i racconti erotici di desiderya

Luna

Autore: Maturisoft
Giudizio:
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LUNA

Non riuscivo a dormire. C’era troppo silenzio in quella vecchia casa di pescatori, riadattata ad appartamento per turisti. No, non era silenzio: era un rumore diverso da quello che aveva abituato i miei sonni cittadini. Sentivo il vento, il rumore delle fronde dei lecci, la debole risacca di una bassa marea notturna. Ero insonne, ma non nervosa.

Era il nostro primo giorno di ferie. Quell’anno avevamo voluto cambiare: via dalla folla sudaticcia delle solite spiagge romagnole, dove eri talmente obbligata a divertirti che non vedevi l’ora di tornare al lavoro per riposarti. Avevamo scelto Cherso, la lunga isola del Quarnaro, dove in una località quasi sperduta, chiamata Punta Croce, i resti di un manipolo di case erano stati restaurati per essere affittati. Ci era parsa una buona idea, perlomeno diversa dal solito. E anche abbastanza economica.

Poi, chissà, dopo cinque anni di stanco matrimonio senza figli, poteva essere l’occasione per rimeditare un attimo la nostra vita di coppia che dava qualche segno di noia. Almeno a me. Lui per la verità sembrava bearsi nella comodità di un’esistenza dai ritmi per me pericolosamente ripetitivi, ma dove da marito ci si trovava benissimo. Nonostante la liberalità, la predicata parità, la divisione del lavoro, alla fine ero io che ogni mattina preparavo la colazione, il pranzo, la cena, lavavo, stiravo. Sì, certo, c’era la colf, però, insomma, lavoravamo entrambi e cominciavo a pensare che non ci fosse alcun merito nel fatto che lui guadagnasse un po’ più di me e dedicasse nulla alla casa, la nostra casa.

Alle volte avevo proprio l’impressione di essere una “moglie”, ovvero una consuetudine, senza più slanci e con poche tenerezze. Anche il letto aveva iniziato a raffreddarsi e ormai erano assai più le volte che ci addormentavamo fianco a fianco senza neppure sussurrarci un “buonanotte” di quelle in cui sentivamo il bisogno di cercare i nostri corpi per donarci quel piacere che solo alcuni anni prima sembrava infinito. Per fortuna che il sabato sera lo dedicavamo a forzati incontri con amici, perché non avrei tollerato di doverlo “usare” per il rito dell’amplesso coniugale.

Stavo pensando a tutto questo, ai suoni diversi che entravano in casa e alla luce bianca della luna che filtrava sempre più luminosa dagli scuri in legno, mentre ascoltavo quella che in fondo era la tranquillizzante nenia del lieve russare di mio marito, regolare, ritmato. Non faceva molto caldo: le estati croate hanno questo di bello: scottano di giorno, ma le notti sono fresche. Eppure lui dormiva a torso nudo, solo con i pantaloni del pigiama addosso. Io avevo una camiciola di cotone, leggerissima, con spalline a filo.

Sdraiata supina, intravedevo il contorno del mio petto che si alzava e si abbassava col mio stesso respiro e che disegnava come un’ombra sullo sfondo bianco dei muri. Mi girai a guardarlo. Non era un brutto uomo. Di sicuro l’avevo amato, forse l’amavo ancora, eppure… Lui riposava bocconi, la testa girata dalla parte opposta alla mia. La pelle della sua schiena era liscia e glabra, alla luce fioca della luna appariva incolore, grigiastra. Pensai a quei muscoli, a quel corpo, a quel suo odore forte di maschio che aveva saputo inebriarmi. In altri tempi. E ora?

La mia veglia si fece più nervosa. Non sapevo che ore fossero e non mi interessava. Prima o poi, ne ero certa, avrei chiuso gli occhi e il sonno si sarebbe impossessato di me. Nel frattempo sentivo crescermi dentro un’ansia strana, sconosciuta. Forse è sete, pensai. Mi alzai in silenzio, andai nella piccola cucina, trovai a tentoni la bottiglia d’acqua, l’aprii e bevvi direttamente, senza neppure tentare di cercare un bicchiere. Un rivolo gelido, scese veloce dalle labbra, sul mento, e cadde sul seno serpeggiando freddo fino al capezzolo. Che si indurì, quasi dolorosamente. Scoprii che in realtà non avevo sete. Indossai le ciabatte da spiaggia e mi recai alla porta, aprendola.

