i racconti erotici di desiderya

Una killer in libreria


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Soffriva. Si detestava per questo. Ma cazzo se soffriva. Ecco, perché si era rifugiata lì. L’odore del cuoio. Le lettere lucenti impresse sul mogano delle brossure. Il frusciare di pagine antiche. La leggiadra bellezza delle lettere vergate con pazienza infinita da vecchi amanuensi le erano sempre stati di grande conforto. Le permettevano di uscire da se stessa. La liberavano. Le concedevano respiro. Tregua. Quella tregua che, altrimenti, le era sconosciuta. Per una serie di ragioni che nemmeno lei ormai ricordava più con precisione.

Stavolta però anche quel rifugio. Quel balsamo sembravano incapaci di aiutarla. Di offrirle il consueto sollievo. Il suo animo piangeva. Le sue viscere chiedevano ragione di ciò che la sua testa aveva già deciso. Non c’era via di uscita. Almeno non una che lei potesse valutare come accettabile. Era il suo lavoro. Anzi no. Era il suo mestiere. Lo amava. Anche se poteva sembrare assurdo ai più. Era una missione. Non avrebbero vinto. Non ci sarebbe mai stata una fine. O comunque, quando fosse stata raggiunta una soluzione, lei sarebbe già stata sotto un metro di terra da lungo tempo. Non aveva importanza. Era nata tra le verdi colline di quella terra attaccata ad un‘altra solo per un errore divino. Amava l’Irlanda. E non ne avrebbe mai tradito la causa. Nemmeno se questo significava distruggere ogni altra cosa in cui aveva creduto fino ad allora. Annientare se stessa. Non che le importasse un granchè di morire. Rischi della professione. Ogni volta che controllava l’attrezzatura. Oliava il caricatore della sua automatica Con gesti misurati precisi. Amorevoli quasi. Si preparava a giocare la sua partita con l’obiettivo come se fosse l’ultima. Per questo fino ad ora non aveva mancato un obiettivo. Sapeva che avrebbe potuto perdere. Semplicemente lo metteva in conto. Una delle possibilità. Neanche la più spiacevole infondo. Ma la questione stavolta era diversa. Cazzo. Perché proprio lui? Tra tutti. Sapeva che era un rischio. Ma non aveva saputo resistere. Lui era entrato nella sua vita in un momento in cui lei aveva la guardia abbassata. Ed ecco come era finita. Non lo faceva mai. Solo che, stavolta, si era vista come in uno specchio. Riflessa in lui. Spietata volontà. Camaleontica capacità di adattamento. Crudele ricerca del doloroso piacere. Lo aveva voluto. Non si era fatta domande. E non si era aspettata risposte. Certamente non da lui. Voleva solo il suo respiro rotto. Sotto i suoi colpi. Il suo ansimare rapido, mentre il piacere fluiva limpido nelle vene di entrambi. Lo voleva ferocemente. Da quella belva che era. Lui era la sua preda. In ogni senso. In ogni fottuta dimensione. Cazzo. Forse a ben pensarci era stato quello. Quella sovrapposizione tra il suo desiderio e il suo dovere. Non sapeva bene come ne quando ma, ad un certo punto, lui non era più stato l’obiettivo assegnatole ma il suo obiettivo. Quello della donna, della Signora, che era in lei. L’uomo che voleva per soddisfare il suo capriccio, per appagare la sua voglia, per far vibrare violentemente la femmina in lei. E i guai avevano iniziato a piovere come durante un temporale estivo i fulmini.

E così tra un guaio e l’altro. Inseguendo la sua preda e continuando ad ignorare che fosse anche l’obiettivo era arrivata in Italia. In quella piccola libreria della vecchia Milano. Ci sperava. Autenticamente. Lui. Forse. Almeno lui avrebbe potuto indicarle una via.

