i racconti erotici di desiderya |
L'ippopotamo e la gazzella |
Erano le 09.00 della mattina, ed insieme al mio amico Riccardo ero alla fermata in attesa dell’autobus per recarci in una delle spiagge dell’isola. C’era un bel po’ di gente in attesa, per la maggior parte turisti come noi, ma anche qualche casalinga indigena.
Tra la fauna presente faceva bella mostra una ragazza bionda, longilinea come una gazzella, con un bel fondoschiena a mandolino coperto da un gonnellino color celeste, un seno da cerbiatta nascosto da una camicetta multicolore, pelle bianchissima. Le labbra carnose di un bel color rosa. Colore degli occhi indefinibili perché nascosti dagli occhiali da sole. Si vedeva ad occhio che era giovane con le carni ancora sode. Non avrà avuto più di 25 o 28 anni. Era vicino ad un energumeno dal viso grosso, collo taurino, corpo da pachiderma, con in mano una bottiglia di birra. Anche lui con gli occhi coperti da grossi occhiali da sole. La sua età era indefinibile. A prescindere dal fisico, poteva essere un giovane con gli anni portati male, oppure una persona matura che dimostrava meno della sua età effettiva. Comunque dimostrava almeno dieci, quindici anni in più della ragazza. Non si capiva quindi se era il suo compagno o genitore, o chi. Fu mentre riflettevo su questo che arrivò l’autobus. L’ippopotamo, grazie anche alla sua stazza, fu uno dei primi a salire e prendere posto a sedere trascinandosi, quasi, per mano la gazzella. Con estrema galanteria si mise seduto lasciando la ragazza in piedi alle sue spalle come fosse una sconosciuta. Sentii le budella rivoltarsi. Ma come si fa ad essere così cafoni? Così insensibili? Quell’essere angelico era meritevole di tutte le attenzioni possibili! La cosa non mi andava giù, era un affronto all’educazione ed al buon gusto che chiedeva vendetta. Causa la grandezza o, sarebbe meglio dire, la “piccolezza” dell’autobus, noi altri passeggeri rimasti in piedi eravamo molto ravvicinati. L’ippopotamo bofonchiò qualcosa in una lingua che mi sembrava dell’est europeo, ma poteva essere benissimo aramanico o ebraico o perfino swahili. Che differenza fa quando non la si conosce? Di sicuro non era inglese o francese o spagnolo o tedesco, lingue che a diversi livelli conosco. L’autobus partì. Dopo poco a causa di una brusca frenata fummo sballottati, con contorno di imprecazioni dell’autista e dei locali, prima in avanti e poi indietro. Mi venne istintivo poggiare la mano sulla spalla della gazzella per proteggerla. Lei si girò. Io le sorrisi e chiesi scusa. Lei rispose a sua volta con un timido sorriso scoprendo una bianca e perfetta dentatura. L’ippopotamo bofonchiò ancora qualcosa, poi si tappò la bocca portandosi alle labbra la sua bottiglia di birra. Chiesi a Riccardo di farsi ancora più vicino per dar maggior copertura allo spazio tra me e la gazzella. Obbedendo al richiamo dell’adrenalina che montava inesorabilmente, mi feci coraggio e le poggiai la mano sul sedere esercitando una leggera pressione con le dita nell’incavo tra le due natiche. Lei ebbe un sussulto e si irrigidì. Si girò, mi guardò, ma non disse nulla. La pressione sanguigna mi fece gonfiare la patta. Rassicurato dal comportamento della gazzella mi feci più vicino ed inarcando un po’ il bacino in avanti, lo strofinai sul suo sedere. Lei, dopo un breve attimo di smarrimento fece quasi altrettanto inarcando il suo all’indietro. L’adrenalina era salita al massimo. L’ippopotamo continuava a "pomiciare" con la bottiglia. Dopo un po’ la ragazza si girò, si alzò gli occhiali mi fissò per un po’. Non chiese nulla, ma disse tanto. I suoi lapislazzuli urlavano voglia di baci, carezze, piacere, invocavano un mondo di attenzioni sconosciute, bisogno d’amore. Poi abbassò gli occhiali e continuò a guardarmi in segno di sfida. Raccolsi un’altra dose di coraggio e questa volta infilai la mano nel gonnellino. By-passai gli slip e la mano trovò il suo monte di venere depilato. Avvertii solo una piccola striscia di peluria. Spinsi ancor più giù la mano ed intruppai al suo clitoride. Un sussulto la fece vibrare come canna al vento quando glielo massaggiai, poi il mio dito medio prepotentemente le entrò in vagina. La tensione cominciò ad imperlinare di sudore la mia fronte. Lei si tirò su gli occhiali e fissandomi di nuovo si impossessò della mia mente. Il suo sguardo penetrante ed ipnotico comandava i miei movimenti e mi invitava a non desistere, ad andare avanti. Poi tirò giù le palpebre, quindi lasciò scendere di nuovo gli occhiali e piegò il viso verso il basso poggiando il capo sul reggimano verticale dell'autobus. La bocca le se aprì leggermente mostrando la punta della lingua. Muti lamenti di piacere stavano abbandonando il suo corpo per raggiungere l’olimpo e ringraziare “Eros”. Sottovoce percepii qualcosa in ebraico, o swahili od aramanico, e la sua mano strinse con forza la mia patta sotto cui il pene eretto, compresso nel costume, soffriva atrocemente, quando una cascata di umori vaginali inondò la mia mano e colò sulle sue cosce. Ormai ero soggiogato, succube dei suoi voleri. Avrebbe potuto anche chiedermi di spaccare la bottiglia di birra in testa all’ippopotamo, o di inginocchiarmi e leccarle la vagina che lo avrei fatto. Rimase ancora un po’ con il capo rivolto verso il basso, le labbra dischiuse, la lingua leggermente tesa verso l’esterno. Detti un ultimo affondo con il dito e strizzandogli il clitoride tolsi la mano. Lei ebbe un ultimo sussulto e, senza tirare su gli occhiali, mi donò un meraviglioso sorriso. Vendetta era stata compiuta. Giustizia era stata resa. Potevo tornare libero. P.S. La storia è chiaramente inventata, ma i protagonisti e la situazione (l’uomo grasso con la birra che si mette seduto e la ragazza che rimane in piedi), sono ispirati a due persone identiche ai protagonisti, incontrate a luglio in un’isola del sud mentre insieme a mia moglie raggiungevo la spiaggia con l’autobus. |
I vostri commenti su questo racconto | ||
Autore: | ManzoMaturo | Invia un messaggio |
Postato in data: | 31/07/2010 22:20:10 | |
Giudizio personale: | mi è piaciuto | |
|