Mi si spalancò anche il cuore. Di fronte avevo una luna piena, abbastanza bassa sull’orizzonte, grandissima, bianca, luminosa, intarsiata di ombre grigie, che creava un cono di luce perfetto, appena crespato, sul mare tranquillo e liscio. Il cielo era scuro ma non buio, limpido, senza nuvole. Attorno a me solo un paio di luci lasciate accese all’ingresso di altre case, lontane però qualche decina di metri, che non turbavano quel quadro così naturale da sembrare irreale.

La nostra casa era a pochi metri dalla riva rocciosa, all’interno di una sorta di fiordo del quale si vedeva nitido il nero contorno dei confini col cielo e il grigio scuro della scogliera che scendeva nel mare, con la striscia bianchiccia della strada che faceva capolino tra gli alberi. Davanti alla casa alcune barche, all’ancora, o attraccate alla riva, ferme, che neppure dondolavano. All’orizzonte qualche luce lontana, quasi certamente imbarcazioni da pesca. Poi di nuovo il silenzio; anzi, il rumore del bosco e del mare, il soffio del vento, il fruscio delle foglie unito allo scricchiolio di qualche ramo, lo sciabordio di onde serene.

I miei occhi già si erano abituati a quella lucente oscurità, che celava ben poco, più che altro creando chiaroscuri e rendendo fiabesco un paesaggio che avevo trovato caldo e verde solo poche ore prima. L’aria era fresca e mi ritrovai con la pelle d’oca. Però, a parte qualche brivido, non sentivo un vero e proprio freddo. Non volevo rientrare, anzi, quello spettacolo mi invogliava a camminare, a esplorare quel buio dove tutto sembrava visibile. Feci qualche passo, aggiungendo agli altri rumori quello nitido e secco dei miei passi. Fu in quel momento che mi parve di udire delle voci fioche e sorridenti in lontananza, più sussurri che suoni. E sentii anche il mare muoversi, le onde frangersi, l’acqua che si agitava.

Non ero impaurita; incuriosita, piuttosto. Mi incamminai con più decisione verso quei rumori. Mi bastò superare una curva per capire di che si trattava: c’erano una piccola spiaggia, pochi metri di ghiaia, senza scogli e due persone nell’acqua. Un bagno notturno, pensai con invidia. Erano immersi fino quasi al bacino, sembravano nudi; anzi, nudi lo erano certamente: lì, avevo notato, neppure di giorno il costume era molto usato.

I loro corpi diafani emergevano dal mare: una figura era più curvilinea e bassa, l’altra più massiccia, squadrata e alta. Un uomo e una donna, pensai; no, meglio, un ragazzo e una ragazza, che avanzavano verso il largo dove l’acqua era più alta, chiacchierando sottovoce e sottolineando con qualche gridolino le onde fredde che raggelavano i loro corpi. Fu lui a tuffarsi, nuotando lentamente per allontanarsi dalla riva, seguito da lei, che prima si lasciò sprofondare, poi prese a muoversi, nuotando a rana. Lui si fermò e si fece raggiungere, abbracciandola e baciandola. Era una scena molto dolce, quasi commovente.

Mi mossi, cercando di fare meno rumore possibile per non turbare quello che mi sembrava un sogno del quale ero solo spettatrice, non partecipe. Quando fui nei pressi della spiaggetta mi sedetti su uno scoglio, raggomitolata, stringendo le ginocchia con le mani. Sentivo l’aria lieve, leggera, entrarmi sotto la camiciola, rinfrescarmi il corpo, uscire verso l’alto proprio tra i seni. Era bello, piacevole, dolce; in fondo, meditai, ero anch’io nuda, almeno in parte: non indossavo slip e una brezza leggerissima giocava con le mie intimità, dandomi una sensazione che sapeva soprattutto di libertà.

Davanti a me vedevo i due ragazzi, le loro teste, nel cono di luce della luna, che si rincorrevano e si baciavano, parlandosi quasi a bisbigli silenziosi, per non incrinare quello che anche loro, evidentemente, ritenevano un magico incanto. Dopo alcuni minuti, i due giovani tornarono verso la riva. Quando toccarono il fondo coi piedi si alzarono, emergendo come di colpo, coi loro corpi nudi, bagnati e lucidi, che brillavano sotto i raggi lunari. Un passo dopo l’altro, mano nella mano, raggiunsero la spiaggetta, sempre sussurrando chissà quali dolci parole. Lì avevano lasciato vestiti e asciugamani. Si asciugarono, poi si baciarono.

