i racconti erotici di desiderya

Autobus

Autore: In Barca
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Dovevo attraversare la città. Era l’una e mezza, un’ora antipatica, di quelle che trasformano i mezzi pubblici in scatole di sardine, pieni di persone stipate all’inverosimile in un’atmosfera anche un po’ nauseabonda, dove alle narici arrivano solo gli odori peggiori e i profumi più dozzinali, ci si pesta i piedi e l’arrivo a destinazione diventa quasi una liberazione. Insomma non avevo voglia di fare la sardina, ma non potevo sottrarmi a quell’incombenza ormai quotidiana. Era il mio mezzo di trasporto per andare e venire dal lavoro. Qualunque altro sistema sarebbe stato sicuramente più costoso e avrebbe avuto delle controindicazioni maggiori. Tranne forse la bicicletta, ma me ne avevano già rubate tre in poco meno di due anni.

Quando l’autobus arrivò alla mia fermata, era già mezzo pieno, ma in qualche modo si stava larghi. Timbrai facilmente il biglietto; i pochi sedili erano occupati. Non mi restava che trovare un appiglio, cosa che feci appena in tempo per non perdere l’equilibrio mentre il veicolo partiva. Mi tenevo ad un’asta verticale, proprio quella dove era fissata la macchinetta per obliterare; mi sembrava una posizione non troppo scomoda.

Ma durò poco: alla fermata successiva cominciarono a salire decine di persone, che timbravano a loro volta, poi si spingevano verso la parte anteriore del mezzo finchè non lo riempirono all’inverosimile. Qualcuno rinunciò pure a salire. L’autobus si rimise in moto. Non rischiavo certo di cadere, questa volta, stretta com’ero da un numero imprecisato di altri passeggeri. Sentivo una borsa sfregarmi il ginocchio, uno zaino premermi sulla schiena, il corpo di una donna opulenta spingermi un fianco quasi volesse schiacciarmi contro la fila di sedili. Qualcuno, o qualcosa, mi toccava il sedere. Mollai l’asta cui mi tenendo salda e mi afferrai al supporto di un sedile. Era meglio, mi pareva. Quella pressione da più parti contro il mio corpo sembrò meno pesante. Un braccio guizzò verso l’asta che tenevo fino a pochi istanti prima. Era un ragazzo, avrà avuto la mia età, che cercava un appiglio; teneva il braccio semiteso. Non correva il rischio di scivolare a terra, anche lui era stretto da molti corpi che si sostenevano l’un l’altro, ma voleva evitare di essere sballonzolato senza controllo. Lo capivo perfettamente. Guardavo fuori dal finestrino, tutti sembravano guardare da un’altra parte forse per convincersi di non essere appiccicati gli uni agli altri.

In quel groviglio di membra, di sudore, di aliti pesanti, di odori assolutamente non gradevoli, mi accorsi dopo un po’ che il mio seno sinistro era appoggiato al braccio del giovane. Non ci avevo fatto caso da subito, nella calca. Ora però la sentivo, quella presenza, quel gomito che faceva da culla ad una parte del mio corpo. Provai a spostarmi, ma l’unico effetto che ottenni fu uno sfregamento che mi imbarazzò ancora di più. Poi, pensai, magari quella era una sensazione solo mia e lui neppure si era accorto del fatto. Alla fermata successiva riuscirono a salire altre persone, poche, non più di tre o quattro, ma quanto bastava per schiacciarci ancora di più e rendere impossibile ogni tentativo di movimento.

Passarono i secondi, e passai il mio peso da una gamba all’altra. Nel farlo mi mossi e, ancora una volta, sfregai il mio seno su quel braccio, immobile, ma che sentivo caldo. Mi diede una strana sensazione. Tutto sommato quel contatto non mi dispiaceva, anzi, cominciavo a trovarlo stuzzicante. Mi ricordai di quanti tentativi di mano morta avevo subito e avevo sempre rintuzzato. Questo però era diverso, involontario, inconsapevole. E per nulla fastidioso. Sembrava una carezza, non una stretta, un tocco lieve, misurato. Avvertii che il capezzolo si stava drizzando e indurendo. Feci un movimento lievissimo, per poterlo strofinare, poco, inavvertitamente, contro quell’arto maschile. Reagì eccitato. Anzi, mi stavo eccitando io. Sentivo il mio ventre scaldarsi e sciogliersi, mentre la fantasia prendeva il volo. Ero io, pensai, che stavo approfittando del ragazzo, non lui di me, e questo mi rendeva forte, consapevole, stimolata.

Pur nella calca, cominciai a fare qualche lieve movimento, per poter gustare meglio quel contatto, per ricavare da quell’attrito forzato un piacere che mi sembrava a portata di mano. Mi sentii bagnata, e anche un po’ porca, ma mentre la mia eccitazione cresceva guardavo fuori, cercando di assumere un’aria da santarellina che non potesse essere in alcun modo fraintesa. Chissà lui, che pensieri aveva in quel momento. Mi parve che stesse muovendosi, mi sembrò che volesse sollevare il braccio, per aumentare la pressione sul mio petto. Mi abbassai di qualche millimetro, per facilitargli il compito, ma forse era stata solo un’impressione, un’idea mia. Magari non si era mai mosso veramente. E in effetti, girando lo sguardo, mi parve che lui si tenesse esattamente nella difficile posizione in cui era prima. Guardai ancora fuori e ripresi a muovermi, questa volta girando il busto, un po’ a destra, un po’ a sinistra.

