i racconti erotici di desiderya

Giulia

Autore: Masaraj
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Per cause varie mi sono ritrovato ad organizzare le vacanze da solo. Seconda e terza settimana di Settembre. Destinazione? Sardegna.

Arrivato il giorno della partenza carico i bagagli in macchina e parto per Livorno, traghetto e arrivo ad Olbia, sbarco e dopo una buona oretta di auto arrivo a destinazione.

Il residence è di recente costruzione, carino, all’inizio del paese, con tutte le sue cose a posto, reception, piscina, tavolini, lettini eccetera. Bellino anche l’alloggio, due stanze e un bel terrazzo su cui si poteva mangiare e volendo, anche prendere il sole. Il mio confina a sinistra con quello di una famiglia tedesca, mentre a destra sembra non ci sia nessuno. Le persiane di quello che sicuramente è il soggiorno e quelle corrispondenti alla camera da letto, sono chiuse. A delimitare gli spazi che separano le rispettive zone, un muretto alto poco più di un metro.

La prima sera decido di mangiare all’aperto, per cui apparecchio la tavola sul terrazzo. Il menù che mi sono preparato prevede: carbonara e a seguire una caprese. Anche la famigliola teutonica cena sotto il cielo, ci scambiamo dei semplici saluti.

- “Guten abend” - mi apostrofano i crucchi, nel loro idioma.

- “Good evening” - rispondo utilizzando il mio stentato Inglese.

Passo tre giornate così, salutando gli Sturmtruppen quando li incontro e per il resto in totale relax. Di giorno in spiaggia, giornale, nuotate, radio, libro, qualche lumata alle dotazioni “chiappiche” e “poppiche” delle ultime turiste presenti ma, vi assicuro, solo a quelle che attraggono la mia attenzione. Insomma, mi rilasso.

La sera del terzo giorno tornato dalla spiaggia mi faccio come ormai consuetudine una doccia prima di piazzarmi ai fornelli per cucinarmi la cena. Scelgo il terrazzo come location per degustare i “manicaretti” che mi sono preparato.

- “Buon appetito!” - mi apostrofa una voce femminile.

- “Grazie” - rispondo, voltandomi.

Il riquadro della porta finestra, che sino a qualche minuto prima aveva le persiane serrate, ora incornicia la figura snella di una donna. Lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, due occhi da cerbiatta e due labbra create solo per baciare ed essere a loro volta baciate. Un viso grazioso punteggiato di lentiggini. Indossa una polo bianca e un paio di bermuda beige, gambe toniche, caviglie sottili, bei piedi che calzano un paio di sandali infradito. Il seno non è abbondante, si intuiscono i capezzoli che il tessuto della maglia non riesce a nascondere e il reggiseno a trattenere, ammesso che lo stia indossando. Sorride e le si illumina il viso. Mi alzo, passandomi il tovagliolo sulla bocca.

- “Io sono Carlo, piacere.” - le dico porgendole la mano.

- “Giulia. Piacere mio” - risponde stringendola, trasmettendomi un fremito.

Mi informa che sono arrivate poco prima, dal Piemonte. Mentre ci scambiamo questi convenevoli dalla porta esce correndo una bambina.

- “Mamma sono pronta, andiamo?” – chiede la piccola.

Mi presenta Sara che ad occhio ha sei o sette anni, indiscutibilmente somigliante alla madre e sicuramene luce dei suoi occhi. Occhi che in quel momento, potendoli guardare da una distanza ravvicinata, sebbene luminosi e profondi mi parvero velati da un’ombra indefinibile. Stanchezza? O qualcos’altro?

- “Noi andiamo a mangiarci una pizza. Sono morta per il viaggio e non mi va di cucinare.” -, mi informano.

- “Allora, buona serata.” – auguro alle due nuove vicine.

- “Arrivederci” - aggiunge Giulia e il mio ego si aggrappa alla speranza che quel saluto sia una promessa.

Quella sera la voglia di andare in paese non ce l’ho, così scelgo la compagnia di un libro. Sprofondato nel divano mi immergo nella lettura e piano piano Morfeo mi accoglie tra le sue accoglienti braccia.

