i racconti erotici di desiderya

Diario intimo viii capitolo

Autore: Muyhermosa
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Edito in queste pagine un tratto di pensieri e di vita sentimental-erotica che presento per la prima volta.



Pubblicata in anteprima sul mio blog personale: www.inpuntadicuore.blogspot.com sotto il titolo "Note discinte".











"Quanto sei bella...".



Finsi di non sentire il commento del mio maestro di pianoforte mentre studiava il mio profilo a distanza ravvicinata.



Consegnai la chiave della camera alla réception e lasciai detto di prendere tutti i messaggi telefonici che sarebbero arrivati in mia assenza.



Lui si portò una mano, chiusa a pugno, alla bocca, simulando un morso che lasciava intendere allusivo l'effetto che sortiva in lui la mia presenza.



"Smettila!", gli sorrisi imbarazzata quando furtivamente mi appoggiò una mano sul fondoschiena.



"Sai che ti dico?", mi mormorò ad un orecchio,



"Torniamo su e facciamo un bambino".



Gli lanciai un'occhiata obliqua, allontanando opportunamente la sua mano.



"Ma che cos'hai, eh? Hai un'aria strana...",



commentai osservandolo più attentamente.



"Stai bene?".



Lui rise piano.



"Andiamo, la macchina è qui davanti",



esordì prendendomi per mano,



in direzione delle porte girevoli.



"Alla fine non l'ho più parcheggiata".



Sprofondai sul sedile accanto alla guida e frugai all'interno della mia borsa alla ricerca degli occhiali da sole. Ma trovai altro.



La raccolta di poesie di Apollinaire, un libro neanche particolarmente voluminoso che non avevo idea come potesse esser finito lì, tra le mie cose. All'interno di una delle pagine qualcosa creava un dislivello, impedendo



una chiusura perfettamente aderente del libro.



"Qualcosa non va?", mi chiese il mio insegnante di musica, lanciandomi un'occhiata curiosa mentre faceva manovra per inserirsi nella corsia principale, che raggiunse dopo aver percorso la traversa oltre la quale ci ritrovammo a Piazza Duomo.



"No, tutto a posto", risposi evasiva, sfogliando le pagine fino a raggiungere e scoprire il misterioso segnalibri che, altro non si rivelò essere che una rosa gialla lasciata scivolare nella pagina della poesia che la sera prima l'istrionico scrittore aveva letto per me".



"Che cos'è?".



Richiusi immediatamente la copertina non appena l'uomo che mi era accanto si allungò per sbirciare.



"E' solo... vedi, è un libro".



Minimizzai facendolo scivolare nuovamente all'interno della borsa, mentre finalmente riuscivo a recuperare gli occhiali da sole



che inforcai fissando lo sguardo sulla strada.



"Davvero tu non ci pensi mai?",



mi domandò schiarendosi la voce mentre



mi indirizzava uno sguardo allusivo.



"A cosa dovrei pensare?",



chiesi a mia volta, non cogliendo l'allusione.



"A un bambino", mi rispose laconico,



"io qualche volta ci penso...".



Mi agitai nervosamente contro lo schienale del sedile:



"Ah, ma allora non scherzavi prima!",



constatai annaspando per rimettere a posto l'orlo della gonna.



"No, era per dire...",



commentò lui incolonnandosi alla fila di auto ferme nel traffico del centro.



"Io ho solo diciott'anni, nessun istinto materno... e tu sei sposato",



gli rammentai sospirando.



"Sì, ma quando facciamo l'amore...".



Mi lanciò uno sguardo d'intesa.



"Beh, finora non è successo", tagliai corto insofferente.



"Cos'hai lì?", si allungò per sbirciare oltre la chiusura della giacca rossa che lasciava intravedere il pizzo nero del reggiseno.



"Dài!", lo ripresi sorridendo nel momento in cui fece



scivolare due dita nell'incavo dei seni, scostando il tessuto dell'indumento intimo.



"Guarda che sei incorregibile!".



Lo vidi lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso



da impunito mentre lentamente avanzavamo nel traffico.



"Qui facciamo notte",



pensò spazientito ad alta voce.



Poi si appoggiò allo schienale e tornò



a fissarmi con aria complice.



"Fà vedere come sei messa sotto...", fece risalire l'orlo della gonna su per il ginocchio, fino a scoprire le autoreggenti color carne.



"Bella...", si lasciò sfuggire, la voce percettibilmente incrinata dal desidrio.



"Mi fai impazzire... lo sai, vero? Mi eccito ogni volta che ti guardo...".



Mi inarcai con un sospiro alla sua mano che s'insinuava, accompagnandola con la mia, mentre sentivo il suo tocco schiudermi le gambe.



Avvertivo il suo respiro crescere mentre armeggiava sotto la mia gonna, sfregandomi fra le cosce movimenti sempre più rapidi e concitati.



"Sei morbida come una bambina...",



il suo respiro sempre più affrettato,



"e bagnata come una femmina",



concluse cercando le mutandine



oltre le quali raggiungermi.



