i racconti erotici di desiderya

Venerdì ovattato


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Cambia lo sfondo
Una fitta gragnola di fiocchi mi investe già al primo gradino oltre la soglia. Per terra ancora poco o nulla, ma quel che appena mi imbianca le spalle in poco tempo cambierà il riverbero dell’orizzonte. La mattina inizia ondeggiando in foglie di nuvola: dopo il loro tuffo, abbracciano il cristallo e vi si immergono, in un sorriso. Le respiro sereno: fra poco tutto avrà inizio. Assaporo.



Mille pensieri mi agitano le tempie. Superati di slancio e caparbietà vari impicci, ne rimangono una manciata: una relazione in ritardo cronico per Valentina, l'incertezza della neve sul treno di Amelia e la ricerca, sin’ora vana, di un particolare regalo per entrambe.



Milano è bella con la neve. Rallenta il ritmo e respira profonda.



Disperdo cortesia e malizia nel bistrot che inaugura le mie mattine; cappuccino alla cannella, fitte di profumo mi scalano le narici, intense: chiudo gli occhi e migro su una pista, sci ai piedi, ghiaccio alle lame.



Non disturbo Valentina: sotto pressione, le interruzioni disperdono. Qualche refolo d'aria mi rinfresca di pensieri suoi. La vedo nel bianco: rughetta sorridente, solco al mento, sguardo luminoso, ciuffo bruno. Amelia è in treno, riflessa nel cellulare. Il suo fiume di parole mi investe, biondo e frizzante; orgogliosa del proprio istinto, contro tutto e tutti. Strana alchimia, tra noi: leggera come i fiocchi che vedo sciogliere sul guanto e densa quanto il manto che trasfigura ciò che avvolge.



Inizio il mio turbinare mattutino. Voci, rumori, la testa galleggia. Un termine inizia a echeggiare: ovattato ... assurgerà a ritornello nelle ore. Entro ed esco da negozi di intimo, spiazzando di decisione le commesse, non ancora pronte a clienti pervasivi: “due maschere di pizzo?”. Non è così facile. Disoriento scrupoli con avvolgenti onde d’iride e avorio, incalzando nuove strade.



L’idea di incorniciare loro lo sguardo mi fece balzare dalla sedia, la mattina che conoscemmo Amelia, in centro. Allora, illuminarmi e congedarmi fu tutt’uno; rimasero stupite, nel vedermi scomparire all’improvviso. Molto meno Val: qualsiasi cosa avessi in mente, sarebbe stato loro tributo. Di slancio in Rinascente, con lo sguardo deciso del cacciatore conscio di dove incrociar la preda: due occhi verde-azzurro, coronati da raffinato pizzo, uno sfondo di immagini rubate a scenografie celebri. Su richiesta, non ci fu verso. Tentai alternative in seguito, rubando spazi al lavoro: niente! Profetizzando maggior fortuna, varco ora ripetute soglie. Da come sono accolto, trasmetto emozioni.



Un "davvero?" allarga palpebre e sorriso all’elegante proprietaria di un negozio di lingerie, un orgoglioso plauso alla distintiva raffinatezza che propone e uno alla caparbietà dei miei passi. Mi precede, ondeggiando l’anca di soddisfazione, sino a un angolo: ne raccoglie una, di luminoso pizzo smeraldo, l'adagia agli occhi e ne rapprende i lembi alla nuca, con voluta lentezza. Abbassa il capo e mi taglia la gola con uno sguardo incorniciato: è evidente quanto mi attanaglia. La bacio di parole per lunghi minuti, tra confezione, scontrino e fruscii, soppesando quanto a lungo cercato mentre volteggia tra le sue mani curate, che non disdegnerei si dedicassero a quel che mi pulsa dentro. Illumino il selciato accostando la porta, in silenzio, dietro le spalle, pregustando chi mi riempirà la giornata e le vene.



Poco dopo, Val chiama; la voce ancora impastata di lavoro, rilassa i polsi e si abbandona al sogno. Solco di gomma il bianco, nervose occhiate a mie e altrui incertezze, e parcheggio a lato stazione ad accogliere Amelia, appena impressa sul cemento della banchina promessa. Schivo persone, scale, pacchi, treni, pannelli e stracci d'umanità, quando da un angolo una figura chiara, elegante, mi esplode in faccia un sorriso, dividendo oriente e occidente. Il cappellino scuro e gli occhiali bruniti celano ai più la luminosità del viso; un morbido pelo, lucido e chiaro, l’incorona giocosamente a Svetlana, incorniciando lo splendido décolleté.