Apro gli occhi incontrando il buio della stanza. Nel torpore del risveglio sento una voce dal tono sommesso ma alquanto contrariato.

- “La verità è che sei uno stronzo. Sara ti cerca e tu invece di essere qui con lei, con noi, sei rimasto a casa a scoparti quella troia!” -.

Realizzo da dietro la persiana che a parlare è Giulia, riconosco la voce, anche se l’ho sentita solo una volta. Ipotizzo sia nel pieno di una discussione, probabilmente col marito. Non sono affari miei. Guardo l’ora è quasi mezzanotte, senza fare rumore me ne vado a letto. La mattina successiva mi sveglio tardi, esco sul terrazzo sorseggiando il mio caffè, vedo gli Austroungarici stanno caricando pinne, maschere, remi e canotto sull’auto prodotta rigorosamente dalle patrie officine e stanno per partire alla conquista di qualche italica spiaggia. L’appartamento attiguo, abitato dalle due nuove inquiline ha le persiane chiuse. Probabilmente sono già scese al mare, penso tra me e me.

Mi preparo e scendo anch’io in spiaggia. Nei giorni precedenti mi sono ritagliato un posto vicino agli scogli che delimitano, sulla destra, la distesa di sabbia fine. Un po’ defilato, ma offre un riparo all’ombra da una certa ora in poi. La spiaggia non è per niente affollata, del resto, a questo punto della stagione non c’è molta gente. Mi sistemo e le vedo.

Giulia e la figlia hanno preso posto alla mia sinistra, vicino la riva ad un centinaio di metri da dove le sto osservando. La piccola sta giocando con la sabbia, la madre è occupata ad armeggiare col suo cellulare. È sdraiata sul ventre, indossa un bikini nero di quelli che si annodano sui fianchi, sulla schiena e nella parte posteriore del collo. Due chiappe da urlo sono offerte quasi totalmente al caldo bacio del sole, poiché il triangolo di stoffa che dovrebbe almeno parzialmente coprirle è invece sapientemente raccolto nel solco che separa quelle due perfette rotondità.

Apro gli occhi dopo essermi appisolato, il sole sta calando, il momento che preferisco. Giulia sta camminando sul bagnasciuga impegnata in una telefonata, la figlia è sdraiata sul telo assorta nelle sue attività. La telefonata termina e la mia vicina rimane per qualche istante a fissare un punto indefinito all’orizzonte, poi si volta, torna dalla piccola, raccatta i teli e le altre cose, la prende per mano e le vedo avviarsi verso “casa”. La stradina che porta al nostro residence è ad una quarantina di metri da me, quando arrivano più o meno a quell’altezza mi vedono e mi fanno un cenno di saluto al quale rispondo agitando la mano. Rimango lì assorto nelle mie fantasie erotiche in cui, da ieri sera, la protagonista è una giovane donna ignara, forse, di avere catturato la mia attenzione.

Aspetto che la sfera infuocata scompaia al di là dell’orizzonte dopodiché mi incammino verso il mio alloggio. Prima una doccia poi ai fornelli. Decido di mangiare all’interno, incontrare la mia vicina alimenterebbe ancora quei pensieri pornografici che la doccia ha appena sedato. E’ calato il buio, ho sistemato la cucina e acceso il fuoco sotto la caffettiera, esco sul terrazzo, lei è lì nel suo spazio, sta aiutando Sara a colorare qualcosa, nella scarsa luce che la singola lampadina riesce a dare. Mi vede.

- “Salve” - pronuncia. Neutro, forse non osa un più amichevole “Ciao”.

Rispondo allo stesso modo non sono un temerario e lei è sposata. La mia nonna diceva sempre.

- “Tra moglie e marito…….” –

Scambiamo qualche convenevole neutrale parlando della bellezza del posto, del tempo, del caldo, della bella giornata passata e mi pare di rivedere quell’ombra nei suoi occhi. Il gorgoglio della caffettiera mi riporta alla realtà, le offro un caffè.

- “Volentieri, grazie.” - accetta lei con un sorriso.

- “E tu, un gelatino?” -, propongo alla piccolina.

- “Siii, grazie, Mammina posso?” - sbotta euforicamente saltellando sulle gambette.

- “Va bene.” - le concede la madre accarezzandola.

