i racconti erotici di desiderya

In altalena


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Erano gli ultimi giorni di un’estate che sembrava non volesse mai finire e un piacevole tepore avvolgeva ogni cosa. Tutti i suoi amici erano tornati nelle loro case in città, solo lui era rimasto al mare a continuare le vacanze fino a che non fosse iniziata la scuola. Nelle prime ore del pomeriggio, quando non riuscendo a dormire usciva di casa, passava il tempo annoiandosi sulla spiaggia nello stabilimento balneare ormai semideserto. Anche quel giorno se ne stava a giocherellare con poca convinzione con le sue montagnole di sabbia quando sentì che qualcuno si avvicinava e gli rivolgeva un saluto. Era un ragazzo che aveva conosciuto di recente, non era del suo bagno ed era un po’ più grande di lui. Un tipo con cui non aveva molta confidenza e che lo intimidiva, sia perché aveva più anni, sia perché a volte aveva un modo di fare spavaldo che in lui suscitava insieme simpatia e timore. Non era il compagno ideale con cui passare il tempo ma non c’era nessun altro, perciò il nuovo arrivato venne accolto nel migliore dei modi. Si misero a chiacchierare. Parlarono un po’ di tutto prendendo confidenza fra loro finché durante una di quelle pause che sembrano non finire mai e nelle quali non si sa più che cosa dire quello se ne venne fuori con un – Senti, te lo fai mettere nel culo? – Era incredibile, aveva proprio detto così, quasi fosse la cosa più naturale del mondo. Ma che credeva! Si conoscevano appena e gli faceva una proposta del genere? Gli venne spontaneo opporgli un netto rifiuto. L’altro non insistette, si comportò come se non fosse successo niente. Fatti quattro passi salì sull’altalena situata di fianco alle cabine e cominciò a spingere. Lui rimase poco distante a guardarlo, non voleva andarsene, non sapeva dove e in fondo non era successo niente. Però per quanto cercasse di togliersi dalla mente la proposta che gli era stata fatta quell’idea continuava a riaffacciarsi. Si conoscevano appena, era vero, ma questo alla fine non era mica un male. Tra qualche giorno sarebbero stati lontani e la storia non avrebbe avuto strascichi. Quel tipo poi sembrava così sicuro di sé e lui da tempo era incuriosito dalla cosa. Guardò davanti a sé e vide che il suo compagno aveva spinto l’altalena molto in alto, come a lui non era mai riuscito di fare. Trascorsero alcuni minuti e il movimento rallentò fino a fermarsi del tutto. – Vuoi provare a salire con me? – gli chiese allora il ragazzo indicando il sedile dell’altalena. Di lì a poco erano insieme in piedi sulla tavoletta, lui davanti, l’altro dietro a spingere. Piegando le gambe e facendo forza sulla tavola il suo compagno imprimeva all’altalena oscillazioni sempre più ampie. Quando dal punto più alto del movimento tornavano indietro lui avvertiva una strana sensazione di vuoto che gli provocava disagio e inquietudine, quando invece andavano avanti sentiva che il corpo del compagno gli si accostava ed esercitava contro il suo una energica pressione. Dopo un po’ l’altro si sedette e lo invitò a mettersi sulle sue ginocchia. Ormai volavano alti e non c’era più bisogno di agire con forza, bastavano piccoli movimenti perché la tavola ed i suoi passeggeri continuassero la loro corsa. Adesso quando l’altro spingeva sentiva distintamente contro le sue natiche la presenza di un affare tozzo e duro che gli premeva contro. Sapeva bene che cos'era, ma il contatto gli procurava piacere e non osava scostarsi. A poco a poco l’altalena ridusse l’ampiezza dei suoi movimenti e si fermò. Scesero a terra. Ma a lui toccare il suolo non dette alcuna sicurezza, si muoveva con passi incerti come se il terreno non fosse abbastanza saldo sotto i suoi piedi. – Allora