i racconti erotici di desiderya

24

Autore: In Barca
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Era giovane, dannatamente giovane, eppure così provocante, fantasiosa ed eccitante da essere in grado di dare molti punti ad una donna navigata, avvezza alle mille fantasie della vita. Lui non aveva mai dato peso alla freschezza del corpo, ma in quella giovane donna era una componente essenziale, unita ad una naturale sapienza e ad una spontanea capacità di rendere erotico ogni movimento, ogni conversazione, ogni gesto e ogni allusione.

Gli faceva anche impressione sapere che aveva meno della metà dei suoi anni. Tuttavia si ritrò a frugare nei suoi ricordi per richiamare alla memoria quanto fosse più appetibile e sodo il corpo di una ragazza, non logorato dagli anni e non corroso dall’età. Non che questo la rendesse più desiderabile, certo però che stringere le dita su un paio di glutei duri come marmo era ben diverso, quando ci meditava su, che affondarli nella fiacchezza muscolare di una sia pur ben portata maturità.

Ciò che davvero lo stupiva e lo attirava, però, era la passione di lei per l’età che lui aveva; insomma, ciò che la eccitava, che lo rendeva desiderabile e gradito agli occhi della ragazza, erano proprio i suoi oltre 50 anni. L’aveva incontrata in treno, stesso scompartimento. Era una ragazza non appariscente, poteva essere sua figlia. Non aveva mai avvertito desideri per donne tanto giovani, semmai tenerezza, spirito paterno, ma nulla di più. Era stata lei ad avviare un discorso che lui non avrebbe altrimenti mai iniziato, né mai richiesto, proprio perché non gli interessava.

Lei invece era partita da un argomento banale: “Sa quando arriveremo a Milano?”. Lui aveva risposto semplicemente, guardando l’orologio: “tra un’ora”. Poi si era rimesso a leggere. Ma lei aveva insistito: “prende spesso questo treno? E’ puntuale?”. Aveva replicato in maniera gentile e seccata ad un tempo, che no, non lo prendeva mai, quindi non aveva una risposta. E lei allora: “dunque non lavora a Milano? Qua pare che tutti lavorino lì”. “No, lavoro a Bologna”. “Quindi non saprebbe dirmi come fare ad arrivare in Piazza Duomo”. “No, ma ci devo andare anch’io”, aveva detto, aggiungendo distrattamente un’informazione in più a quella richiesta, “però prenderò un taxi, così non mi pongo il problema”. “Potrebbe darmi uno strappo?”.

Era stata una richiesta spontanea, neppure impertinente, eppure l’aveva seccato un pochino. Gli pareva una intrusione poco garbata. Ma che voleva questa qua? L’aveva guardata, squadrata. Non era male: vestiti non costosi ma eleganti, bel fisico pieno, un seno notevole, capelli castani lisci, occhi pure castani. “Va bene”, aveva risposto, prendendo in mano il giornale che aveva posato al suo fianco perché non gli interessava la lettura, ma che in quel momento diventava l’occasione per tagliare corto. Almeno così aveva creduto. La ragazza tuttavia aveva insistito, con fresca spontaneità, apparentemente senza alcuna seconda intenzione. Forse è una attaccabottoni di natura, aveva pensato lui. O forse è una rompipalle inguaribile. Gli venne in mente sua figlia, più o meno coetanea, augurandosi che non si comportasse nella medesima maniera.

Poi la ragazza aveva cominciato a fargli domande più personali. Va a Milano per lavoro? Che tipo di lavoro? E’ sposato? E via chiedendo. Lui aveva risposto con dei sì e dei no, molto asciutti. Quando però si era accorto che i suoi monosillabi non l’avrebbero fatta desistere, aveva iniziato a controbattere a sua volta con delle domande. “E lei come mai a Milano? Cosa fa? Quanti anni ha?”. Aveva così scoperto che avrebbe compiuto 24 anni di lì ad una settimana e che lavorava come impiegata in un grosso gruppo commerciale, che abitava a Modena ma ogni lunedì raggiungeva Milano, dove risiedeva in una camera ammobiliata e rimaneva fino a venerdì sera, rientrando appena terminata la settimana lavorativa. “Non pensa di trasferirsi in pianta stabile?”, le aveva chiesto, “dev’essere scomodo non tanto fare il pendolare, quanto non avere una casa propria ma solo una camera”. “No, non è scomodo, solo che mi manca un minimo di vita privata”, aveva precisato la ragazza, “ma quando finisco di lavorare sono stanchissima e proprio non me la vado a cercare. Poi sono sei mesi che faccio questo lavoro, ancora non so come e quando organizzare meglio la mia vita. Se trovo qualcosa a Modena, lascio”. Pausa, “però in effetti un po’ di vita privata mi manca, non posso ricevere nessuno là dove abito. Ma ce l’ho nel modenese. A Milano in ogni caso non ho veri amici, solo colleghi di lavoro e il tempo che passiamo assieme, in ufficio o in mensa, basta ed avanza”. Altra pausa: “per esempio non potrei chiederle di prendere un caffè da me, quando ha finito di lavorare, così ci salutiamo di nuovo”.