Già dal primo incontro lo sguardo ha indugiato sulle sue morbide valli, pronunciate il giusto; accoglierle nel palmo a coppa risulta ancora il miglior tributo. Lo spolverino grinzito ai fianchi la staglia in un’ombra affusolata, complice agli stivali scuri che la innalzano oltre i desideri.

Camminiamo appaiati, gomiti allacciati, sorrisi velati d’estraneità. Oltre una colonna un intenso bacio ci sconfina nell’intimo. La seguo, un passo dietro: interpreta pulsioni ondeggiando con le mani. Un pensiero, che non zittisco “se chi ci passa accanto sapesse quel che abbiamo in mente …” e ride di gusto. Canzoniamo gente, valigie, cantieri e polvere: contorno necessario.



Amelia. Accolta d’impulso; arresa d’istinto. La incrociai in un angolo virtuale: schiena tornita, bionda cascata selvaggia, slip succinto, pareo trattenuto ai fianchi, di cornice a rotondità attraenti. Sfrontata nel donarsi, elegante nel porsi. Complici da subito, naturalmente affini, confessioni libere e discinte. Ormai parte del branco.



Di nuovo a contatto con l’aria pungente, tra selciato imbiancato e tacchi alti, scivoliamo verso l'hotel. Trascino il suo pesante trolley nero, che refola lussuria al tintinnio di giocattoli adulti. Oltre il turbinio della pesante porta, legno e oro antico, i sorrisi convergono su una camicetta candida; sopra, due occhi di gatta ci investono di lampi e spilli. Tra le formalità l’avvolgiamo in pensieri privati, impastati di desiderio, decantando come via delle spezie i prossimi passi nel bianco. In breve è certa che oggi non è lavoro. Un augurio, ammantato di pudica malizia, ci sgrana gli occhi: "Buona fortuna, di qualsiasi cosa si tratti.".



Navigando corridoi, i resti di una colazione per due e un Non disturbare, a terra, evocano foglie d’intimità clandestina. Varchiamo la soglia di una stanza ampia, profumata, perfetta. Il primo sguardo all’idro, che ammicca oltre la porta del bagno; favoleggio onde di calda schiuma che sbirciano dal bordo e una gamba nuda che le cavalca. Qualche fremito rallenta i nostri primi passi; tra fibie e bottoni, sono in camera con Amelia, che sogghigna impenitente mentre plano il mio sguardo sul suo seno, zuccheramente fasciato di viola. Ne soppeso i fianchi, aggrappati a lunghi sbuffi neri, sul vestito panna. Parole raggrumate nel silenzio.



Vago rapito per la stanza; le scivolo dietro mentre si pavoneggia allo specchio, e le fiato un “aspetta un attimo” falsamente discreto. Punto nel riflesso l’incavo del collo, mentre con le nocche scosto il biondo che lo sovrasta. Decanto il mio desiderio a fauci aperte; a un palmo, ritraggo i canini e increspo un succhiotto sulla pelle morbida. Un pensiero, “desideri da non sprecare”, mente spudoratamente ai miei fianchi tesi, che urlano di straziarla allo specchio.



Val non c’è; inquieto, dibattuto tra sguinzagliare le pulsioni e inghiottire l’assenza di lei, troppo profonda per perdermi senza. Amelia mi guarda, ostentando tranquillità; arriccio il naso e rimando tutti a nuove intensità, scherzando su neve e acque termali, verso l’uscio. A ritroso nel corridoio, vassoio e cartellino sono scomparsi, con poche briciole a evocarli.



In ascensore, d’un tratto le sue labbra mi abbracciano, guizzando nell’umido. Mentre ci sveliamo il sapore dei nostri desideri un cellulare trilla disperato, e Val si materializza tra noi. Le celo quel che ha interrotto con un “eravamo distratti” in fumosa malizia; Amelia mi schiaffeggia con lo sguardo e mi scosta il gomito, mentre le emozioni di tutti scontrano in volo.



Verso la porta girevole, navigo con lo sguardo intorno, cercando il bianco seta e gli spilli di una gatta. Me li sento addosso, da oltre un paravento, a contorno dell’aria frizzante che ci avvinghia e di un trolley che ci insegue.



Verso Val, il traffico incespica, scivola e arranca, tra sguardi nervosi e smarriti. Pochi chilometri e giro la chiave, fermo all’angolo del noto dentista, giusto in tempo perchè il viso di Val, appannato e spumeggiante, ci transititi davanti. Un timido stivale nero sbuca, facendo strada al grande cappuccio verde, che ancora me la nasconde. Eccolo, quello sguardo: lo inseguo e lo avvolgo. Mi carezza il volto con le labbra mentre sfumo i nostri giorni oltre il suo sorriso.



