i racconti erotici di desiderya

Progressi 2

Autore: Ergiggi
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Per il nostro secondo incontro aveva deciso per un cinema a luci rosse. Avevo cercato di dissuaderla, raccontandole delle volte in cui mi era capitato di andarci da solo. Tutti i maschi presenti, quando entrava una donna, da sola o accompagnata, iniziavano a circondarla, sedendosi davanti, dietro, occupando tutti i posti liberi nelle immediate vicinanze. Se cambiava di posto, immediatamente si rimetteva in moto lo spostamento attento e interessato dei maschi. A meno di volerlo espressamente, era impossibile non perdere la concentrazione sul film e riversarla sui guardoni. “Ma è proprio questo che voglio. Sentirmi guardata, desiderata. Vedere la loro eccitazione crescere in base ai miei movimenti. Provocarli, stuzzicarli”. “Guarda che possono essere tanti – le risposi – e quando sono eccitati possono essere invadenti, ti possono toccare, magari sborrarti addosso”. Cercavo di farle cambiare idea, ma lei sapeva bene quello che voleva. “Voglio sentire su di me tutti i loro sguardi arrapati, se poi qualche vecchio porco bavoso mi vorrà mettere le mani addosso, ci sarai tu a proteggermi. Sei o non sei il mio amante e cavaliere?”. Non mi rimase che acconsentire e portarla alla Casa di Adamo ed Eva, un sexy shop con annessa una sala proiezione a luci rosse che qualche volta mi era servita per ricaricare le batterie scariche di uomo annoiato. La passai a prendere alle 23 e anche questa volta mi lasciò a bocca aperta per la cura che aveva messo nei dettagli: abito leggero lungo, con un grande spacco che ad ogni passo lasciava scoperte gambe coperte da autoreggenti nere. La scollatura generosa poteva essere più o meno aumentata semplicemente abbassando l’abito sulle spalle. Niente scarpe coi tacchi, ma semplici e comode scarpe da tennis. Non mi ci volle molto per scoprire cosa portasse sotto: appena in auto, si girò verso di me, fece aprire lo spacco, si abbassò il vestito sui seni e mi disse: “Piacerò ai tuoi amici guardoni?”.

Lo spettacolo era talmente arrapante che mi fece dimenticare di colpo tutte le mie paure: la luce dei lampioni stradali lasciava intravvedere la presenza di un anello con un laccio che usciva dalla sua figa. Cosa si fosse infilata, me lo fece scoprire durante il viaggio quando, attirando a sé la mia mano, mi fece sentire il clic-clac di due palline cinesi. Niente slip, naturalmente. “Così se qualcuno volesse entrare, troverà già occupato. Toccare, vedere sì, ma per questa volta niente cazzi estranei. Spetterà a te, la mia prima scopata da adultera. Quando, non si sa ancora, staremo a vedere come si mettono le cose.”. Amanti, adulteri, ma ancora in bianco, tranne le rispettive masturbazioni al parco. Ma la strada da percorrere era lunga, ed i progressi da fare ancora enormi. Come sarebbe stata la serata? Sarei riuscito a resistere nel vedere orde di maschi masturbarsi davanti, dietro e attorno a quella che era la mia donna? Dovevo crescere (non si smette mai di crescere, neanche a cinquant’anni), dovevo imparare a godere senza pormi domande e senza farmi condizionare dalla mia mentalità monogama. Queste domande, unite alla presenza arrapante di Emme riempirono la mia testa durante il tragitto e diventarono sempre più martellanti davanti all’ingresso del locale. Ma la sua ferma decisione mi fece saltare il fosso: “Entriamo, che ho voglia di donarmi e di godere”.

