ai piedi un paio di zoccoli con tacco, almeno 5cm.

Così mi riapparve quando fece rientro nel bagno, dove mi aveva lasciato e da dove non mi ero mosso, incapace di prendere alcuna iniziativa, ormai in balia del Suo umore.

Si chinò in avanti, togliendosi l'asciugamano e sfregandolo energicamente sui capelli, per poi ritornare in posizione eretta lanciando all'indietro i capelli ancora umidi.

"Svuota la vasca, poi dagli una sciacquata. Io scendo giù in sala, muoviti e raggiungimi".

La osservai allontarsi, camminando lentamente, con un movimento che sollevando la corta vestaglia, alternativamente scopriva le rotondità inferiori delle sue natiche.

Sparì dietro l'angolo, e di Lei mi rimase solamente l'eco dei Suoi zoccoli che rintoccavano sugli scalini di legno.

Mi voltai in direzione della vasca, con una smorfia mi lasciai andare in un sospiro e mi accinsi ad eseguire il nuovo ordine, ormai non più risentito, ma sorprendentemente sereno.

Senza farmi richiamare giunsi di nuovo al Suo cospetto, questa volta nemmeno accennai a sedermi sul divano, automaticamente mi posizionai davanti a Lei, in attesa di un'altro ordine.

Simona stava sorseggiando un altro bicchiere di spumante, mi guardò di traverso con il bicchiere in bocca, poi lo appoggiò sul tavolino:

"Potresti rimanere qua con noi!"

Alla Sua affermazione reagii con un'espressione stupita.

"Intendo, vivere qui, in questa casa, con me e Barbara.

Naturalmente c'è un prezzo da pagare, sarai a nostra completa disposizione."

"Cosa intendi?".

"Che saremo padrone del tuo corpo e della tua mente, non ti sarà permesso di fare o dire niente che non ti sia stato esperessamente autorizzato da una di noi; dovrai eseguire alla lettera e senza esitazione, ogni ordine che ti impartiremo.

Se saprai comportarti bene, ci comporteremo altrettanto bene con te, ma se ci deluderai o non ti comporterai in maniera adeguata al tuo ruolo, subirai severe punizioni".

"Perchè dovrei accettare?"

"Intanto mettiti in ginocchio se vuoi parlare con me!"

Leggermente perplesso, piegai le gambe e mi posi in ginocchio.

"Ecco perchè. Perchè sei un miserabile essere inferiore. Ancora non lo sei del tutto consapevole, ma agisci già come un sottomesso. Se solamente pensi a quello che ti abbiamo fatto fare nelle ultime 24 ore, senza nemmeno dover imporci più di tanto, partendo da una semplice scomessa e dalla tua convinzione di doverla onorare, fino a ridurti ad una troia ingorda di cazzo e sperma."

Chinai la testa in basso.

"Vedi, nemmeno riesci a reggere il mio sguardo. Anche adesso, hai fatto tutto quello che ti ordinato di fare, senza battere ciglio, perchè? Te lo spiego io perchè. Perchè inconsapevolemte e istintivamente hai riconosciuto la mia Superiorità nei tuoi confronti e di sei sottomesso a me.

Se mi sbaglio puoi alzarti e prendere quella porta, e se ci và ci risentiremo. Ma se ho ragione, rimenendo qua, potrai realizzarti e prendere consapevolezza del tuo ruolo".

Rimasi in silenzio, con lo sguardo a terra, come incise su di un nastro che si riproduceva e riavvolgeva, le sue parole risuonavano nella mia testa.

Piano piano logoravano ogni mio riluttanza a tale rappresentazione, e quando infine cedetti alle Sue teorie, provai vergogna per la miserevole posizione che avevo assunto.

Accennai ad alzare lo sguardo verso di Lei, alla ricerca di un gesto compassionevole, ma mi ripiegai velocemente sulle ginocchia, scoppiando un un fragoroso pianto.

"Vedo che stai realizzando che ho ragione. Stai regendo come una femminuccia, ecco perchè ti piace tanto il cazzo!"

Il suo tono si fece più ironico; nonostante l'argomento e la crudezza delle Sue parole, finora era stato sempre distaccato.