Passiamo la serata chiacchierando del più e del meno, nel frattempo la bambina si è addormentata sulla sdraio, la madre l’ha coperta amorevolmente con un telo da spiaggia. Così, conversando cordialmente, vengo a conoscenza che il marito ha rimandato la partenza per motivi di lavoro, arriverà dopodomani. Mentre dice queste cose mi guarda direttamente negli occhi ed io colgo nettamente l’ombra che vela il suo sguardo inumidendole le pupille. Mi comunica che è ora di mettere a letto Sara.

- “Buonanotte!” - mi augura. Sorridendo.

- “Sogni d’oro!” - le rispondo sperando egocentricamente di esserne io il protagonista.

Rientro a mia volta. Accendo la TV, faccio un po’ di zapping quindi, visto il nulla proposto, decido di andare a dormire dopo un’altra rinfrescante doccia.

Mi sveglio. Nel buio della stanza cerco a tentoni il mio cellulare, il display si illumina comunicandomi che è l’una e quarantacinque della notte. Le persiane accostate e la finestra aperta non offrono alcuna barriera contro i rumori notturni provenienti dall’esterno. Avverto, ma non distintamente, dei suoni sommessi, qualcosa, tipo un tirare su col naso, forse singhiozzi. Mi alzo incuriosito, esco sul terrazzo e vedo Giulia, appoggiata al parapetto, ora sento chiaramente che sta piangendo, il viso coperto dalle mani che stringono un fazzoletto. Scavalco la ridicola barriera architettonica che ci separa e sono davanti a lei, la afferro delicatamente per i gomiti.

- “Ehi, che succede?” - le chiedo sottovoce.

Solleva lo sguardo su di me, non dice nulla, appoggia la testa nell’incavo del mio collo, mi cinge le spalle con le sue braccia e si lascia andare ad un pianto liberatorio. Le cingo i fianchi a mia volta, stringendola delicatamente a me. Singhiozza. Le accarezzo la schiena per confortarla. Sento che si sta calmando, ma non accenna a ritirarsi da quell’abbraccio. Io nemmeno. Purtroppo si sa la carne è debole, la mia sicuramente lo è. Così mi ritrovo con una erezione imperiosa che l’unica barriera, costituita dal cotone della mia biancheria intima, non riesce a dissimulare. La rigidità del mio uccello preme contro il suo ventre, la sento ritrarre il bacino.

- “Ti chiedo scusa” -, le sussurro. Incrociamo gli sguardi.

- “Non devi!” - mi dice, agevolandomi un accenno di sorriso.

- “Significa che per qualcuno sono ancora desiderabile.” - esterna con un filo di voce.

- “Tu mi desideri?” - chiede, tornando ad appoggiare il viso al mio petto.

- “Non sai quanto!” - le sussurro ad un orecchio.

- “Forse. Però lo sento!” - dice accompagnando quella esternazione con un accenno di risata e tornando ad appoggiare il suo pancino alla mia verga esultante.

- “Tienimi stretta così” – dice. Ed aggiunge: - “Per favore!” -. Restiamo lì per un tempo indefinito, stringendoci, senza dire una parola sino a quando non l’ho sentita tremare.

- “Hai freddo?” - le chiedo.

- “Un po’” – ha risposto.

- “Rientriamo!” - le propongo accompagnandola nel suo alloggio. La bambina dorme beatamente nell’altra stanza, nel lettone. Tenendomi per mano, Giulia si affaccia per controllare, poi senza lasciarmi torniamo nel soggiorno mi fa accomodare nel divano e mi segue adagiando la sua schiena al mio busto, appoggia la testa alla mia spalla.

- “Stringimi” - mi ordina.

Prende ad accarezzarmi il petto poi fa scivolare la mano sulla mia nuca e piegando un poco la testa all’indietro mi offre la sua bocca. La pace della notte è interrotta dal frinire dei grilli, e dai richiami di qualche animale nottambulo. In quella stanza solo i nostri respiri riempiono il silenzio. Poggio le mie labbra alle sue, le perlustro, ne assaporo il gusto, lentamente, dolcemente. Poi lei le dischiude, la imito. L’incontro delle nostre lingue è titubante. Prima le punte si studiarono reciprocamente, timidamente e una volta acquisita la conoscenza reciproca si rincorrono esplorandosi avidamente. Tengo un braccio attorno alle sue spalle e con l’altra mano comincio ad accarezzarle le gambe lisce, salendo impertinente sempre più su, sino a trovare il pizzo umido delle sue mutandine, custodia del suo giglio, che non vedo l’ora di cogliere. Di fare mio. Lei mi ferma la mano.

