i racconti erotici di desiderya |
It's only rock'n roll |
Il concerto era stato un successo, come sempre.
Più di diecimila ragazzi accalcati nello stadio, odore acre di corpi sudati, boati, urla, pogos e violente liti subito sedate da poliziotti stanchi e avviliti, i suoni provenienti dalla band ad un volume al di sopra del sopportabile, luci e laser feroci, violente, un palco colossale, stracolmo di strumenti e attrezzature,e , al centro di questo mondo folle e rutilante, io, il frontman, la voce roca e potente, lo sguardo stravolto dalle anfetamine e dall’alcol, il corpo fasciato in pantaloni di pelle che mostravano il mio cazzo e le palle, quasi come se non ci fossero, il petto nudo e sudato, lacerato da vecchie e nuove ferite autoinflitte, avevo urlato la mia poesia, la mia rabbia, la mia carica sessuale per un’ora e mezza, senza concedermi pause. Alla fine, senza concedere bis ad una moltitudine di fan indignati ma adoranti, mi ero rifugiato nel mio camerino lussuoso, tavolo da trucco, divano, e l’immancabile mobile bar, lontano da tutti anche dalla amata-odiata band, lontano dal rumore. Ero stanco. Non la stanchezza del concerto, della tournèe, una stanchezza interiore, venata di sottile malinconia, di una serpeggiante insoddisfazione, che non riuscivo a definire. Mi stravaccai sul divano, con una Perrier in mano, e l’immancabile scotch sul tavolino di cristallo. Mi appisolai, vagamente consapevole del posto in cui mi trovavo. L’aria era satura di una strana energia, sembrava scurirsi sempre più e la temperatura scendeva inspiegabilmente. Ebbi un tremito di freddo, e mi svegliai, almeno credo, dal torpore alcolico. Nella poltrona nell’angolo più buio della stanza c’era una vecchia ma preziosa poltrona di pelle rossa, scurita dal tempo e dall’uso. Mentre la guardavo mi accorsi che c’era una figura, seduta mollemente, che teneva le mani sui braccioli, le lunghe gambe accavallate. Un paio di splendide Manolo Blahnick aperte sul davanti, tacco da dieci centimetri affilato come uno stiletto, calzavano due piedi dalle unghie laccate rosso fuoco, e dalla pelle lattea, tanto trasparente da mostrare le vene bluastre che pulsavano sotto l’epidermide. Il mio sguardo ancora offuscato dal liquore risali quelle incredibili chilometriche gambe, fino a raggiungere l’inguine, appena velato da una stretta gonna nera, dallo spacco anteriore, e mi accorsi, mentre qualcosa nel mio corpo cominciava a risvegliarsi, che non portava slip e una peluria appena accennata, colore del grano maturo nascondeva chissà quali delizie. Il mio sguardo continuò a risalire, seguendo i contorni di una piccola giacca di pelle nera aperta sul davanti a mostrare l’accenno di due seni lattei, che si sollevavano delicatamente al respiro, vagamente accelerato, i capezzoli premevano turgidi quasi penetrando la pelle nera grossi e prepotenti. Un collo lunghissimo forte e delicato allo stesso tempo sosteneva una testa di proporzioni classiche , una stretta crocchia di capelli splendenti, dello stesso grano maturo incorniciavano un viso che sembrava veni fuori da un cammeo del settecento: naso piccolo, dalle narici piccole e vagamente arroganti, occhi enormi, di un viola impossibile, appena velati da palpebre pesanti, scurite da un ombretto di un viola appena più scuro, le ciglia lunghissime e fitte di un nero quasi assoluto. … e la bocca. La bocca! grande, dalle labbra carnose, fameliche, con un lieve sorriso vagamente feroce, dipinte di un rosso scuro denso come sangue, facevano intravedere denti perfetti , il respiro sibilante di una parvenza di eccitazione, che sembrava crescere di pari passo col mio desiderio, ormai evidente attraverso i pantaloni, ormai dolorosamente stretti. Nel silenzio più assoluto, rotto solo dal leggero ansimare dei due respiri, si alzò, con un movimento felino e, senza muovere un passo, cominciò a spogliarsi, con lentezza esasperante. Restò completamente nuda, vestita da un’aura luminosa e una nuvola di profumo intenso, riconobbi Angel di Tierry Mugler, un profumo che trovavo follemente arrapante, che mi fece definitivamente perdere il controllo delle mie azioni. Mi buttai su di lei come un animale infoiato, baciandola, quasi mangiando quella bocca rapace, che reagiva in maniera altrettanto animalesca, a dispetto delle sembianze delicate mordendo le mie labbra e strappandomi gemiti di piacere misto a dolore. Poi scesi tra le sue cosce e le allargai con violenza, e infilai la mia lingua assetata e rovente nella sua figa pulsante, leccando con forza, brutalmente. A quel punto lei mi prese per i capelli, tirando fino ad allontanarmi, e con un semplice sguardo mi disse come comportarmi. Tornai alla carica, leccadole e succhiandole il grosso clitoride rosso e pulsante, come se stessi facendole un vero e proprio pompino, mentre il mio pollice si insinuava nella figa e l’indice esplorava il suo culetto marmoreo, come un doppio dildo di carne. I suoi gemiti di piacere facevano eco alla mia ormai insostenibile foia, e così venne, buttando indietro la testa e urlando al cielo, la bocca meravigliosa spalancata a scoprire i denti bianchissimi. D’un tratto, mi fece rialzare mi strappò di dosso i pantaloni, scoprendo il mio cazzo ormai dolorante dal piacere, e con un gesto solo, si avvinghiò a me , passandomi le gambe dietro i glutei, e impalandosi sul mio membro fremente. Cominciò a muoversi ritmicamente, con energia, la lunga chioma ormai disordinatamente sciolta sulle spalle, gemendo e ululando in sincrono con me, su e giù, sempre più veloce, portandomi ad un parossismo erotico mai provato. Le sue labbra cominciarono a leccarmi e baciarmi il collo, fino a morderlo con delicatezza, anche se sentii scorrere fuori il mio sangue, da quella leggera ferita, cosa che mi eccitò, se possibile, ancora di più. Ma pochi istanti prima del mio orgasmo, si staccò bruscamente da me, si inginocchiò e si infilò in bocca il mio cazzo fino alla radice,fino alle palle, succhiando con violenza, fino a farmi sgorgare nella sua gola rovente un fiotto di sperma inimmaginabile, mentre io urlavo e mi scuotevo in preda al parossismo erotico. Mi accasciai a terra, tra le sue cosce aperte, mentre dalla sua figa stupenda un fiotto dorato e liberatorio mi inondavano la faccia, ed io bevvi, per placare il fuoco che mi squassava il corpo. Mi addormentai spossato e, al mio risveglio il camerino era vuoto. Sono passati ormai trecento anni da quella sera, ed io, ormai figlio della notte, continuo a fare concerti, fingendo sempre di essere sempre un altro musicista, e ad aggirarmi nei luoghi dove conobbi la mia dea, Colei che mi diede la vita eterna. |