ti è piaciuta l’altalena? – gli chiese il compagno standogli vicino. – Sì, molto – rispose lui a voce bassa, incapace di nascondere l’emozione. L’altro comprese il suo turbamento, gli mise un braccio sulla spalla, lo strinse un poco a sé e gli disse – Vieni, conosco un posto dove possiamo stare tranquilli – . Lasciata la spiaggia si avviarono verso un gruppo di edifici distante un centinaio di metri. Arrivati davanti ad un portone il compagno spinse un’anta della porta e questa cedette consentendogli di entrare. Il palazzo non aveva ascensore e loro salirono lentamente fino al quinto piano, poi percorsero un’ultima rampa di scale che dava accesso al terrazzo. L’ultimo tratto di questa rampa non aveva ringhiera ma era riparato da un muro cosicché chi si trovava lì non poteva essere veduto dal basso mentre sporgendosi un poco oltre il muro poteva facilmente controllare tutto il vano delle scale. Il suo accompagnatore si sedette a riprendere fiato e intanto volle rassicurarlo dicendo – Il palazzo è disabitato, la gente ci viene solo l’estate e adesso se ne sono andati tutti. Che la serratura è guasta lo sappiamo in pochi, vedrai che non ci disturberà nessuno –. L’impressione di vuoto che aveva ricevuto mentre saliva le scale e il silenzio che regnava nello stabile convinsero anche lui che il compagno aveva ragione, si sentì tranquillo e al sicuro. Dopo essersi tolto i calzoni l’altro gli chiese di fare lo stesso, era una cosa facile, avevano entrambi i pantaloni corti e non c’era bisogno di levarsi le scarpe. – Adesso bagnati bene il buco con la saliva – fu la successiva richiesta, poi a conclusione – Vieni qui, fammi un po’ vedere –. Lui si girò di spalle e mostrò al compagno quello che aveva fatto, l’altro sorrise, la sua docilità e la sua arrendevolezza dovevano piacergli. Il suo nuovo amico se ne stava seduto su un gradino e aveva il membro eretto puntato verso l’alto. Lo invitò a sedercisi sopra come quando erano sull’altalena, ma questa volta la situazione non era la stessa. Lui si mise a gambe larghe e si chinò lentamente verso la punta della verga che l’altro teneva orientata sul bersaglio. Quando sentì che l’apertura cominciava a cedere sotto la pressione del membro si lasciò andare verso il basso per farlo entrare. – Ahi! Ahi! – si lamentò subito dopo. Quella manovra azzardata aveva prodotto una spiacevole conseguenza, la penetrazione troppo brusca gli aveva fatto male. Cercò di rialzarsi ma l’altro lo teneva stretto come se stessero lottando e gli impediva di sollevarsi. Finalmente glielo aveva messo dentro e non voleva davvero interrompere la sua azione dopo un inizio così promettente. Intanto però lo rassicurava dicendogli che il dolore non sarebbe durato a lungo e presto avrebbe avuto un sicuro compenso per quel momentaneo disagio. In effetti dopo poco le sensazioni sgradevoli scomparvero lasciando il posto ad un piacere che si faceva più intenso a mano a mano che lui ne diventava consapevole. Ma proprio mentre lui cominciava a provare gusto a quel gioco sembrò che l’altro ne avesse abbastanza perché gli disse – Voltati ora, che te lo faccio sentire per bene – . In un attimo lo sistemò in ginocchio due gradini davanti a sé e lo prese da dietro. Quando cominciò a fotterlo lui comprese subito cosa l’altro intendeva con quel “te lo faccio sentire per bene”. Il suo amante spingeva in avanti con forza, lo penetrava a fondo infilando tutta l’asta, sembrava quasi che volesse entrargli dentro anche con il bacino. Lui si sforzò di accoglierlo e di sostenerne le spinte. Stordito da quell’irruenza godeva in silenzio mentre il ritmo del coito aumentava e il piacere provocato da quell’assalto diventava sempre più grande.


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