Ero eccitatissima, sapevo di avere le mutandine bagnate, e non me ne importava proprio nulla, anzi. Quella situazione cominciava a piacermi veramente. Ancora avvertii la pressione del suo braccio. Di nuovo la mia immaginazione? Rimasi ferma, questa volta. No, non era l’immaginazione: lui si muoveva in maniera impercettibile per chiunque, tranne che per me, sollevando e abbassando il gomito, quasi volesse saggiare attraverso quella parte del corpo la consistenza delle mie tette, della quale, ne ero consapevole, potevo andare fiera. Ripresi a muovermi anch’io, cercando di assecondare quello che ormai, ne ero sicura, era un suo movimento volontario. Mi strusciavo su di lui e lui mi stropicciava il seno, lì, davanti a tutti, senza che alcuno se ne avvedesse. Mi strinsi un po’ di più verso di lui, abbassandomi e alzandomi e lui accompagnava quel mio ritmo in maniera precisa per assecondarlo. Pensai a come sarebbe stato se invece del gomito…. O se magari lui fosse stretto dietro di me. Il mio piacere divenne un diluvio, mentre immaginavo la pressione del suo sesso su di me. Ma era distante, neppure lui poteva assecondarmi più di tanto.

L’autobus si fermò. Alcuni passeggeri scesero, ma noi due e i nostri vicini rimanemmo nella medesima posizione di prima, anche se un po’ meno spiaccicati. Io e lui continuammo il nostro piacevole gioco. Provai a guardarlo, ma anche il ragazzo osservava da un'altra parte. Aveva la testa girata e, notai, gli occhi socchiusi. Ci sfregammo ancora l’una all’altro, con quei pochi centimetri che avevamo a reciproco contatto. Mi pareva quasi di sentir colare il mio umore giù per la coscia tanto ero eccitata. Non era così, lo sapevo, slip e collant avrebbero reso impossibile una simile evenienza, ma la mia mente la avvertiva con chiarezza. Altra fermata, altra gente scese dal veicolo. Ma a noi la cosa non importava più, eravamo rapiti nel nostro piacere, nei nostri sogni. Alla fermata successiva l’autobus si svuotò quasi del tutto. Ma io non mi staccavo da lui né lui da me.

Chiusi gli occhi, mi mordicchiai le labbra, mi sentii avvampare, stavo per venire. Riaprii le palpebre e mi guardai attorno. In piedi c’eravamo solo io e lui, a contatto diretto seno gomito, benchè nessuno ci spingesse o ci costringesse in quella posizione. Arrossii, sperando che non se ne accorgesse, ma non mi mossi. Neppure lui si mosse. Mi accorsi che teneva l’altra mano nella tasca dei pantaloni e…. O era solo, ancora una volta, la mia fantasia. Lo stavo osservando proprio “lì”, quando avvertii il suo sguardo su di me. Lo fissai, emozionata, ma senza intenzione. Ero già rossa in viso, quindi non avevo da temere figuracce. Anche lui mi parve arrossato. Ero quasi certa dei pensieri che aveva per la testa. Mi scossi. La prossima fermata era la mia. Che fare? Dovevo prendere una decisione. Quello che stava accadendo mi piaceva troppo, ma in ogni caso non sarebbe durato. Forse era il momento di smettere.

Ma fu lui a rompere il ghiaccio. Pur continuando a sfregare il gomito contro di me, tolse la mano di tasca e premette il pulsante di richiesta di fermata: scendeva dove dovevo smontare anch’io! Ma… e se avesse frainteso? Magari poteva pensare che mi interessava davvero, che lo seguivo, che volevo chissà cosa. Perciò rimasi ferma quando l’autobus cominciò a frenare e lui si diresse alla porta d’uscita. Mentre aspettava che le porte si aprissero, mi scrutò, con un’aria di invito, senza togliermi gli occhi di dosso, anzi facendoli correre lungo il mio corpo, come se volesse spogliarmi con gli occhi. Mi sentii imbarazzata, ma non cercai di guardare dall’altra parte. Quanto il veicolo si arrestò, lui scivolò giù, mentre io rimasi dov’ero. Le porte si rinchiusero, il mezzo riprese la marcia, ebbi un orgasmo che sembrava non finire mai. Perché non l’avevo seguito? Era quello che lui voleva e che volevo anch’io, lo sapevamo entrambi. Ma perché non l’avevo fatto? Che importa. Ormai il mio piacere l’avevo avuto, anche se non avevo realizzato l’ultima fantasia. Ma forse, anzi certamente, era meglio così, pensai, perché i sogni sono tali solo quando non si realizzano veramente.



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