“Potrei offrirglielo io. In fondo devo rimanere fino a domani, dormo in albergo, può venire lei a trovare me”. L’aveva buttata lì, quella frase, senza intenzione, per replicare. Alla ragazza invece si illuminarono gli occhi: “Davvero? Accetto volentieri”, rispose. Lui rimase muto, non se l’aspettava, oltretutto non pensava di avere del tempo da dedicare ad un caffè fuori programma con una ragazzina sconosciuta e dalla parlantina irrefrenabile.

“Se non conosce Milano non saprà neppure dove andare a cena. Io invece conosco qualche posticino economico ma pulito e buono”, aveva aggiunto lei. Il discorso si stava allargando in modo preoccupante, pensò lui: altro che caffè, questa vuole la cena. Tuttavia il suo programma comprendeva anche un incontro conviviale a fine giornata. “Non so, sa, sono ospite e non ho il problema”. “Che peccato”, disse lei con voce mesta, aggiungendo: “se però cambia idea le lascio il numero del mio cellulare, mi chiami tranquillamente”. Il numero del telefonino? Che idea cretina; pareva proprio che non riuscisse, non volesse togliersi di torno. “Aspetti, glielo scrivo”, aveva precisato lei, togliendo un notes dalla borsetta e scrivendo in fretta un numero su un foglio, che poi gli aveva consegnato in mano. Lui, un po’ per abitudine, un po’ per far pesare la sua superiorità, aveva tirato fuori un suo biglietto da visita: “se vuole può chiamarmi lei”, aveva soggiunto, sottolineando la consegna con un “ecco, qui ci sono tutti i miei riferimenti”.

Per fortuna il treno stava entrando a Milano, aveva iniziato a rallentare e di lì a qualche minuto si sarebbe fermato alla stazione centrale. Lui si alzò, prese il giaccone, lo indossò, afferrò la ventiquattrore dal portabagagli e uscì nel corridoio. La ragazza lo aveva imitato e seguito. Insomma gli era sempre dietro. La trovò davvero seccante. Fu solo allora che lei gli ripetè la richiesta: “allora mi dà quello strappo in taxi fino a Piazza Duomo?”. “Sì, certo, va bene”, aveva risposto mentre il treno si fermava. Erano scesi, si erano diretti alla corsia dei taxi; c’era una fila di clienti in attesa lunga una ventina di metri. “Se vuole possiamo prendere la metro”, aveva detto la ragazza. Ma lui non ne aveva alcuna voglia. E poi i taxi si succedevano rapidamente, non avrebbero dovuto aspettare più di qualche minuto perché la coda smaltisse. Ne passarono in effetti meno di quattro prima che venisse il loro turno.

Viaggiarono in silenzio. In Piazza Duomo lei scese e salutò, lui si fermò a pagare. Andò all’incontro che lo aveva portato a Milano, lo seguì dapprima con attenzione, poi sempre più distrattamente. La vibrazione del telefonino lo fece sobbalzare. Estrasse il cellulare dalla tasca, guardò il display, non riconobbe il numero. “Pronto”, disse sottovoce. “Ciao, buongiorno”, rispose una voce femminile, giovane, “a che ora ci vediamo questa sera?”. Era la ragazza della mattina, se l’era quasi dimenticata. Eppure gli fece piacere che lei si fosse ricordata, benchè fosse nel contempo seccato da questa invasione nella sua vita privata e stupito per quell’improvviso passaggio dal lei al tu. “Sono in riunione, richiamami tra mezz’ora”, rispose.

Lei fu pedantemente puntuale, e anche un po’ sfacciata. “Sono io, dove e a che ora ci vediamo?”, disse. Lui ormai non aveva più scuse o motivi per tergiversare: “Alle 19,30 al Plaza”, rispose. E chiuse subito la comunicazione.