Pudici con chi ci passeggia intorno, le nostre labbra si bramano da un passo. La lamiera scura mi nasconde il loro saluto; sorrido alla neve intorno, sciolta dai sensi, branco complice d’anime inquiete.



Scricchiolii dalle gomme, tergicristalli e montanti corollati di tormentate colline, bianca cornice appannata agli angoli. Il paesaggio, fuori, è sogno di ovattato silenzio. Campi candidi, merlettati d’alberi carichi di soffice. Emozioni acerbe li depurano dal grigiore di camion, auto e scarichi. Musica, parole, spicchi di pelle. A tratti mi oriento allo specchietto, incrociando lo sguardo di Val, spumeggiante di gioia e passione. Le gambe di Amelia, a portata di polpastrello, sono una calamita; le sorvolo le ginocchia, fasciate di calze scure, a palmo aperto, e la firmo d’impronte digitali. Ho la mente sospesa ... le sinapsi, normalmente iperattive, risultano solo parzialmente vigili. Capisco poco - e in ritardo - l’umorismo, le allusioni, le provocazioni. Mi canzonano, sorridono di quanto non sia io. E’ l’aria. Sono loro. Siamo noi.



Finalmente la strada sterrata, che si dipana a serpente nel bianco, proprio mentre un trattore libera l’ultimo impervio tratto dalla neve. La buona stella protegge le nostre ore più intense; temerari e tenaci, apprezzati da chi ci accoglie.



Profumo di legna ardente e un corto pennacchio si innalza alto sopra la porta della cascina. Addentiamo il gusto della complicità da un tagliere di salumi e formaggi; le nostre risate volteggiano come fiocchi, con la mente a fiato corto a rincorrerle.



Divaghiamo verso altri che indugiano sulla porta; si interrogano sulle nostre mani, intrecciate come rami sulla tovaglia bianca. Una di loro sorride annuendo; la pizzichiamo con gli occhi e disperdiamo le perplessità. Fotografo con la mente le variopinte emozioni del momento.



Riappacificati i languori, è tempo di lasciare respirare la pelle.

Un caldo abbraccio ci avvolge di denso profumo. Un persistente scroscìo, da varie fonti, conferma che l’elemento liquido qui regna sovrano. Davanti a noi la grande piscina ondeggia sotto le travature antiche, coronata da vetrate e luci soffuse; di lato, un’impetuosa cascata a fustigare le spalle e, oltre il percorso a piedi nudi su ciottoli levigati e cascatelle alle caviglie, gli idromassaggi. Al bordo opposto caminetto, lettini candidi e tisane fumanti. Dietro a noi l’area relax, protetta da una pensante porta in legno chiaro, con bagno turco, sauna, doccia scozzese, ampio angolo lettura e sala massaggi. In mezzo, fitti armadietti e spogliatoi.



Ricordi di una precedente visita: un libro, una finestra su campi verdi, noi seduti sul vimini, piedi nudi, tempie a contatto. Un angolo di piscina, assurto da pubblico a privato, dove ancora sguazza l’animale impudico. Una doccia scozzese, momenti disturbati di sessualità trasgressiva, mani ad artiglio sui suoi fianchi. Uno spogliatoio, ebbro di profumi e sapori, impronte di mani aperte e contratte contro il muro, urla soffocate nella spugna. Polpastrelli che spalmano crema abbronzante, nervi che sussultano. Emozioni ancora vivide: Val.



Appartato nel mio spogliatoio, libero il torace dalle contrizioni di cravatta e bottoni; dalla fessura, l’occhio mi cade sul moto di due piedi nudi: è Val, che parla e mostra qualcosa ad Amelia. Mi accosto un attimo ad assaporarle, non visto: belle, si spalmano di profumi e parole. Estraggo dalla borsa un pantaloncino nero, fasciante. Accuratamente scelto, ad ingolosire polpastrelli e labbra.



Per primo alla splendida piscina dal fondo palladiano, azzurro pastello. Voci lontane di una coppia oltre il caminetto. Palpeggio il bordo con le dita dei piedi, ebbro delle onde riflesse su pareti e soffitto, distillando l’odore del cloro da altre occorrenze olfattive. Inspiro profondo e abbraccio il liquido immobile, in lento volo a fendere con gli occhi chiusi.



Una larga scia febbricitante insegue le mie spalle, che solcano decise la superficie piatta. Il respiro amplificato in acqua e l’eco delle bracciate violano l’intimità del luogo, mentre vasche di silenzio donano equilibrio a corpo e mente.