Ci sedemmo in galleria, a metà della seconda fila. Dopo che gli occhi si furono adattati all’oscurità della sala, cominciammo a notare subito l’agitazione dei maschi presenti: saranno stati una ventina, sparsi un po’ dappertutto. Tranne un gruppetto, che stava già puntando una donna matura che era in compagnia di un uomo, i restanti iniziarono subito la marcia di avvicinamento. Li sentivo arrivare, spostarsi, sedersi, rialzarsi. Erano in continuo movimento. La presenza arrapante di Emme stava facendo effetto e lei si stava divertendo a provocarli. Aveva aperto le gambe e il vestito era salito lasciando in mostra due cosce stupende mentre le spalle scoperte lasciavano intravvedere il solco dei seni. Sapeva cosa fare per attirare lo sguardo dei maschi arrapati e anch’ io, se non fossi stato preoccupato dai grugniti e dalle ombre che ci circondavano, avrei avuto di che essere soddisfatto. Mi prese la mano e me la portò sul ginocchio. La carezza che mi venne spontanea di fare, risalendo verso il suo ventre, fece scattare nuovi rumori e altri spostamenti. Vedevo quelli di lato, immaginavo il numero di quelli che si erano portati dietro di noi. Alzò la sua gamba destra, quella più distante dalla mia mano, la scarpa sul bordo del sedile. Adesso il suo ventre era visibile, anche se in penombra. Qualcuno prese ad avvicinarsi sempre più, per trovare posto davanti a noi e godere meglio dello spettacolo. Io cercavo di guardare il film, ma ero troppo agitato. “Questi due di fianco hanno tirato fuori l’uccello” mi sussurrò in un orecchio. L’eccitazione dei guardoni stava diventando la sua eccitazione. “Spostiamoci più indietro, voglio vedere cosa fanno. Sono tutta bagnata”. A fatica riuscimmo ad alzarci: ora li intravvedevo anch’io. Erano più di dieci, alcuni nello spostarsi per lasciarci passare, continuavano a masturbarsi. Ci sedemmo a metà della sala e di nuovo tutti arrivarono a circondarci. Quelli che andarono a sedersi davanti a noi rimasero girati per ammirare il suo corpo che ora era ancora più scoperto. I piedi, ora ambedue sul sedile, permettevano di vedere la sua figa in mostra. I seni fuoriuscivano dal vestito e quelli dietro cominciarono a toccarli e a strizzarli, eccitandola ancora di più. Chi era più vicino arrischiò la risalita delle sue cosce e così cominciò a dimenarsi. Io la guardavo, vedevo il suo viso sconvolto dal piacere. “Uno mi ha già sborrato sul collo”, gemette a bassa voce. Indeciso sul da farsi, cominciai ad accarezzarle la caviglia, risalendo pian piano verso il punto dove era concentrata l’attenzione di tutti. Le mani che incrociai erano tantissime e tutte che frugavano nella sua figa grondante di umori. Le sue, di mani, abbrancavano a turno i cazzi che si strusciavano contro le sue tette, che cercavano di lasciarle una scia sul vestito, sulle cosce. Venne e godette con una frenesia che non le avevo mai visto. Come se non avessero aspettato altro, uno dopo l’altro i maschi che aveva così bene arrapato, cominciarono a venire, inondandogli i seni, i capelli, la schiena. Io me ne venni nei pantaloni. I maschi, svuotati del loro seme, persero tutta l’aggressività che li aveva portati a urtarsi, spingersi per cercare di toccare in più punti possibili quel corpo meraviglioso e sensuale. Anche noi, dopo esserci un po’ ricomposti, ci avviammo verso l’uscita. “Tu sei proprio un porco bavoso. Ho visto come hai difeso questa povera troia insaziabile. Ti sei goduto tutto lo spettacolo. E ora mi tocca girare per la città con il viso e i capelli tutti impiastricciati di sborra”. Con le gambe tremanti per la grande eccitazione, ritornammo alla macchina. Ma la nottata non era ancora finita, era troppo arrapata, la sua carica erotica anziché placarsi era smisuratamente accresciuta. “Quando uno di quei maschi mi infilava le dita nella figa, le palline finivano in fondo alla vagina e mi sentivo riempita. Che potere che avevo su di loro. Li ho fatti infoiare per bene.” Si portò la mia mano sul ventre e sul seno: “Senti come sono tutta appiccicosa. Ho voglia di restare così sudicia e di far vedere a tutti quanto sono vacca. Pensi che la gente possa accorgersi di quanta sborra ho su si me? Dai, scendiamo, andiamo a fare due passi. Voglio che tutti mi guardino, che capiscano quanti cazzi mi sono menata questa sera”. Io ero imbarazzato, ma fiero di essere riuscito a tollerare che la donna che era con me fosse stata guardata, toccata, insudiciata da tanti sconosciuti. Quando incrociavamo qualche passante, al pensiero che quello indovinasse cosa fosse a brillare sulle guance e sui capelli della mia compagna, il sentimento prevalente era l’orgoglio per quanto lei fosse disinibita e per come ero riuscito ad accettare una situazione che solo pochi giorni prima mi sarebbe parsa intollerabile. Passeggiando, eravamo arrivati in una piccola piazzetta con grandi alberi e un’edicola in un angolo. “Adesso voglio la tua, di sborra, voglio che mi lasci sulla fronte il tuo marchio”. Mi spinse contro la parete dell’edicola e mi slacciò i pantaloni. L’uccello era tutto appiccicoso per la sborrata al cinema. Me lo leccò, lo ripulì e cominciò ad armeggiare con la sua bocca insaziabile. Mi aspirava l’anima, mi mordicchiava, mi faceva sentire l’effetto dei suoi denti sul glande. Non mi rimase che aspettare l’inevitabile scarica finale tenendole premuta la testa ad ingoiare fino in fondo la mia carne turgida. Lo schizzo lo diresse lei verso la sua fronte, come aveva deciso. “Entreremo in albergo mano nella mano. Andrò io a chiedere la chiave al portiere di notte. Voglio che si accorga di cosa sia stata capace di fare questa giovane scrofa.” Non avevo altra scelta, ma ero anche estremamente felice dei passi compiuti. Alla reception c’era una ragazza, e il suo sguardo, nel porgerle la chiave, mi sembrò quasi d’invidia.



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Ergiggi Invia un messaggio
Postato in data: 02/06/2015 15:32:53
Giudizio personale:
bella storia


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