i racconti erotici di desiderya

Natale in libreria


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Nevicava…ed era in ritardo ovviamente. Non era da lei. Detestava esserlo. La Vigilia di Natale, poi. Inammissibile. Ma la neve l’aveva colta impreparata. Nel suo bel vestito di satin rosso. E nei suoi tacchi a spillo poco adatti al dannato fondo scivoloso del vicolo di brera infondo al quale si annidava lei…la libreria. Non capiva perché si ostinasse ancora a darle retta. Tra tutte le sue amiche. Strano termine, in ogni caso, amica da applicare a lei. Ma, insomma di tutte le sue “amiche” era la più stravagante. Ma forse era lo spirito ribelle che covava sotto la cenere da signora borghese che ormai da anni la ricopriva tutta, che gliela rendeva così cara. In buona sostanza non era capace di dirle di no. Ecco spiegato perché alle 18 del pomeriggio della Vigilia di Natale, in piena bufera di neve arrancasse sull’acciottolato di brera per raggiungerla. Quella donna era una strega. I suoi desideri automaticamente diventavano ordini per lei. Ancora non capiva, come diavolo potesse accadere. Ma accadeva. Era curiosa certo. Del luogo e di lui. Il libraio. Lei le aveva parlato dell’uomo come di un personaggio speciale. A lei estremamente caro. Strano. Che fosse in grado di ricordarsi, non l’aveva mai vista deporre per più di un secondo la corazza di ironico cinismo che la circondava. Ma parlando del libraio c’era.. tenerezza si. Tenerezza nella voce di lei. Eccola finalmente. La libreria. E ora l’avrebbe visto. Non fece in tempo a salire i pochi gradini che la porta si aprì e un distinto signore l’invitò galantemente ad entrare. I suoi occhi. Fuoco ghiacciato. Due lastre di cobalto ardenti. Iniziava a capirla. “Buonasera. La Signora non è ancora arrivata ma mi ha ordinato - disse proprio così - ordinato di metterla a suo agio. Di occuparmi di lei”. Venne sospinta verso un camino enorme che occupava quasi l’intera parete della stanza e fatta sedere su una comoda e vecchia poltrona di cuoio nero. Il satin rosso del suo vestito riluceva al calore delle fiamme. Il libraio sorrideva guardando quella donna la cui massa di capelli rossi. Un rosso naturale. L’aveva immediatamente colpito. Il buongusto della Signora era innegabile. Quella donna vibrava di una luce appassionata, che aspettava solo di essere liberata. E lui aveva il privilegio di poter assistere a quella liberazione. La Signora era molto generosa con uno schiavo come lui. Che non poteva più servire. Se non minimamente. Come avrebbe voluto poter essere ancora un giovane lupo. Per accudirla, servirla, compiacerla e provocarla. Ma non era più tempo nemmeno di essere un saggio purosangue per lui. Non poteva nemmeno più anticipare i suoi capricci e adorare i suoi piedi. Poteva solo ammirarla. E avvolgerla nella sua ammirazione, come in una soffice coperta del più prezioso cachemire. Caldo ma leggero, quasi inavvertibile nella sua consistenza.

Ora il suo compito era preparare la giovane donna che gli stava davanti. Farla rilassare prima di condurla nella stanza verde. Lo smeraldo degli occhi di lei avrebbe riflesso perfettamente i toni della stanza. Tutt’altra faccenda era il suo animo. Ma il libraio aveva fiducia. La Signora non sbagliava. E se aveva visto passione e attitudine al servire in quella donna. Lui le credeva. Del resto che la giovane fosse legata alla Signora era evidente agli occhi allenati del libraio. Le sfumature dell’animo di lei erano meno facili da decifrare per lui di quelle maschili. Ma avvertiva la sua tensione verso al Signora. Come palpabile.