Due figure eleganti mi sfilano alle spalle, con la pelle che sfavilla al tocco dell’acqua e gli occhi che sguazzano nel gusto. Difficile dare un valore al piacere del momento.



Val turba la superficie come un delfino gioioso, tra bracciate superficiali e planate subacquee, con le braccia distese lungo i fianchi a solleticare il fondo.



Amelia disegna origami a pelo d’acqua, terminando la sua danza all’angolo, sugli ampi gradini, cornice all’idromassaggio. Mi accosto, fianchi a pelle. Il silenzio oltre le vetrate, cornici argentee a quadri di bianco cadente, ci rapisce lo sguardo. Preme al bordo e tutto si anima in bolle. E’ bella. Estasi del basso soffitto nei suoi occhi, le luci tenui, l’acqua appena increspata, le spalle lucide di Val che vi scivolano sopra. Sorride al mio sguardo, pieno di lei.



Val inanella bracciate con fare elegante, sintesi assuefatta a mille ripetizioni; a tratti affiora, a tratti scompare, come cucisse il pelo d’acqua. Ci affianca, stagliando gambe e fianchi di Amelia nel mezzo. Iniziamo la nostra danza silenziosa sulla sua pelle, ora timidi, ora sfrontati. Percorro il suo ventre con la mano aperta, all’inguine. Seguo negli occhi di Val il moto delle sue mani, inspirando l’eco dei gemiti che provoca.



La coppia è in acqua e ci osserva, a tratti incredula, a tratti scomposta. Presi dal gioco, nemmeno ci accogliamo che un ragazzo è entrato in acqua, a poca distanza. Circondati, in quell’angolo, con il resto della piscina deserto. Val appare decisamente più attenta a non sconvolgere oltre misura gli improvvisati e inebetiti spettatori, mentre Amelia ha sfrontatezza e disinvoltura inattese, sia verso gli ospiti che verso Val. Bramo improvvisamente di essere solo con loro: senza freni, saremmo. Selvaggiamente mi fibrilla la mente.



Desiderio a lungo inconfessato, due donne insieme. Valentina, anima gemella, spumeggiante e selvatica, profondamente parte. Amelia, istintiva e sfrontata. Ora, qui, pelle a pelle, scopro tutta l’intensità che ne scaturisce. Il piacere di regalare ad Amelia e il timore di togliere a Val. La voglia di attraversare Val senza emarginare Amelia. L’equilibrio richiederà tempo.



Prossimità e sguardi hanno su di me un prepotente effetto, increspando gli angoli più bui. Le morbide valli di Amelia guidano le mie dita su sentieri vibranti. Alla vista della sua pelle d’oca, Val sguaina uno sguardo fendente e l’affonda di scatto, facendola inarcare di passione. Stupito dalla nostra disinvoltura, chi assiste ci trapassa di eccitazione incredula.



All’improvviso Val si scosta e inizia a zigzagare a distanza. Le tendo una mano. Non risponde, sorride, impercettibile diniego col capo: pagherei per sapere cosa pensa. Rimango dibattuto tra il tuffarmi senza ritegno sulla pelle fremente e il volere la presenza della mia compagna.



Amelia ruota su sé stessa, porgendomi la schiena. Sale a cavalcioni e scorre, sino a sentire ciò che le punta il coccige; sussulta sorpresa e tuffa la mano ad afferrarlo. Il palmo gode delle pulsazioni che provoca. Le scosto lo slip sott’acqua e penetro in moto libero, a rincorrere contrazioni, mescolando il suo nettare denso con la spuma clorata. Cerco Val; è lontana, all’altro capo della piscina. Non la vedo bene. Un lampo avorio le rischiara il viso. Pagherei per sapere cosa pensa.

Mi forzo ad alternare la passione a circospetti moti di pudore. Una ragazza si affianca al ragazzo; la coppia, stanca di effusioni subite, si allontana. Due ragazze la sostituiscono; sussurrano a viso chino, guardandoci di sbieco. Di nuovo circondati, con il resto della piscina deserto. Abbandono qualsiasi illusione d’intimità. Il camino prende vita e fiammeggia, evocando calore sulla pelle. Le mie compagne di giochi si allontanano; sento le loro risate tra gli scrosci. Le respiro a lungo, contando i riflessi delle loro chiome bagnate, sorridendo ai prossimi passi. É tempo di respirare tepore.