Quando arrivò all’albergo lei era già nella hall ad attenderlo. Imbarazzatissimo, anche perché si era vestita e truccata in maniera abbastanza vistosa, la salutò cercando di non far trapelare la sua contrarietà. Lei fece finta di nulla: “ciao, eccomi qua, come stai?” gli chiese gioiosa. “Bene”, rispose asciutto, ma anche stanco, “dovrei andare su a darmi una rinfrescatina”. “Se vuoi ti accompagno”. “Non penso sia possibile”, replicò. “Oh, sì che si può, l’ho già chiesto alla reception, è stato sufficiente dare un mio documento”. Lui non aggiunse proprio nulla e, dopo aver ritirato la chiave della stanza, si avviò, un po’ scuro in volto, verso l’ascensore. Lei lo seguì. Salirono al settimo piano. Lui fece strada, aprì la porta della camera, accese la luce. “Accomodati”, la invitò con tono ironico “fai come se fossi a casa tua”. Lei non fece una piega; andò verso il frigobar: “posso prendere qualcosa come aperitivo?”. “Sì, certo”. La ragazza aprì la porta e si servì.

Lui era seccatissimo, gli era stata espropriata la privacy, avrebbe voluto spogliarsi, mettersi sotto la doccia, poltrire un po’, cenare tranquillamente, meglio se anche un po’ in fretta e comunque con piatti parchi e leggeri. Invece entrò nel bagno con giacca e cravatta. Si spogliò lì, dovette posare con attenzione i vestiti perché non si sciupassero o si bagnassero. Poi finalmente aprì l’acqua della vasca. Magari si sarebbe fatto una doccia, se le circostanze fossero state diverse, ma così almeno poteva rilassarsi di più. Quando l’acqua fu nella giusta quantità, vi si immerse. Gli parve quasi di sprofondare nell’oblio. Gli piaceva il contatto con l’acqua calda e fumante. Prese il suo sapone e cominciò a insaponarsi. Poi lo shampoo. Quindi si immerse completamente nell’acqua, per sciacquarsi. Quando riemerse lei era sulla porta, aperta a metà, nuda. “Posso lavarmi anch’io?”, gli chiese con quell’aria da ingenua un po’ oca. Non disse nulla, rimase a guardarla e basta.

Era una bella donna. Il fatto che non avesse nulla addosso metteva in risalto la sua prorompente femminilità. Si mise a scrutarla, non con sensualità, ma con curiosità. Non ricordava un corpo così, forse lo avrebbe potuto vedere su qualche rivista del tipo di quelle che non avrebbe mai comperato. Aveva delle belle gambe, giustamente lunghe, con le cosce che si allargavano all’inguine, dove i fianchi si aprivano per disegnare una curva deliziosa, al cui centro c’era un folto triangolo di pelo scuro, quasi nero. Il ventre non era piatto, ma aveva anch’esso una leggera e invitante curva, che avrebbe voluto accarezzare, sormontato da un ombelico ammiccante, di cui non si vedeva il fondo. Il seno non era poi così grande come sembrava sotto i vestiti, ma svettava quasi all’insù, sodo, come a chiedere carezze. Dalle spalle si staccavano due braccia lunghe e tornite. Il viso era sempre eguale, interessato e ingenuo, come se la nudità e la situazione fossero per quella ragazza assolutamente normali.

Lei sopportò il suo sguardo, non riuscì ad interpretarlo. Poi gli disse: “cos’è?, c’è qualcosa che non va?” Si sentiva sotto esame. Ed aveva ragione, perché l’uomo la stava analizzando con gli occhi. “No, anzi”, rispose lui, “ti guardavo, sai non vedo tutti i giorni una bella ragazza nuda che bussa alla porta del mio bagno mentre sono in vasca. E non trovo nulla da dire. Anzi complimenti”. “Allora posso accomodarmi?”, domandò lei, oltrepassando la porta e, pur senza avere un esplicito assenso, entrando nella vasca dove si accucciò, rannicchiata, per non occupare troppo spazio.

Fu solo a questo punto che lui avvertì la forte erezione che l’aveva preso e vide, un po’ sgomento, che il suo membro duro emergeva dall’acqua. “Ma guarda chi c’è qui”, constatò lei con semplicità, allungando la mano per prenderglielo e stringerlo con delicatezza. Era un gesto semplice, spudorato eppure fatto con estrema naturalezza, e lui non aveva mai vissuto nulla di simile, neppure con sua moglie. Un po’ si vergognò, poi le nuove sensazioni di piacere che quel tocco gli provocava ebbero il sopravvento e si lasciò andare, appoggiandosi con la schiena alla vasca e socchiudendo gli occhi. Fu di nuovo la giovane a scuoterlo: “comodo, lui”, sentenziò, “ma non ti viene in mente di toccarmi?”. Sfrontata, oltre che spudorata. Però aveva ragione. Nello stesso tempo, tuttavia, si sentiva colpevole come un peccatore, al pensiero di sfiorare quel giovane corpo.

