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1941 - colpo al cuore


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Ricordo tutto molto bene. Era gennaio. Gennaio del 1941. La guerra era entrata nel periodo di massima intensità ed io ero un giovane tenente della 7° compagnia di fanti sabotatori. Il mio plotone era composto da 8 uomini ed eravamo dislocati a Grezieu la Varenne fortunatamente fuori dalla zona calda, dove la battaglia infuriava violenta e sanguinaria. La linea Maginot aveva ceduto e le truppe naziste stavano calando nel cuore della Francia, incuneandosi fra le nostre prime linee.

Mi ero staccato, durante una perlustrazione, dalla mia compagnia e mi ero perso in una borgata disabitata. A ridosso di una vecchia casa diroccata c’era un soldato tedesco carponi che piangeva e pronunciava parole incomprensibili a bassa voce tra i singhiozzi. Ricordo il suo viso. Perfettamente. Non l'ho mai dimenticato. Pallido, liscio, pulito, con grandi occhi verdi. Sembrava spaventato, indifeso, ma quando abbassai il mio fucile e gli tesi la mano in segno di pace, lui alzò la sua Luger e fece partire un colpo che mi raggiunse al torace. Pochi centimetri dal cuore. La fitta dolorosissima mi fece stramazzare a terra. E mi maledissi per la mia stupida intenzione di volerlo aiutare anziché ucciderlo immediatamente. Da terra, vidi che si avvicinava e i suoi scarponi infangati erano vicini al mio volto. Girai la testa mi sforzai di guardarlo... La vista mi si era annebbiata e la testa mi pulsava all'impazzata ma intravidi quegli occhi verdi meravigliosi. Mi passò per la mente un pensiero balordo: pensavo che era bello morire così, ucciso da un essere umano con occhi così belli.. La paura di morire mi avvolse e sentivo le forze abbandonarmi. Vidi un ultima volta il soldato che mi guardava in silenzio, si toglieva l'elmetto e faceva scendere una cascata di lunghi capelli corvini... Prima di chiudere gli occhi pensai che quel soldato sarebbe stato una bellissima donna. Persi i sensi, e quando mi risvegliai mi trovavo all'ospedale da campo del 22° plotone. Non seppi mai chi mi aveva tratto in salvo. Comunque in virtù della mia ferita che ancora oggi mi duole in quanto mai completamente rimarginata, avevo chiuso con il fronte. Sarei stato rispedito a casa. In qualche modo, quel soldato mi aveva salvato la vita.



Ed ora, sempre in qualche modo, sono qui, quindici anni dopo a Grezieu la Varenne, intento a sorseggiare un calice di cognac al Café Chantal e con una sigaretta nazionale fra le dita. Sto pensando ancora a quel ragazzo che mi aveva ferito. Non riesco a dimenticarlo.

Ero sicuro che aveva bisogno di aiuto e che io sarei stato capace di aiutarlo. Sto guardandomi intorno e nel buio della sala, mentre la musica soffusa dell'orchestra accompagnava l'attesa dell'esibizione della soubrette, vedo ad un tavolo vicino al mio una figura di donna che sedeva in sola compagnia di un bicchiere di vino bianco.

Sono solo anch’io al tavolo. Sono solo da anni, da sempre. Forse perché il mio cuore non si è mai sanato da quella ferita provocata dall’eterea immagine di quel soldato. Con quel viso delicato, perfetto, con quegli occhi verdi così tristi e così belli… Tremo al pensiero, ma devo ammettere che mi sono innamorato di quel soldato e la mia mente è sconvolta. Siamo nel 1956 e se un pensiero del genere trapelasse, sarei sicuramente contestato, bollato ed escluso dalla società. Eppure… un insana passione mi spinge a fantasticare dolci pensieri con quel soldato dai lunghi capelli neri, e nel mio profondo, anche fantasie erotiche. Mentre accasciato a terra piangeva, gli avrei abbracciato dolcemente le spalle, accarezzato delicatamente il petto, e avrei posato le mie labbra sul suo collo bianco e senza imperfezioni. Gli avrei tenuto le mani per ore, gli avrei tolto quegli scarponi infangati e avrei massaggiato e baciato i suoi bianchi piedini arrossati dalle lunghe sere in piedi davanti al forno e le sue piccole dita stanche..



Mi alzo dal mio tavolo e mi dirigo verso il tavolo della donna sola. Incrocio il suo sguardo che mi appare per nulla intimorito. Sguardo che rivela meravigliosi occhi chiari. Come già avevo visto.

Chiedo se posso farle un po’ di compagnia in attesa dello spettacolo e lei accetta, con fare delicato. Mi presento e lei risponde che già mi conosce. Lei si chiama Micol mi guarda e non mi dice altro di lei. Solo che è triste e sola. Le dico che mai avevo visto occhi più belli dei suoi, anche se in parte mento, poiché occhi di pari bellezza li vidi quindici anni fa al fronte. E’ solo osservandola attentamente che noto quanto questa donna sia bella. Bella come un mattino di primavera, bella come la fine della guerra, bella come un abbraccio di una amica. Non riesco a distogliere lo sguardo da lei. E provo la stessa sensazione di quando mi trovai di fronte a quel soldato.

Non riesco a staccarle gli occhi di dosso nemmeno quando estrae una Luger e mi spara un colpo. Questa volta al cuore.



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