Profumi intensi ci accolgono, varcato l’uscio; impalpabili fumi annebbiano la stanza, che si svela a ogni passo. Sul vimini, vagamente comodi, volteggiamo parole a gambe avvinghiate. Il bricco di Cardamomo caldo è a portata, ma nessuno si muove.



Un’impronta di mano aperta, sul muro: la conosco, e la conosce Val, dalla nostra prima visita. Ora come allora, scatena ilarità e fantasie. D’un tratto, le promesse di calda umidità dal bagno turco mi slanciano i fianchi; sfilo davanti ai loro sguardi stupiti e apro il vetro smerigliato.

Un ambiente lunare mi avvolge: luci soffuse, effluvi orientali, lingue di tiepida nebbia che trasuda languore. Mi oriento a tatto: una stanza quasi circolare, piccoli tasselli in mosaico di ceramica chiara, un ininterrotto sedile rincorre le pareti. Mi accomodo orientato alla porta: voglio godere di loro, quando entreranno. Giaciglio scivoloso; mi assesto appena, quando una folata l’aria fresca mi avverte che la porta è stata aperta.



Val. Irreale, avvolta in densi fumi. Sfila le spalline e arrotola il costume all’inguine, i capezzoli ancora rosa. Amelia segue d’un passo, fa cadere morbidamente il top e si staglia spudorata tra me e la porta, pavoneggiandosi del mio sorriso ammirato; si sdraia di fianco a Val, gambe flesse appoggiate alla parete grondante. Val ci distribuisce emozioni, senza apparenti preferenze. Le ginocchia provocatoriamente accavallate, fianco protratto a me, che fatico a controllare i battiti.



Amelia si abbandona all’umido, con i capelli a giocare con il fianco di Val. I capezzoli ancora morbidi ammiccano. Giro la clessidra dei sensi e balzo in piedi. Ridendo su “chi fa il palo?” sovrappongo le mie spalle alla porta, a proteggere la nostra intimità. Finalmente soli. I nostri occhi parlano, i polpacci fremono, un’onda mi scala sino alle tempie. Vedo le mani di Val accarezzare le spalle di Amelia. Mi chino e lentamente inizio a leccare lungo le sue gambe, su sino all’ombelico. Diffonde vibrazioni.



Trascino aquiloni sulla sua pelle, mentre Val si china a baciarla con foga. La mia mano destra sulla schiena di Val e quella sinistra all’inguine di Amelia. Soffio emozioni tattili verso le piccole luci a soffitto, azzurre e arancio, offuscate d’umido. Contendo il seno di Amelia, morbida meraviglia scivolosa, ai polpastrelli di Val. Le concedo le cime ora turgide, e scorro lungo il ventre sino allo slip sgambato. Ne imprimo il bordo: la pelle si tende, sotto, facendo scivolare gocce verso il profondo.



Scosto con premeditata lentezza il tessuto, esponendo a fumi caldi le labbra, gonfie e pronunciate. Gioco coi lembi, senza frenesia; la sento gemere al mio tocco. Allargo le dita, invitando il nettare caldo a invischiarmi le falangi. Dischiudo i lembi e penetro, amalgamando mentalmente sul palato gusto e sapore. Con occhi sottili incarto lo sguardo perso di Val, che mi sento addosso. Complici, vittime, carnefici.



Esploro le pieghe di Amelia, che si inarca ad ogni pressione. “Siete i miei due angeli diabolici” ci sussurra. Le contrazioni salgono mentre le pareti si gonfiano: prende le mie impronte, d’inchiostro tutto suo.

La porta si spalanca. Disorientati, cerchiamo colpevoli e arazi. Sorridiamo: nell’estasi, Amelia ha accostato il piede al vetro. Sospiri e sollievi, ci vuol poco per ricomporre il sogno; Amelia attira a sé i miei fianchi, famelica. Soppesa ciò che pulsa dietro la stoffa; discosta e a occhi golosi osserva il membro teso frustare l’umido. Lo porta alle labbra, mimandone lo spessore nel vuoto, se le dischiude col glande e lo accoglie lentamente dentro di sé, incavando le guance. Sente il nerbo che le pulsa al palato, scivolando sulla lingua sino in gola. L’emozione lacrima, gli occhi ribaltano. Lo scorre ritmicamente, assogettandomi con la mano, inarcato come un salice.