"Finiscila, siamo in pieno centro!",



lo ripresi in uno sprazzo di lucidità,



tentando invano di allontanare la sua mano,



ma in quel'istante mi fu dentro



e abbandonarmi contro lo schienale



fu tutto ciò che riuscii a fare, flettendomi



ed inarcandomi agli spasmi che mi procurava.



Si serviva del braccio sinistro per arrivare al cambio,



accelerava, poi rallentava,



a cinquecento metri dal semaforo che ci avrebbe



liberati da quell'inferno.



"Tranquilla, nessuno può accorgersi di niente",



mi rassicurò bagnandosi dei miei umori.



"E a me fa impazzire tenerti così...",



mi confidò inumendomi le labbra con la lingua



e raccogliendo subito l'invito della mia bocca a un bacio più profondo.



Oltrepassato il semaforo imboccò



la prima a destra e, percorsi all'incirca



altri duecento metri, fermò la macchina



lungo il marciapiede.



"Guarda che qui è divieto di sosta",



gli feci notare passandomi una mano sul viso accaldato.



Lui aprì la portiera e,



prima di uscire dall'abitacolo, mi rispose:



"E a me che me ne fotte?".



Fece il giro dell'auto, mi aprì lo sportello



e mi tirò fuori afferrandomi per una mano.



Un portone aperto,



dove ci rifugiammo come due ladri,



poi l'ascensore.



Che si arrestò tra il secondo e il terzo piano.



Mi spinse contro un angolo mentre con una mano, senza guardare, mi aprì la giacca scivolando sotto la cintola della gonna e scese a toccarmi sotto il tessuto delle mutandine, intriso dei miei umori. Avvertii un movimento con l'altra mano e il rumore della zip dei pantaloni che scorreva: sentivo la sua erezione esercitare già una leggera pressione contro una natica.



Mi premette una mano sul seno e con un colpo di reni mi fu dentro; percepivo nitidamente i miei gemiti raggiunti dai suoi, sempre più forti.



Intanto, la sua mano continuava a giocare con il mio clitoride, i colpi si susseguirono ravvicinati e sempre più profondi: mi abbandonai, inarcata, contro il suo corpo teso, venendo una prima volta nella sua mano, con le gambe che sentivo cedermi e i suoi affondi incessanti, con l'orgasmo che ci esplodeva nella testa e tra le gambe a fiotti, inondandoci di piacere che ad investirci e a travolgerci si rivelò violento.



Mi lasciai cadere, scivolando ai suoi piedi; percepivo il suo respiro ansimante dissolvere e sovrastare tutto il resto nell'attimo in cui la sua mano affondò tra i miei capelli, abbandonandosi alle ultime contrazioni che lo portarono a godere ancora, questa volta più a lungo, tanto da strappargli un suono gutturale, come di un grido soffocato, mentre mi esplodeva sul viso, sacro ed osceno.



L'amore mio...



Rientrammo in albergo dopo aver pranzato in quel ristorantino all'angolo, dal quale venimmo via solo nelle prime ore del pomeriggio, quando tornammo in hotel affinché lui potesse riposare qualche ora, dopo una notte passata interamente al telefono e la decisione con le prime luci dell'alba, di prendere



il primo aereo per Milano e raggiungermi.



Gli lasciai perciò la precedenza della doccia e intanto, da sola, approfittai del silenzio e di un po' di tranquillità per leggere il messaggio che mi avevano consegnato alla réception, appena rientrata.



Il biglietto era scritto a mano e riconobbi subito la calligrafia,



sentendo istintivamente uno strano tonfo al cuore.



Lessi un numero di telefono, a seguire solo poche righe:



"Non lasciarmi. Dimmi che sono un pazzo, uno scriteriato...



ma non permettere



che lontano da te torni ad essere un uomo solo".



Subito dopo una sigla che stava per il nome dell'uomo che si firmava.



E quel rapido, improvvisamente naturale passaggio



dalla formalità del "lei" a un più confidenziale "tu",



che fino a quel momento non eravamo



stati capaci di concederci.



Mi voltai verso il comodino



e indugiai con lo sguardo sul telefono.



Strinsi il foglio di carta nella mano



e sprofondai il volto nel cuscino,



premendovi forte la faccia.



Sentivo l'acqua scorrere nella doccia



e la voce del solo uomo che fino a quel momento



avessi mai amato, intonare



un motivetto allegro.



Ignaro.



Tornai a sedermi sulla sponda del letto, questa volta



allungando un braccio fino a raggiungere la cornetta,



che parve sollevarsi da sola.



Lessi nuovamente il numero riportato



sul biglietto e lo digitai sulla tastiera.



Il primo squillo.



Al secondo feci per riattaccare,



ma sentì la sua voce



all'altro capo del filo rispondere:



"Pronto?".



E in quel momento qualcosa



mi fece desistere dal buttar giù.



"Ho appena letto il tuo messaggio", esordii con un filo di voce.



"Non so neppure perché ti stia chiamando...",



realizzai in quell'istante, ad alta voce.