Con la punta di uno zoccolo mi sollevò il mento, fino a sollevarmi lo sguardo annebbiato dal pianto. Il mio aspetto credo fosse stato quello di un cucciolo impaurito, tremante dinnanzi a un potenziale predatore.

"Ti lascio qualche minuto per riordinare i tuoi pensieri.

Salgo in camera mia, riscendo tra qualche minuto. Se decidi di rimanere farti trovare nella stessa posizione in cui ti trovi, altrimenti prendi la porta e sparisci!"

Il rumore dei Suoi zoccoli risuonò assordante nella mia testa mentre saliva le scale, poi si fece più sordo mentre raggiungeva la camera al piano di sopra, sfumando nel silenzio.

Ero solo con me stesso, o con quello che era rimasto di me stesso.

Nonostante ritenessi la situazione del tutto assurda e del tutto inconcepibile solamente pensare di potermi sottomettere ad un altra persona, una qualsiasi altra perosna, non solo Simona e Barbara, il cui rapporto, vecchio di anni, era stato finora improntato su una leale amicizia.

Sapevo che accettare la proposta di Simona era una cosa del tutto irrazionale, ma nonostante questo non trovai la forza di muovere un solo muscolo. Avevo smesso di piangere, le mie orecchie erano rivolte al piano superiore, in attesa di udire nuovamente il rumore dei Suoi zoccoli. D'improvviso realizzai che, nonostante tutto, era proprio quello che desideravo, farmi ritrovare lì, in quella posizione. Non ero consapevole di quelle che sarebbero state le conseguenze, ma presi coscienza del mio voler assoggettarmi alle Loro persone.

Il rumore dei Suoi passi fù una liberazione per la mia tormentata testa, in un lampo si fece sgombra di ogni pensiero, travolta da una piacevole sensazione di giubilo, come di un cane che attende il ritorno del proprio padrone.

Ma non era il rumore sordo degli zoccoli ad accompagnare i Suoi passi, bensì il ticchettio secco di due tacch a spillo.

Come il peggiore dei feticisti, la sola sensazione che avesse di nuovo indossato delle scarpe con tacco a spillo mi eccitò, tanto da provocare una semi erezione.

Quando il ticchettio risuonava vicino, quasi sopra la mia testa, si fermò.

Ero tentato di alzare la testa per cercarLa con lo sguardo, ma fui anticipato dalle Sue parole.

"Hai fatto la tua scelta, da adesso non sarai più considerato una persona, ma un essere inferiore. Come il peggiore degli animali, dovrai strisciare ai nostri piedi, indegno di sollevare la tua testa e il tuo sgaurdo al di sopra della nostre caviglia."

"Adesso assumi la tua posizione da lurido verme, togliti velocemente tutti quei cazzo di vestiti di dosso e stenditi a terra, con lo sguardo sempre rivolto verso il basso."

Fui di nuovo preso dal panico, ma mi convinsi che ormai la scelta era irreversibile e dopo solo un attimo di esitazione, mi prodigai ad eseguire le Sue disposizioni.

Solamente quando fui completamente nudo e disteso a terra, riprese il rumore dei Suoi passi, echeggiando dagli scalini di legno che La accompagnavano fino alla sala.

Girò intorno al divano per raggiungermi alle mie spalle, sentivo i suoi tacchi ticchettare lungo il mio fianco sinistro.

"Tieni lo sguardo basso, lurido verme. Non osare mai volgerlo verso di me e nessuna altra persona, non ne sei ancora degno."

Mentre pronunciava queste parole, posò un piede sopra la mia testa e la spinse verso il basso, schiacciandomi il naso al suolo, affondando il tacco alla base della nuca.

"Prima di poterne avere il privilegio dovrai fare un lungo cammino, adesso non sei niente più che un verme e, come tale, non potrai altro che strisciare ai nostri piedi, l'unica parte di Noi di cui sarai omaggiato. Solamente se ti comporterai bene e ci soddisferai ti permetteremo di diventare la nostra servetta, altrimenti continuerai ad essrere impietosamente schiacciato!".

Con queste parole, disteso a terra, completamente nudo, sotto il piede di Simona, cominciò la mia nuova vita.

Una vita da sottomesso.


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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Federikatrav Invia un messaggio
Postato in data: 07/11/2008 11:33:00
Giudizio personale:
quanto lo invidio....


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