Val percorre di polpastrello la mia schiena, dalla nuca al coccige, indugiando ai margini dei miei lembi più sacri. Saggia la morbidezza e penetra piano; sussulto in punta di piedi. Sento i tessuti rovesciarsi, il mio bacino divampa. Voglio! Fermo e discosto entrambe. Amelia davanti, Val un passo dietro. Sfilo il costume, nervosamente. Non sono ancora stabile sul giaciglio scivoloso, che Amelia sale a cavalcioni, affrettata dai sensi. Inopportuna, la mente si riaccende. Dare a lei senza togliere a Val. Dare a Val senza emarginare lei. Pensieri che tolgono sangue. “Prendilo” sorrido a Val, invitandola al banchetto in ginocchio; Amelia, fremente d’attenzione, anticipa qualsiasi mossa e lo afferra forte, giocandoci febbrilmente, spalmandoselo tra le cosce tese.

Improvvise voci e presenze appena fuori ci fanno trasalire.



Entrerebbero sui nostri corpi avvinghiati. L’attimo è perso. Sorrisi smorzati, ci ricomponiamo di malavoglia. In quattro indietreggiano al nostro comparire, avvolti da fumi e umido. Incuranti dei loro sguardi, torniamo al vimini. Sospiriamo d’intimità interrotta. Risa nervose, emozioni mal celate, ancora vivide nel nostro respiro tratteggiato.



La nostra pelle è d’incredibile calore, opprimente. All’angolo, un’ampia cabina doccia. Ricordo: un grande secchio in legno, profilo d’acciaio, al soffitto. Sempre colmo d’acqua ghiacciata: un rimedio perfetto. Val vi si indirizza, senza proferire parola: entra, pochi attimi e ripetuti scrosci. Esce quasi scappasse, trasfigurata in volto, in panico da fibrillazione.



Ne mimo il moto, preparandomi agli effetti. Prima di rovesciare, ripercorro i recenti passi: lingerie, stazione, hostess, camera, specchio, bacio in ascensore, telefonata. Emozioni da un vetro d’auto. Viaggio, neve e tergicristalli, fiamme d’occhi nello specchietto, calze scure sotto i miei palmi. Trattore, mani intrecciate sulla tovaglia, piscina, passione irrispettosa. Fumi eterei, impronta al muro, bagno turco, capezzoli rosa, fianchi tesi, labbra sull’anima.

Consacro il tutto con azione secca, decisa, e una cannonata di acqua gelida, graffiante, mi investe. Nervi che ululano. Mille spilli, uno a poro.



Una vociante comitiva segnala l’esaurirsi della sabbia nella clessidra dei sensi. É tempo di rientrare. Non nevica più, è quasi sera: ore volate via, pregne. Una pioggerellina impalpabile incide irrispettosi solchi sul manto nevoso. Verso le docce e gli spogliatoi, a svuotare i nervi. Di riflusso ai sensi, vago ciondolando, aggrappato a due appendiabiti carichi. Inaspettatamente soli in angolo, nascosti da una selva di armadietti. Val davanti, Amelia al fianco. Non sazio, passo i vestiti di mano e premo Val contro il legno tiepido. Avvolgo la sua lingua nella mia e fletto le ginocchia. Scosto il tessuto dall’inguine, odorando a lungo il vello scuro. Sento gli occhi di Amelia addosso: perversa e golosa, ci spia dietro cumuli di tessuto. Narici aperte, folate di profumo denso da Val. Avvolgo con le labbra la sua gemma, appena densa. Il bacino assorbe vibrando l’improvviso assalto. Succhio ripetuti sapori, nell’apnea dei sensi. A papille aperte, la lecco avidamente. Geme, trema, ondeggia i fianchi oltre le mie labbra. L’ambiente ancora una volta disturba: voci, passi. Possibile ?! Nuova frenesia interrotta. Mento gocciolante e tempie inebriate, barcollo via da lei.



Lo spogliatoio impone un’ingrata distanza. Stoffe e qualche bottone, poi una voce dall’esterno mi fa riaffacciare. Uno sguardo da Val e sono alla sua porta. “Senti come mi hai ridotta…”: senza pudore, insinuo la mano nello spiraglio e una falange dentro di lei, madida di nettare caldo. Con calma esasperante porto il polpastrello alle labbra, accogliendo il liquido profumato e decantandolo al palato. Fonde in me, essenza d’anima, mentre mi caccia via grondando desiderio.



Attesi i loro riti di bellezza, un’immagine mi trafigge: spalanco una porta a vetri, due labbra rosse e sbotto: “ma quanto sei bella?”. Val. Un passo dietro, Amelia, di leonino splendore. Avvolgo entrambe con lo sguardo, senza trovar parole. Inaspettata, Amelia ci porge un sacchetto. Un pacchetto rosso, all’interno: per noi? E le mie mascherine di pizzo, dove le avrò cacciate?