Le porse in silenzio il molato bicchiere di cristallo baccarat in cui il rubino prezioso del vino riluceva misterioso. La donna sorrise all’affascinate librario e sorseggiò il vino lentamente. Interrogandosi sulle intenzioni di lei. La sua amica. A volte si era sorpresa a pensare a lei, quando le difese che applicava a se stessa, persino quando era sola, le concedevano un attimo di tregua. Come alla sua padrona. Pensiero vertiginoso. Inquietante. Ma, che le aveva fatto nascere un sorriso spontaneo sulle labbra. Non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva sorriso non per ruolo o convenienza. Lei la faceva sorridere. Persino quando la schiacciava violenta contro il muro della toilette del Four Season e, le frugava le cosce, graffiandole la pelle delicata con le sue unghie scarlatte. Mentre suo marito attendeva fuori. Dimenticato.

Dopo si era chiesta cos’era. O meglio cosa fosse diventata. E l’unica risposta che era riuscita a darsi. L’aveva terrorizzata. Era una schiva. Schiava di lei.

E, infatti, eccola qui. In attesa. La mente sgombra. Il corpo vigile. Pronta. Senza domande. Senza volontà.

Il trillo argentino del campanello della porta la riscosse dai suoi pensieri. Eccola.

Lo spazio della libreria sembra animarsi mentre a falcate decise si avvicinava al punto dove lei era seduta. Solo lei poteva vestirsi di bianco e apparire luciferina. In tutto quel candore. Il vestito di seta avvolgeva carezzevole le sue curve. Sarebbe voluta esserci lei al posto della seta. Avvolgerla per sentirla sua. Almeno un secondo. Non sarebbe accaduto. In un lampo colse lo sguardo del libraio su di lei. Annuiva compiaciuto. L’aveva capita. Non sapeva come. Ma era certa che lui avesse letto la schiava che era in lei. E approvasse. In quell’istante decise. Irrevocabilmente. Si sarebbe regalata quelle ore. Avrebbe lasciato che facesse di lei quello che voleva. Si sarebbe concessa di rispondere al suo io più vero. Sarebbe stata schiava. E poi avrebbe vissuto di ricordi e sarebbe tornata alla sua facciata di perfetta signora borghese.

Bella era bella come la ricordava. Quella cascata di riccioli rossi che, nonostante le ore pazientemente trascorse dal parrucchiere di grido, non ne volevano sapere di essere domati. E quegli occhi trasparenti. Di un verde purissimo. Questa volta l’avrebbe piegata. Restituita a se stessa. Questa volta avrebbe scatenato il suo istinto e l’avrebbe ridotta alle lacrime. Già ne sentiva il sapore. Come le avrebbe bevute di gusto. Sorrise al libraio. Era prezioso quell’uomo. Davvero prezioso. Afferrò il polso della giovane con forza. Senza nessuna gentilezza e la sospinse verso le scale che salivano in mansarda. Mentre salivano gustò l’oscillare armonico del culo di lei. Rotondo. Perfetto per le frappe corte del suo gatto. I decori dolorosi avrebbero accesso di riflessi carmino la pelle eburnea di quelle rotonde superfici. Perfetta. Sarebbe stata perfetta. Distesa tra le lenzuola color smeraldo….

Si godette il timore avido negli occhi di lei, quando scorse le corde di seta fissate alla testa di elaborato ferro battuto del letto. Le sorrise. Ironica e con un fluido movimento le abbasso la zip del vestito, che cadde dimenticato ai piedi di lei. Era nuda sotto. La signora borghese. Nonostante tutto. Nell’animo era la troia che aveva sempre saputo sarebbe stata. Le sfiorò un capezzolo con un’unghia laccata di nero. Rabbrividì deliziosamente. L’afferrò per i capelli e le affondò le unghie nel culo incollandosela addosso. Aveva il sapore dolce e un filo selvaggio ricordava. Mugolava sotto i colpi implacabili della sua lingua. Stordita. Forse ancora un po’ reticente. Un barlume di pudore borghese sopravvissuto. Ma presto sarebbe svanito anche quello. Ci avrebbe pensato lei. Si liberò con una mano del vestito di seta e rimase con indosso solo il corsetto di cuoio e il piccolo perizoma. Neri. Come gli stivali dai tacchi a spillo che le avvolgevano le cosce. Il libraio nascosto nell’ombra in cima alla scale trattene il fiato. Dio. Non avrebbe saputo dire quale fosse la bellezza più perfetta in quella scena. Forse era impossibile dirlo. Si poteva solo tacere. E ammirare.