- “No, non posso, non sono pronta per questo!” - dice perentoria.

Capisco subito che il senso della sua frase fa riferimento al marito.

Quindi, nonna, sii orgogliosa di me, ho ritratto il dito, anzi, tutta la mano. Cosa volete mi hanno educato così, se una donna mi dice no, e vi assicuro che me lo hanno detto innumerevoli volte, per me è no. Quante occasioni avrò perso? Chissà?

Quella notte passa in un lampo. Abbracciati, baciandoci, sfiorandoci, accarezzandoci. L’alba ci trova così.

- “Oddio, è già giorno, meglio se vai.” - mi dice alzandosi.

- “Non voglio che Sara ti trovi qui quando si sveglia” - esclama determinata.

Mi accompagna alla porta del suo terrazzo mi accarezza.

- “Grazie!” - dice, dandomi un ultimo bacio. Sulla bocca. Dove se no? Mi sdraio nel letto, vorrei dormire qualche ora ma il sonno non arriva. Mille pensieri turbinano nel mio cervello, sulle mie labbra persiste il sapore delle sue. Alla fine riesco a riposare un paio d’ore, quando arrivo in spiaggia è pomeriggio inoltrato, ho ben chiaro quello che voglio e devo fare. Le devo parlare.

Mi metto al solito posto, madre e figlia stanno guardando qualcosa che non riesco a vedere. Un giornale, un libro, non so. Vorrei poter parlare a Giulia da solo, ma la piccola non ha intenzione di staccarsi dalla madre ed io non riesco ad aspettare ancora. Mi avvicino.

- “Ciao ragazze.” - esordisco cercando di mascherare i miei sentimenti.

- “Ciao.” - rispondono in coro.

Cerco un argomento plausibile per giustificare la mia presenza. Riesco solo a raccontare che ho dormito male ed è per quel motivo che sono sceso alla spiaggia così tardi. Intuisco che Giulia mi ha sgamato così affronto l’argomento direttamente, arrivo subito al nocciolo.

- “Ti va di parlare della notte scorsa?” - spiattello sottovoce, sperando che Sara non senta.

- “Amore, perché non vai a raccogliere un po’ di conchiglie, così questa sera facciamo una collana?” - dice alla figlia.

Felice dell’idea suggerita da sua madre Sara si mette all’opera allontanandosi di qualche metro ma abbastanza per consentire a noi due di parlare senza bisbigliare.

- “Senti Carlo, questa notte è accaduto qualcosa che non doveva succedere.” – ha esordito lei frantumando ogni mia possibile speranza.

- “Quando mi hai trovato ero arrabbiata e disperata. Le mie difese erano totalmente assenti” – ha aggiunto.

- “Ti sei trovato al posto giusto proprio nel momento in cui io ero totalmente inerme” – ha continuato.

Io l’ho ascoltata attentamente senza interromperla. Scoprendo così che la causa del suo stato d’animo era imputabile ad un litigio telefonico col marito, il quale le aveva comunicato che non sarebbe arrivato l’indomani, adducendo la classica scusa del lavoro. Lo avrebbero visto per il week end. In realtà lei sapeva con certezza che lui la tradiva e conosceva pure con chi.

- “Baciandoti ho avuto l’impressione che quanto stavamo facendo piacesse anche a te.” - le ho detto con una punta di risentimento.

- “Tantissimo.” – ha replicato, sollevando la testa e fissando i suoi occhi nei miei.

- “Sono stata bene. Ogni tuo bacio, ogni tua carezza sono stati preziosi e li avrò sempre con me” - mi ha confessato.

- “Però? Perché ora arriva il però, vero?” – le ho chiesto in controbattuta.

- “Però io amo mio marito, anche se lui mi sta uccidendo. Non riesco a non amarlo.” – mi ha confessato.