L’aveva osservata a lungo. Senza parere. A modo suo. L’aveva sentita quando ancora non era nemmeno vicina alla libreria. L’aura del suo potere lo aveva scosso fino alle viscere. Ma non era quello che l’aveva veramente colpito. A quello era abituato. Molte Signore era passate di lì. Le migliori. Lui le aveva servite. Come meglio era stato in grado di fare. Per ognuna di loro aveva dannato un piccolo pezzo della sua anima. Ma non se n’era mai pentito. Questa però lo aveva scosso. Il dolore violento che l’avvolgeva era sembrato impenetrabile persino alla sua dedizione totale. Impensabile. Non era mai accaduto prima che non gli riuscisse di servire. Aveva pensato che fosse arrivato il suo momento per pagare il prezzo. Ma poi uno spiraglio. Mentre la Signora sfogliava le pagine di un vecchio incunabolo dei Rosacroce… la luce delle molate lampade ad olio che illuminavano la sala che accendeva mille riflessi color fuoco sui suoi corti capelli rossi, lo aveva sentito. Il dolore. Profondo. La rabbia. Devastante. E c’era una cosa sola che poteva aver offuscato l’aura potentissima di quella magnifica donna. Una sola. La stessa che aveva dannato lui. Per sempre. Lei lo voleva. Anima e corpo. E non avrebbe dovuto. Lui. Il libraio ora capiva. Perfettamente. La signora doveva trovare una soluzione. Sciogliere una contraddizione. Affidarsi all’ennesimo azzardo. E stava raccogliendo el forze. Cercando il nucleo di potere nel fondo delle viscere. Lasciando fluire il dolore e la rabbia. Era di una bellezza sconvolgente. Perfetta eppure così viva. Mobile. Profonda.

Lo sguardo smeraldino di quegli occhi ardeva…Lui se n’era sentito marchiato anche se l’aveva sfiorato solo per pochi secondi.

Ora l’avrebbe fatto di nuovo. Non temeva più nulla ormai. E non aveva nulla da perdere. La sua vita era terminata tanti anni prima. Era sopravvissuto a se stesso. E a lei soprattutto. Non si sarebbe mai perdonato per questo. Ma stavolta forse. Avrebbe potuto trovare pace. Si. L’avrebbe fatto ancora una volta. Avrebbe sovvertito l’ordine. Violato le regole. Usato il suo potere per servirla. Fino in fondo. Lei, che era così simile all’altra. E che forse gli avrebbe sorriso. Dopo. Come l’altra non aveva più potuto fare. Doveva concentrarsi ora. Non era più forte come un tempo. E l’aura di lei era potentissima. Violarla l’avrebbe prosciugato. Ma aveva bisogno di sapere. Conoscere ogni minimo particolare. Leggere l’animo della signora. Fino in fondo. Doveva capire. Chi era lui. Nel profondo. Comprendere se ne fosse degno. Solo allora avrebbe agito. Ecco. Era pronto. Ora le avrebbe porto un calice di prezioso barbaresco. Nel farlo la sua mano avrebbe sfiorato quella di lei. E l’animo della Signora si sarebbe rivelato a lui, indegno servo, in tutto il suo oscuro splendore.

Il libraio tremava mentre le si avvicinava. Certo la situazione era un po’ diversa dal solito. Ma non riteneva che bastasse a turbarlo. La saggezza dolente di quell’uomo era evidente nella profondità dei suoi occhi , nella misurata grazia dei suoi gesti. No. C’era qualcosa di differente. Lo guardò negli occhi mentre accettava il calice di vino. Strano. Non riusciva a coglierne l’emozioni. C’era sempre riuscita. Era come trovarsi davanti ad un muro bianco. E poi, mentre il libraio si allontanava le spalle leggermente più curve di prima, capiì. Il dolore dentro di lei era diventato accettabile. Lui l’aveva lenito. Assorbendone la maggior parte su di se. Lo schiavo perfetto. Non ci aveva creduto quando le avevano raccontato la sua storia. Ma ora iniziava a dubitare. Ora era abbastanza lucida per scegliere. E lo avrebbe fatto. Ormai sapeva cosa doveva fare. Lui. Il giovane uomo che l’aspettava quella sera avrebbe capito. Lei aveva scelto.

La donna indossò il soprabito di pelle nera che aveva gettato negligentemente su una delle sedie della stanza ovale in cui il libraio l’aveva fatta accomodare e con passo sicuro si diresse verso l’uscita. Quella sera i nodi si sarebbero sciolti. Tutti. Definitivamente.