Erano proprio di fronte a me, a pochi metri, sei, sette, dieci al massimo. La luna dietro di loro disegnava il loro abbraccio e i loro corpi. Lui teneva con le mani il viso di lei, chinandosi e cercando con la bocca le labbra della ragazza, i cui capelli, all’apparenza neri, cadevano sulle spalle formando delle virgole che trovavo sempre più sensuali. Se loro erano controluna, io ero di fronte alla sua luce, non potevano non essersi accorti di me. Ma non mi mossi e cercai di non far rumore. Persino il mio respiro divenne silenzioso. Mi sentivo ormai parte di una scena incantata e non volevo che nulla potesse turbarla. Il ragazzo stava un po’ scostato dalla ragazza, mentre la baciava e potei notare la sua turgida virilità che sfiorava il ventre di lei. Fortunata, pensai, e subito avvertii un calore eccitato provenire dal mio stesso corpo.

La donna mise le sue mani sui fianchi dell’uomo, poi gli cercò il membro, carezzandolo con dolcezza, come fosse un bambino. Infine si chinò, baciandolo, mentre lui piegava la testa all’indietro. Ma era solo un preludio. Lei si rimise in piedi e di nuovo lo baciò, portandolo poi verso il mucchio di vestiti e stendendovisi sopra. Aprì le gambe e le braccia, con un gesto d’invito, accogliente. Lui si posò delicato su di lei, tenendo il busto sollevato con le forti braccia tese e cominciò a muoversi ormai dentro il corpo della ragazza. Ancora sussurri, mugolii. Ero eccitata. La mia mano scivolò lungo la coscia, tra le gambe; sentii il mio sesso bagnato, cominciai a sfiorarlo, delicatamente, piano piano. Volevo accompagnare il loro piacere, non cercare il mio.

Ero certa che sentivano la mia presenza e la mia eccitazione, che catalizzava la loro. E infatti dopo qualche minuto lei iniziò ad ansimare, trattenendo dei gridolini gutturali. Lui mormorò qualcosa, poi affondò di colpo in lei, rimanendo fermo qualche secondo, risollevandosi e di nuovo affondando tra quelle gambe lattee, con meno foga, questa volta. Poi di nuovo su, lentamente, e nuovamente giù. Potevo quasi sentire, dietro quei movimenti, le pulsazioni del loro piacere e il mescolarsi dei loro umori.

Si baciarono ancora, abbracciandosi stretti, ridendo piano. Io tolsi la mia mano da dove era scesa e la portai alle labbra, leccando il mio stesso sapore. Rimanemmo fermi, tutti e tre, per un tempo tanto breve quanto interminabile. Fu lui a staccarsi da lei; si levò in piedi, le porse la mano e la tirò su, baciandola nuovamente. Poi iniziarono a rivestirsi, ignorando la mia evidente presenza. Capii che ormai ero di troppo.

Mi alzai in silenzio, mi girai e tornai a casa. La porta era ancora aperta. Entrai, chiusi l’uscio e precipitai nel buio. A tentoni raggiunsi la camera, il letto, che trovai caldo e invitante, reso così familiare dal russare di mio marito. Mi sdraiai, lasciando che il mio corpo galleggiasse sulle lenzuola. Avevo ancora la luce della luna dentro di me, che disegnava quella scena eterea, più emozionante che eccitante. Chiusi gli occhi. Il sonno, finalmente…



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Bon Vivent Invia un messaggio
Postato in data: 08/07/2011 12:58:35
Giudizio personale:
delicatamente struggente

Autore: Zeus_Luna Invia un messaggio
Postato in data: 17/12/2010 01:39:51
Giudizio personale:
bello.......complimenti!

Autore: Trikkens Invia un messaggio
Postato in data: 18/09/2008 14:14:40
Giudizio personale:
Che sogno la luna sul mare...piacevole e sensuale racconto, complimenti!

Autore: Carino6423 Invia un messaggio
Postato in data: 11/09/2008 17:03:53
Giudizio personale:
Bellissimo e molto eccitante. Mi piacerebbe poter leggere il proseguio di .......... quella vacanza.


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