Per cui tra noi non ci sarebbe stato nessuno sviluppo futuro, quel che era accaduto ere stato bello ma non si sarebbe ripetuto, doveva solo essere archiviato. Lei non voleva diventare come lui. Il marito traditore. Non voleva abbassarsi al suo livello. Qualunque cosa questo significasse, non ebbi l’ardire di replicare anche perché l’ha salvata la campanella. Come a scuola. Il suo telefono s’illuminò proprio mentre stava pronunciando quelle parole che sgretolavano ogni mia velleità. Sul display una scritta: “Antonella”.

- “Scusa devo rispondere.” - alzandosi, si è allontanata.

La osservai per cinque minuti buoni senza sapere come comportarmi. Gesticolava dandomi l’impressione che l’argomento fosse importante. Mi sono alzato, e recuperate le mie cose sono tornato al residence.

Dopo essermi fatto una doccia, mi sono vestito e sono uscito. Un piatto di fritto misto e due calici di Vermentino per consolarmi dell’ennesimo semaforo rosso. Una passeggiata per schiarirmi le idee e per abituarmi all’idea di non poterla avere.

Il risveglio e brusco, socchiudo gli occhi cisposi. Pensavo che i colpi che sentivo fossero parte del sogno, invece erano reali. Lo schermo del mio telefono diceva che erano le due e dieci. Ancora colpi. Bussavano alla porta. Mi sono alzato e ho socchiuso la porta per vedere chi è. Giulia mi fissava con le lacrime che le rigavano il viso. L’ho fatta entrare. Lei mi ha messo le braccia attorno al collo.

- “Baciami. Ti prego, baciami!” – ha singhiozzato.

Non me lo sono fatto ripetere due volte, ho cercato le sue labbra e la mia lingua ha cercato la sua, trovandola. La mia voglia di lei era prepotente e ho premuto la mia erezione contro il suo ventre che questa volta non ha ritratto, anzi lo ha spinto contro la mia verga strusciandosi, saggiandone la consistenza.

- “Ti voglio!” – mi ha sussurrato infilando una mano nelle mie mutande e afferrando il mio uccello, spingendomi verso il letto.

Ci siamo caduti dentro insieme continuando a baciarci. Le ho sfilato la maglia mettendo a nudo il suo corpo, indossava solo un paio di mutandine bianche che mi sono premurato di sfilarle. Il suo sesso era nudo davanti a me, solo una striscetta di peli rasati sul suo pube. L’ho fatta sdraiare sulla schiena ed ho iniziato a baciarle il collo, le ho succhiato il lobo dell’orecchio. Sono sceso a baciarle il seno succhiandole i capezzoli, giocando con la mia lingua li ho esplorati girandogli intorno. Sono scivolato lungo la sua pancia e mi sono soffermato a fare la conoscenza del suo ombelico, l’ho sentita ansimare. Aiutandomi con le mani le ho fatto divaricare le gambe, lei mi ha assecondato. Dalla fessura della sua passera sporgevano leggermente le piccole labbra, mi sono chinato su quel fiore e ho prendo a baciarne il petali, assaporandone il sapore. Ho leccato la sua figa dall’ano al clitoride passandole la lingua su entrambe le gonfie labbra esterne ed infilando la punta, ho cercato il suo clitoride che ho succhiato e leccato avidamente. I gemiti che emetteva mi dicevano che a Giulia piaceva quello che le sto facendo. Ho tolto le mani dalle sue tette e le ho divaricato la fessura infilando la mia lingua dentro quello spazio ravanandole l’apertura fin dove mi era possibile, riempiendomi la bocca dei suoi umori. Le sue mani hanno mi afferrato i miei capelli tirandomi verso di lei che, inarcando la schiena, ansimava più forte. Avevo la bocca premuta contro la sua bernarda.

Ho cercato il suo clitoride e l’ho succhiato dolcemente, l’ho sollecitato con la punta della lingua, poi sono tornato a succhiarlo. Lei ha sollevato la schiena arcuandola e tirando con forza la mia testa contro il suo pube, liberando un lungo sospiro che ha accompagna l’estasi del suo orgasmo.