Scevri dalle preoccupazioni dell’andata, ci dirigiamo all’auto. Mi promuovo autista, assecondandole ai posti dietro. In un attimo fianco a fianco, in femminile complicità. Tempo di soddisfazione per altri doni: accoccolo sulle calze velate il frutto delle mie ricerche in lingerie. Un bacio torna volando a chi mi ha servito. Pochi misurati movimenti e mi coccolano d’entusiasmo e stupore. Non vedo bene, dietro, i loro visi bendati, ma avremo tempo ... Lungo il tragitto, tra asfalto e pioggerellina milanese, lo specchietto mi trafigge con un loro bacio avvinghiato.



Milano è diversa; neve a margine, passo ritmato. Dirigiamo all’Hotel di Amelia, ondeggiando su pensieri impuri. Emozioni dal nostro primo incontro.



Era nelle cose, intenzioni e desideri: accompagniamo Amelia in stanza. La frenesia che ricordo ha lasciato il posto al silenzio. Un portiere in livrea ci guarda sfilare: due donne eleganti, un uomo e un trolley nero. Camera 407: ne ritrovo l’intimità. Inizia una danza ancestrale, tra aspettative e desideri, componendo un’amalgama non lontana. Risate echeggiano, a dispetto dell’ora. Scartiamo due libri per ciascuno, identici, accompagnati da una dedica su noi tre. In centro stanza, tre corpi riflessi allo specchio. Macchie bianche, nuove, sui miei pantaloni. Malizia agli occhi, cerco rimedi in bagno. Tornando, un caldo silenzio mi investe. Stondo lo stipite, come scoprissi una mano di poker.



Due figure femminili, in piedi, vestite, al centro della stanza, avvinghiate tra loro, a capo chino, in moto febbrile. Silenzio inviolabile, gemiti. Val misura la schiena ad Amelia, che le avvolge il seno: mi infiammano. Fremiti dal pantalone, che vola in un angolo: assisterà da là. Con la gola gonfia, mi ci inginocchio davanti. Profumi mi alitano il viso, dilatato di narici. Le percorro, mantecando la vista in tatto, dalle caviglie al bordo delle autoreggenti, dalla pelle nuda sino all’inguine, ancora fasciato di pizzo. Alzo lo sguardo: improvvisamente nude, vestiti soffiati via. Profumo dai loro solchi carnosi, il nettare denso cola dal pizzo scuro e mi attira a sé come antico cantico. Indice e medio, tesi, serpeggiano lungo le pieghe. Afferro il tessuto fasciante e lo strappo verso l’alto, facendole miagolare al soffitto.



Perso nella sensuale genuflessione, assaporo le distinte personalità. Val ha labbra sottili, accennate, morbide, si aprono occhieggiando sul solco della gemma. Amelia è carnosa, pronunciata, va inseguita e dischiusa. Affondo piano in entrambe, socchiudendo gli occhi. Onde tiepide e tempestose grondano sulle mie mani. Nell’apnea dei sensi, mi tuffo a polsi tesi su melodie unisone, scivolando come burro a fuoco lento. Le cervici fremono sotto le mie impronte, ci gioco a girotondo. Insisto in rotazioni, fibrillando sommità.



Le staglio sul soffitto bianco: cascate di capelli selvaggi, biondi e bruni, labbra e lingue abbracciate, corpi avvinghiati, fianchi fusi in un ventre solo. Seni siamesi, areole indistinte. Amalgamo incessante il loro nettare denso; lungo i miei polsi copiose gocce. Il bacino di Amelia trema, le pareti gonfie da stritolarmi le dita. Un’onda calda mi investe le falangi mentre urla strozzata, scompigliando la notte.



Tempo, ansimi che diluiscono. Si scosta, mi carezza una spalla e scivola dietro a passo incerto. Val freme. Sfilo lentamente le dita, coccolando le pieghe fradice. I polpastrelli intrisi tremano mentre li assaporo tra le labbra; cerco con la lingua le gocce più dense, discese in fondo, agli angoli delle dita. La spingo al letto, schiena al lenzuolo, bacino allo scendiletto. A palmi aperti la divarico, guardandola negli occhi, sorriso deciso e sornione: gocce di nettare tratteggiano le calze velate.



Perlustro il morbido, falangi a esporre il rosa. Affondo un’impronta sulla sommità turgida, ne percorro il profilo, lo navigo ai cardinali. Scivolo a tendere le piccole labbra, sfaccettate d’intensità. Freme, si contorce, si inarca. La pelle d’oca le anima i fianchi e i seni turgidi urlano al soffitto.