Fu di nuovo lei a rompere il ghiaccio. Si mise in ginocchio, lo abbracciò con le mani dietro la nuca: “e allora, vecchio scemo, mi baci o no?”. Non era un insulto, piuttosto una provocazione, però inaccettabile, pensò. E tirandosi su sporse la bocca verso di lei. Le labbra si incontrarono e si unirono come due ventose, le lingue cominciarono a frugarsi l’una con l’altra, rincorrendosi come due cuccioli che giocano. Lui era scomodo, ma volle accarezzarle il seno. Non era grande, spariva nelle sue mani, ma era duro. Non ricordava che le tette potessero dimostrarsi così sode al tatto. L’areola dei capezzoli era appena aranciata, grande, mentre le punte dei seni erano piccole, quasi violacee, durissime. Le pizzicò con le dita. Lei ebbe un fremito: “dai continua, mi piace l’esperienza degli uomini maturi”. Lui si ritrasse: “perché, è una tua costante quella di frequentare gente della mia età?”. “No, sei il primo, vecchio scemo”, ribadì, “ma da te mi aspetto di imparare tutto quello che non so”. “E cosa non sai?”, le chiese. “Un mucchio di cose”.

Così dicendo si mise in piedi, a gambe leggermente divaricate. Lui alzò gli occhi. Aveva le grandi labbra gonfie e invitanti. Come d’istinto, la sua mano le raggiunse e le sfiorò con un dito. Erano viscide, ma non era il sapone. Lei prese il telefono della doccia e cominciò a sciacquarsi e a sciacquarlo. Si alzò in piedi anche lui. Il suo sesso era durissimo, teso fin quasi a fargli male. Le afferrò i fianchi e la strinse a sé, facendole sentire contro il ventre quanto grande e forte fosse il suo desiderio. Lei lasciò cadere il telefono della doccia. Che iniziò a spruzzare verso l’alto. “Ehi, cosa combini?”, le domandò. “Sei riuscito a deconcentrami”, rispose lei, che chiuse l’acqua. Poi si girò, offrendogli lo spettacolo del suo giovane sedere, duro e alto, la cui fessura divideva due natiche invitanti. Prese un telo da bagno, si girò di nuovo e cominciò ad asciugarlo. Lui lasciò fare, godendosi il tocco di quel contatto cotonato, portato con affetto ed eccitazione. Poi le ricambiò il favore, asciugandola a poco a poco e baciando la sua pelle a mano a mano che le gocce d’acqua sparivano dalla sua epidermide.

“Vieni”, disse, uscendo dalla vasca e porgendole la mano perché l’afferrasse. Lei lo seguì, lui la portò verso il letto e lui: “sdraiati a pancia in giù”. La ragazza non si fece pregare e, come pregustando quanto sarebbe accaduto, si stese, con le gambe leggermente divaricate, offrendo oscenamente ma senza ostentazione il suo posteriore e la sua nascosta intimità allo sguardo dell’anziano. Egli si inginocchiò dietro di lei, le leccò i lombi, poi passò con la lingua tra i glutei, fino all’ano. Lo trovò rilassato, quasi aperto; Lo penetrò con la lingua, lei inarcò il bacino per favorirlo. Continuò a leccarla, lentamente, inumidendola di saliva, mentre con la mano le aveva raggiunto il sesso, dentro il quale entrò con due dita, che mosse su e giù in quell’accogliente apertura viscida come un polipo, risucchiante come una ventosa, pulsante del piacere della donna. Lei non resistette, urlò, piano, poi forte. “Sì, sì, sìììììì”. Alzò il sedere, spinse come volesse dentro di sé l’intera mano, si mosse avanti e indietro e, con una serie di tremiti e di contrazioni, dimostrò quanto fosse stata lieta delle sue carezze. Si rilassò, spalmandosi sul letto, inerte, ansimando. Poi si girò: “non è ancora ora di cena, ma ho fame: di te”, gli disse guardandolo negli occhi. “mangiami, bevimi, ti voglio dentro, dovunque, fammi quello che vuoi, guai se mi deludi”. “Non preoccuparti”, rispose, “ora che ci penso, ho davvero molte cose da insegnarti”.



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Astarix Invia un messaggio
Postato in data: 28/11/2012 17:37:03
Giudizio personale:
Intenso e ben scritto!!!

Autore: Pegaso1 Invia un messaggio
Postato in data: 28/06/2009 01:56:05
Giudizio personale:
bello... nn so dire altro anzi nn trovo le giuste parole


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