- “Ti voglio dentro, voglio sentirti nella mia pancia” – ha detto abbassandomi l’elastico delle mutande di cui mi sono liberato in un istante. L’ho vista contemplare la mia erezione finalmente libera, il mio cazzo era pronto e lei lo voleva.

- “Scopami!” – ha esclamato.

Ho appoggiato la mia cappella alla fessura fradicia della sua figa e l’ho “pennellata” su e giù soffermandomi per qualche istante sul suo grilletto ripetendo quel giochetto esasperante.

- “Entra dentro di me, ti prego” – mi ha detto ansimando.

Sono scivolato dentro di lei. La mia verga e annegata nel suo ventre accogliente, pregno dei suoi umori. Spingevo avanti e indietro estasiato. Giulia mi ha accolto vogliosa e fremente. Sono tornato a baciarla affondando la mia lingua nella sua bocca mentre affondavo il mio uccello nella sua passera, sino in fondo ed aumentando il ritmo.

Anche se le nostre labbra erano un tutt’uno, la sentivo gemere sempre più forte. L’orgasmo ci ha colto insieme, lei spingendo avanti il bacino e afferrandomi per le spalle, io affondando tutto me stesso dentro quel corpo meraviglioso ed eruttando il mio sperma nella profonda intimità di quella Femmina.

Abbiamo ripreso fiato abbracciati, coccolandoci in silenzio. La mia vicina aveva la testa poggiata sul mio petto mentre la sua mano esplorava la mia intimità. Accarezzava le mie palle delicatamente sfiorando il mio cazzo molliccio. Io accarezzavo con una mano i suoi capelli profumati e con l’altra le massaggio un seno. Lo sentivo nel mio palmo, tondo e sodo, il capezzolo turgido. Lei ha liberato la mia cappella tirando in dietro la pelle del prepuzio.

- “Hai un bell’uccello!” – ha detto, facendo scivolare avanti e indietro le sue dita lungo il mollusco.

- “Sei tu quella stupenda.” – le comunicato in tutta sincerità.

Il tocco sapiente di Giulia ha risvegliato il dormiente che ha preso a lievitare nella sua mano. Lo teneva stretto ne assodava la consistenza, lo sentivo, mi sentivo pulsare tra le sue dita. Lei ha avvicinato le sue labbra e mi baciava la cappella gonfia, la punta della sua lingua scivolava lungo il frenulo. Era bellissimo.

- “Hai un buon sapore.” – ha commentato.

- “E’ perché so di te.” – le ho risposto.

Lei ha ripreso generosamente ad occuparsi del mio uccello che ormai aveva raggiunto una consistenza marmorea, lo ha accolto tutto nella sua bocca, con movimenti lenti esplorava la mia asta pulsante, dalla punta alla base. Con una mano mi accarezzava le palle e con un dito mi sollecitava l’ano. Mi sono lasciato andare alle sue sapienti attenzioni, regalandomi totalmente a lei, ero interamente suo. Sentivo l’eccitazione crescere sempre di più.

- “Così mi fai venire!” – l’ho informata.

Lei ha rallentato sino a fermarsi, si è sollevata e si è messa a cavalcioni sopra di me, sedendosi sopra la mia appendice legnosa. Ha iniziato a muovere il bacino avanti e indietro strofinando la sua passera sulla mia rigida consistenza, la sentivo ansimare.

- “Ahh siii!” - sussurrava reclinando la testa all’indietro.

Io accompagnavo i suoi movimenti prendendo tra le mani i suoi seni, giocando coi capezzoli. Lei si è sollevata, ha afferrato il mio cazzo con la mano, lo ha guidato all’apertura del suo piacere e lo ha accolto dentro la sua avida fessura. E’ rimasta ferma in quella posizione ed io sentivo le contrazioni della sua vagina stringere il mio pungolo carnoso affondato sino all’elsa nel suo paradiso. Poi ha iniziato a muoversi lentamente, sollevandosi e abbassandosi. Non riesco a non pensare che in quel momento lei mi stava possedendo, la fusione dei nostri corpi, dei nostri sessi era oltre quell’atto sessuale. Giulia mi stava scopando era lei che conduceva la danza. Ha aumentato il ritmo della sua cavalcata e in conseguenza a ciò sono aumentati anche i gemiti e gli ansimi di entrambi. I suoi affondi si sono fatti sempre più veloci ed il suo piacere è esploso con un ultimo gemito che le si è smorzato in gola, ha inarcato la schiena poggiando le sue mani sul mio petto. La tenevo per i fianchi, sentivo nuovamente le pareti della sua vagina stringersi sul mio uccello. Non ero venuto ma non mi mancava molto.