Amelia ricompare. Sul letto, viso a Val, a sessantanove, la penetra in bocca con la lingua, spremendole i seni, attanagliandole i capezzoli. Val esce di senno, ansima e vibra, gronda, agita il bacino davanti al mio viso. Faccio scivolare due dita sotto il mento e la tocco roteando. Lo scendiletto è intriso di umori. Amelia prende i seni di lato e li strizza. Val le ulula in bocca. La sento, l’onda; impetuosa, lontana, un maroso a infranger gli scogli. Scuote, si inarca. Mi incide le unghie sul braccio, al dolor bianco. Un urlo rantola in pianto, spazzando le pesanti tende. Godo di lei, il viso tra coscia e inguine, ondeggiando col suo ventre.



Amelia si sdraia di traverso su Val. Il suo bel culo sodo freme, proteso. Con moto misurato, il polpaccio di Val mi spinge dietro di lei. Il buco elegantemente grinzito occhieggia verso di me. Un membro turgido e solcato, emerge tra noi. Dolore, tant’è prepotente, vene come serpenti gonfi. Lo appoggio al coccige, sporgendomi allo zenit del più proibito dei suoi angoli. Dalle mie labbra un filo panciuto si spalma sul coccige e una grossa goccia si posa sul lembo, iniziando una lenta discesa dissetante. Amelia miagola al lenzuolo, con una zampata accartoccia il tessuto. Calco il pollice all’anfratto umido e saggio morbidezze: già abbandonata al mio tatto, le inietto la goccia nel profondo. Non resisto oltre. Troppo tempo, troppe emozioni, troppa intensità generata e trattenuta.



Avvicendo il glande; i lembi grinziti si dilatano, abbracciando la pelle tesa. Spingo sino a farlo scomparire nel profondo, divorando millimetri di pelle. Tortura il lenzuolo, disperata. La mia mano cala a palmo aperto sul fianco perlaceo. Lo schiaffo echeggia sul viso di Val, mentre Amelia si tende come un fascio di canne. La prendo ora con veemenza. Lo spartito dei suoi gemiti segue fedele i miei moti. Protende la schiena quando le increspo i lombari, ad artiglio. Sento avanzare l’eco mio delirio. Spasmi violenti mi attraversano, i glutei tesi al limite del crampo, le gambe flesse e tremanti. Le graffio i fianchi con l’ultimo affondo, e un fiotto bianco dilaga in lei.



Barcollo per attimi, mentre l’onda mi attraversa. Rimango immobile in lei, che mi sorride ruotando la guancia. Si abbandona sul corpo di Val, a glutei grottescamente aperti e sospesi, ansimando. Val mi guarda, dolcemente persa.



Mi abbandono davanti ai fianchi di Amelia, protesi e lucidi. La tintillo con la lingua, dispettoso, facendole sobbalzare il torpore. I polpastrelli di Val sui miei fianchi nudi; li appoggia al mio membro, misurandone lo spessore. Sensibile a quei tocchi, in breve turgido nella sua mano stretta. In ginocchio davanti a lei, oscenamente aperta, appoggio il glande alle grandi labbra, ancora inondate di liquido bianco, e mi fermo, perfido. Un suo stupito “Cosa fai?” mi rallenta. Da lei al suo inguine, interdetto. Non ci convivo ancora con l’assenza di protezione. Parliamo muti con lo sguardo. Rimaniamo così, sospesi ed inebetiti, interlocutori.



Come ubriachi ci scostiamo; la mia forza, distratta da mille domande e zero risposte, è in parte dispersa; sa riaccendermi, ma nei suoi occhi tracce disciolte di smarrimento. Forse … non so, parleremo. Le sorrido un tenue “no” e si abbandona al cuscino. Allargo lo sguardo all’orizzonte del letto, imprimendo un’immagine indelebile. Nude, giusto le autoreggenti, si stagliano sul bianco in perfetta coreografia a cucchiaio. Due fianchi perlacei, identici, scintillano sotto le luci della stanza.



Al risveglio, Amelia è avvolta in un bozzolo di lenzuola; Val è al mio fianco, come l’ho lasciata. Uno sguardo all’orologio ci allarma. Un bacio a turno ad Amelia. Doloroso lasciarla sola in quel gran letto. Ci infileremmo ancora con lei e in lei, ma non possiamo chiedere altro alla giornata.



Voliamo fuori, increduli sulle ultime dodici ore. All’auto, saluti veloci, vista l’ora e le circostanze. Il suo sguardo, lungo la rotonda, brilla sotto i lampioni, mentre la giornata ci scivola via, rimanendo sottopelle.



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