L’aveva chiamata. Con la mente. Con il corpo. L’anima marchiata a fuoco dalla voglia. Era rimasto intere notti sveglio. Lui, che aveva dormito in ogni situazione. Aveva smontato e rimontato il suo fucile di precisione un numero infinito di volte cercando di calmarsi. Aveva decine di dossier inevasi sul suo tavolo. E almeno un rapporto ancora da scrivere. In toto. Ma non poteva. Iniziare a scrivere quel rapporto avrebbe voluto dire accettare. Arrendersi dal suo punto di vista. E lui non ci riusciva. Ricordava perfettamente lo sguardo di lei nello specchio. Il trionfo animale. Il potere selvaggio. Certamente. Ma sotto, in fondo, mentre il suo corpo si apriva accogliendola ad ogni colpo violento un po’ di più, era sicuro di averla letta. Così straordinariamente incongrua. Ma così giusta. Tenerezza. Lei provava tenerezza. Struggente. Dolente. Profonda. Tenerezza. Per lui. E a quel punto tutto era andato in pezzi. Semplicemente non gli n’era importato nulla. La missione. Il governo. La patria. La giustizia. Inutile. Ci aveva provato. Aveva cercato di ricordare. Chi era. In cosa credeva. Prima. Già prima. Un tempo sorprendente breve. Rispetto all’ora. Il dopo in cui nulla aveva senso. Senza di lei. O sarebbe sopravvissuto ovviamente. Lo faceva sempre. Ma lei si sarebbe portata via la parte migliore di lui. Servirla gli aveva dato un senso. Vero. Aprirsi a lei. Donarsi ai suoi colpi. Lo aveva fatto sentire vivo di nuovo. Dopo anni in cui il dolore, la morte, il sesso, l’amore erano diventati solo la carta giusta da giocare al momento giusto in quel poker coperto che era la sua vita quotidiana. Era un agente. Al servizio di sua maestà britannica. Già. Nulla di così romantico come 007. Lui liquidava i killer. Faceva pulizia. Individuava l’obiettivo. Diventava la sua ombra. Per tutto il tempo necessario a conoscerlo. Colpiva e ripartiva. Nuovo scenario. Nuovo obiettivo. Nuova identità.

Quando lei lo aveva guardato per la prima volta aveva avuto paura. Non ricordava nemmeno più che sensazione fosse. Lei aveva visto lui. Non l’agente. Nemmeno lo scrittore di successo sotto cui si celava. Lui. Lo schiavo, che anelava di servirla. L’uomo, che bramava perdersi nella sua dolcezza. E gli aveva sorriso. Allora aveva riso. Di se stesso. Di lei. Ora. Sapeva che non gli sarebbero bastate le lacrime.

Era pronto. La stava aspettando. Del sangue sarebbe stato versato. Qualcosa sarebbe morto. Senza mai più poter rinascere…Era pronto. Davvero. Ogni fibra del suo essere la voleva. Nudo. Il fucile carico appoggiato sul letto. Si guardava nello specchio. Accarezzando i segni che lei aveva lasciato. I graffi. I morsi. I lividi. Doveva prepararsi. Indossò rapidamente un paio di jeans e un maglione dello stesso azzurro torbido dei suoi occhi. Guardò il fucile e sorrise a se stesso nello specchio. Sarebbe rimasto lì. Non si sarebbe difeso. Era lei a dover scegliere. Lui lo aveva già fatto. Si chiuse senza alcun rimpianto la porta alle spalle. E se lo trovò davanti. Sembrava scaturito dal nulla. Ammantato di ombre. Un vecchio signore distinto. Gli occhi penetranti e limpidi. Non sapeva nemmeno lui come. L’aveva subito capito. Era li per lei. Gli strinse la mano nelle sue. E quasi bruciandolo con l’intensità ammaliante del suo sguardo gli disse: “Servila. In ogni circostanza, anche la più estrema, donati totalmente. Senza riserve ne esitazioni. Lei farà la cosa giusta. Per entrambi. Guardala negli occhi quando l’avraì davanti. Leggeraì nel suo sguardo tutto ciò di cui hai bisogno per darti. Sii degno di lei. Servire è un dono. Servire una Signora come Lei un privilegio raro. Amala con la passione feroce e l’umiltà dolente che ti appartengono. Vai ora… non si fa mai aspettare una signora!”.

L’uomo sparì nelle ombre come era apparso. Era certo che l’avesse mandato lei. Ora si sentiva non solo pronto. Anche sicuro. Leggero. Se non fosse sembrato assurdo persino ai suoi occhi avrebbe azzardato felice.