- “Continua, ti prego. Fammi venire!” – l’ho implorata.

Si è chinata su di me e mi ha baciato. Mentre la sua lingua cercava la mia, ha ripreso a cavalcarmi io, accompagnando i sui movimenti con le mie mani sui suoi fianchi, sollevavo il bacino per scivolare dentro di lei, sincronizzando le spinte col ritmo dei sui affondi. Lei gemeva ed ansimava ed io con lei.

- “Quanto mi piace il tuo uccello!” – mi ha confessato accelerando.

Ho sentito distintamente arrivare il punto di non ritorno, quella sensazione al basso ventre che si irradia in tutto il corpo e non trattenendomi più ho eruttato dentro Giulia tutto il mio piacere, nello stesso momento in cui lei, nuovamente, ha emesso un gemito prolungato e si è arresa, col corpo proteso all’indietro, al suo orgasmo.

Poi ci siamo abbandonati nel letto, esausti ed appagati. La luce dell’alba che filtrava dalle fessure delle persiane ci ha trovati abbracciati riportandoci alla realtà.

- “Devo andare, tra un po’ Sara si sveglia!” – ha detto, infilandosi la maglia.

- “E poi oggi arriva mio marito.” – ha aggiunto con voce contrariata.

Mentre mi diceva quelle cose ha preso il cellulare e mi ha mostrato alcune foto in cui si vedono un uomo e una donna seduti al tavolo di un ristorante, la mano di lui su quella di lei. Poi mentre si scambiano un bacio. Mi ha spiegato che quello è suo marito insieme ad una collega nonché amante. Gliele aveva inviate la sera precedente una sua amica, quell’Antonella, che casualmente si trovava nello stesso locale.

Il mio ultimo giorno di vacanza, alla fine era arrivato, la valigia era pronta, io no. Non avevo voglia di tornare al lavoro e alla mi solita vita. Ho pranzato ed ho preparato il caffè, mancavano un paio d’ore alla partenza. Sono uscito sul terrazzo con la tazzina in mano, su quello confinante c’era il marito di Giulia sdraiato su un lettino, assopito. Lo distolgo dal torpore buttando là un saluto a cui risponde sollevando gli occhiali da sole e aprendo un solo occhio. Lei è apparsa salutandomi mi ha regalato un sorriso, indossava la maglia della notte precedente che le arrivava quasi a metà coscia, si è avvicinata ad una poltroncina, l’ha tirata orientandola verso me e vi si è accomodata. Ha sollevato le gambe poggiando i piedi alla seduta e poi, lentamente, le ha divaricate mostrandomi che sotto quell’unico capo di vestiario non indossava nulla, tranne se stessa. Mi ha guardato fisso negli occhi, le sue labbra si sono dischiuse in un sorriso malizioso. Alle sue spalle il marito aveva ripreso a sonnecchiare ignaro. Ho piegato un poco la testa annuendo e le ho sorriso a mia volta.

Milano e Torino non sono agli antipodi del globo. Ieri sera mi ha telefonato Giulia, questa settimana si fermerà in città tre giorni per questioni lavorative. E’ il motivo che mi porta, in questo Lunedì mattina, ad essere una delle tante formichine frenetiche che affollano la stazione. Il suo treno ha 10 minuti di ritardo vado a bermi un caffè per ingannare l’attesa. Un pensiero prende forma: “Chissà se indossa le mutandine?” mi chiedo mentalmente. Beh, non lo so, ma tra pochi minuti lo scoprirò.



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I vostri commenti su questo racconto
Autore: Nespolino61 Invia un messaggio
Postato in data: 02/10/2017 11:49:00
Giudizio personale:
Bel racconto....

Autore: DuexDue Invia un messaggio
Postato in data: 25/09/2017 09:43:06
Giudizio personale:
Ben scritto, bravo.


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