La signora mise un alto collare di cuoio tempestato di smeraldi al collo della giovane. Un anello di platino spiccava al centro. Fasce simili ben presto ornarono anche i polsi della giovane donna dai capelli rossi, che venne spinta supina sul letto. La pelle candida a spiccare contro il verde delle lenzuola di seta. I suoi polsi vennero bloccati con le corde alla testiera del letto. Lo stesso venne con rapida efficienza fatto per le caviglie. Un guinzaglio lungo un paio di metri venne agganciato al prezioso collare. E le note della cavalcata delle valchirie riempirono la stanza, illuminata solo dalle torce fissate negli anelli di bronzo alle pareti. Un cuscino di broccato nero venne collocato sotto la pancia della giovane, in modo che il culo spiccasse alto, pronto all’offerta.

Il primo colpo fece sussultare il libraio. La nostalgia lo avvolse a tradimento. L’odore del cuoio. I gemiti. Il vibrare delle frappe nell’aria. Il dolore lo travolse. Come allora. Come se fosse ancora con lei. La sua Signora. Offerto. Ai suoi colpi. Godendo della violenza di lei. Come quella giovane donna. Adesso. Si mordeva le labbra per non urlare. E ad ogni colpo. Sporgeva di più il culo. Si offriva. Ancora e ancora. Sorrideva la signora guardando le righe rossastre moltiplicarsi su quella pelle bianca. E colpiva implacabile. Il libraio contò 20 colpi prima che la signora lasciasse cadere il gatto e allargasse le cosce della giovane. Era un lago. Il dolore si era sciolto in piacere sempre più intenso tra le sue cosce. La Signora vi affondò il volto. Bevve quel piacere. Come si era nutrita del dolore di lei. Prima. Leccò avida ogni stilla di piacere. Frugò all’interno di quel nucleo rovente, mentre le dita affondavano ritmiche nella morbidezza del culo. Gemeva senza ritegno ora la giovane. Abbandonata al piacere. Un ultimo colpo di lingua. E la signora bevve l’orgasmo violento di lei. Poi la slegò. E tirandola per guinzaglio le fece affondare il volto tra le sue cosce.

“Ora lecca troietta e cerca di fare un lavoro accurato”. L’ordine arrivò secco. La giovane scattò come colpita ancora dalla frusta e prese a leccare, succhiare, accarezzare languidamente quella fica che aveva solo sognato prima. La signora si abbandonò al piacere. Il corpo rilassato. Lo sguardo offuscato. Il guinzaglio avvolto intorno al polso. Nero sulla pelle dorata. L’orgasmo la travolse. Una. Due. Tre volte. Ci sapeva davvero fare la ragazza. Non ne aveva dubitato un momento. Un talento naturale sepolto sotto strati di perbenismo borghese. Uno spreco. L’allontanò da se con uno strattone la legò per il guinzaglio ad uno degli alari del camino. Nuda. Il volto sporco del piacere di lei. La sua signora. Si rivesti rapida e senza una parola. Uno sguardo. Se ne andò. Uscendo dalla stanza sorrise e disse ad alta voce: “Sono sicura che saprete occuparvi di lei nel modo migliore. Ve l’affido. E’ una schiava promettente. Sapete cosa fare. Buon natale mio fedele amico”. A lunghe falcate scomparve nella sera. Mentre già le campane suonavano la mezzanotte.



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Pippo16 Invia un messaggio
Postato in data: 09/06/2007 22:39:01
Giudizio personale:
elegante, molto erotico


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