In pochi minuti raggiunse a passo veloce il luogo dell’appuntamento. Quel vecchio affascinante locale in pieno centro. Deserto vista l’ora tarda. Lei era lì, tavolo d’angolo. Splendida in quel vestito dello stesso colore dei suoi occhi che fasciava il suo corpo voluttuoso come avrebbe voluto fare lui. Con le mani. Con la lingua. Con ogni cellula del suo corpo. Che non era più suo. Ma apparteneva a lei. Come tutto in lui. Fumava. Il corpo solo apparentemente rilassato. Ondeggiava a ritmo dello struggente blues, che il saxofonista sul palco stava suonando. Era certo che lo avesse sentito arrivare. Le giunse alle spalle. La sua mano scattò. Gli blocco il polso affondando le unghie laccate nella pelle sensibile all’interno. Lui le sorrise. E fece scivolare l’altra mano dentro la profonda scollatura del vestito di lei. Era nuda sotto. Naturalmente. Strinse un capezzolo tra il pollice e l’indice. Lei sospirò. Lo tirò a sedere al suo fianco. Lo baciò selvaggiamente. Succhiandogli l’anima attraverso il respiro. Riuscii guardarla negli occhi. E si rese conto che il vecchio delle ombre aveva ragione. Lei avrebbe fatto la cosa giusta. C’era una consapevolezza dolorosa e intensa in quegli occhi. E la tenerezza. Si senti stringere con forza i coglioni. Il fiato di lei ansimante nell’orecchio: ” Ora schiavo vai in bagno. Ti voglio nudo. Faccia alla parete. Il culo proteso e offerto…”. Lo lasciò e si voltò come se lui non esistesse.

Era certa che avrebbe obbedito. Ma non poteva guardarlo. Non in quel momento. Aveva bisogno di raccogliere tutte le sue forze. L’avrebbe preso. Sarebbe affondata nel calore avvolgente di quel magnifico corpo ancora una volta. E poi…

Si alzò di scatto. Non era possibile, le era parso di scorgere tra le ombre del locale. Sul lato opposto della sala. Il libraio. Improbabile. Non lasciava mai il negozio. Ma lo sentiva. Sentiva la sua dedizione incondizionata avvolgerla protettiva. Come se le dicesse andrà tutto bene. Hai fatto la scelta giusta. L’unica possibile. Scuotendo al corta massa di capelli rossi si avviò a passo deciso verso il bagno del locale.

Bene l’epilogo era vicino. La signora stava per compiere il destino di entrambi. Lui. Il libraio. Ora poteva godersi sereno il finale. Aveva scompaginato le carte. E perso se stesso per sempre. Ancora una volta. Ma aveva vinto.

Era lì. Offerto. La schiena inarcata. Il culo proteso. Lo colpì ancora prima di accorgersi di averlo fatto. Una. Due. Tre volte. Il palmo aperto. Le unghie ad artigliare la carne. Lui non emise un fiato. Continuò a sorridere. Lei affondò la mano nel suo culo. In cerca delle urla di lui. E lui urlò. Mentre i denti di lei gli divoravano il collo. Non sentiva che la meraviglia dolorosa del possesso totale di lei. Cosa sua.

Lentamente, spostando la mano impercettibilmente perché lei non se ne accorgesse, raggiunse l’oggetto che aveva posato sul ripiano del lavabo. Lo strinse tra le dita. Lei avrebbe fatto la cosa giusta. Lui le apparteneva. Caddero in ginocchio. Insieme. Lei a coprire violenta il corpo di lui. La senti ordinargli secca di sdraiarsi schiena a terra. L’avrebbe cavalcato e al culmine lo avrebbe colpito. Da quella distanza sarebbe stato tutto chiaro. Per tutti. Soprattutto per lui. Poi sarebbe sparita.

Ecco il momento era giunto. Si sporse per impugnare la sua semiautomatica che giaceva nascosta nella borsetta. E in quel momento lui aprì la mano destra. Una luce si accese dentro di lei. Abbagliante. La sua aura risplendette tanto fulgidamente da stordire anche il libraio seduto nella sua comoda poltrona di cuoio a chilometri di distanza. Sparò. Sicura. Senza esitazioni. Il corpo di lui si contrasse dentro di lei mentre l’orgasmo la travolgeva. Un sorriso a tagliargli il volto. E quello sguardo. Uno sguardo che diceva arrivederci. Non addio.



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