"Laura...", parve quasi sorpreso di sentirmi,



come se avesse smesso di sperarci.



"E' da questa mattina....



da quando sono andato via che continuo



a ripensare a quello che sta succedendo...",



tentò di spiegarmi, la voce malferma per l'emozione.



"E' che sto male... male, Laura".



"Aggrapparti a me non farà di te un uomo meno solo", gli feci notare avvertendo nitidamente ogni sfumatura del suo dolore. E scoprendomi, a mia volta, più vulnerabile:"Mi è dispiaciuto vederti andar via in quel modo".



"Che altro potevo fare?", chiese percettibilmente scosso.



"Adesso facciamo una cosa",



propose dopo un profondo sospiro:



"Ci vediamo un'ultima volta, da persone adulte,



ci salutiamo come si deve e tu domattina



prenderai il tuo aereo, senza drammi".



Cercava di rassicurare me o di convincere se stesso,



mi domandai giocando nervosamente



con il filo del telefono.



"Ti prego, Laura - insistette in tono implorante -



è l'ultima cosa che ti chiedo".



Quando lui uscì dalla doccia indossava solo un asciugamano a cincergli i fianchi, scultoreo, era bello come un dio greco mentre, seduta sul letto, le mie braccia si aprivano per accoglierlo.



Si fermò davanti a me, passandomi una carezza lenta tra i capelli che percorse dalla radice alle punte, regalandomi uno dei suoi sorrisi più belli.



"Quanto ti amo", pensai ad alta voce, con gli occhi che sentivo inumidirsi di pianto.



"Ma... che cos'hai?", mi domandò prendendomi il viso tra le mani.



"Niente", sdrammatizzai addolcendo l'espressione con un mezzo sorriso.



"Sei l'uomo più importante della mia vita. La cosa più bella che abbia mai avuto".



"Che cosa dovrei dire io? - mi chiese alzando le spalle -



che m'innamoro ogni volta che ti guardo?".



Tutti i fantasmi svanirono.



Tutti quanti quando avvertii il calore delle sue braccia



lambirmi il corpo e avvolgermi,



insieme al profumo di sandalo che emanava



la sua pelle che mi invase le narici,



scoppiandomi nella testa e allontanando



ogni altra immagine.



"Come mai non ti sei ancora cambiata? Devi uscire di nuovo?",



mi domandò sprofondando sul letto, accanto a me.



"No", risposi in un sussurro, mentre le dita aprivano il primo



bottone della giacca, e il secondo, e il terzo...



"No, amore mio, non vado da nessuna parte",



lo rassicurai e mi rassicurai,



lasciando scivolare via i vestiti, lentamente:



lo baciai languida, mentre l'aderenza quasi perfetta



con il suo corpo manovrò le intenzioni



all'intensificarsi e al montare del desiderio



che iniziò a permearmi.



Nell'immagine riflessa nello specchio



situato in posizione laterale rispetto al letto,



vidi il mio corpo che si schiudeva



sopra di lui, liberandolo con un gesto



impaziente dall'asciugamano.



Cercai le sue mani e intorno alle sue dita



serrai le mie, sollevando piano il bacino



e ondeggiando in modo da sentire la sua erezione



premere contro una coscia.



Vedevo il seno, sopra di lui, alzarsi e abbassarsi in funzione del respiro e dell'eccitazione che mi rendeva liquida e bagnata, proprio dove ora lo sentivo invadermi, riversando la testa all'indietro e accogliendolo così dentro di me da percepire nel ventre la sua presenza, in un fremito di passione.



Sotto di me lo sentivo ansimare, gli occhi chiusi e le mani a muovermi i fianchi nell'attesa del mio corpo che, nel sospingermi verso lui, ad ogni affondo s'inarcava al piacere, le mani nelle sue serrate in una morsa d'acciaio, il rincorrersi dei nostri gemiti ad anticipare il culmine.



Lo sentii venire ripetutamente e ad intervalli ravvicinati quando strinsi i muscoli delle cosce per tenerlo fermo dentro di me e mi inarcai con la schiena, anticipandogli l'orgasmo, nell'istante in cui sentii il mio sul punto di esplodere nel suo.



Contrastai le sue spinte lasciandomi venire più volte, e intanto lo vidi sollevarsi e farmi scivolare con il bacino verso di sé, raggiungendomi nel punto più profondo, dove i suoi umori e i miei, ormai mischiati, mi allagavano le cosce, riportata alla realtà solo dal suo ansimarmi sul collo.



"Guarda che continuando così... io non so se ce la faccio",



mormorò piano, mentre il respiro tornava lentamente regolare.



Gli sorrisi languida, lasciandomi cadere sul letto.



"Vieni qui",



gli intimai, attirando la sua testa sul seno.



"Ho ritirato i biglietti in agenzia stamattina",



mi annunciò mentre gli posavo un bacio sulla fronte.



"L'aereo è alle undici in punta.



Nel pomeriggio scatta lo sciopero e avremmo rischiato di non partire più".



Annuii senza dir niente.



Solo una lacrima scese a rigarmi il viso.



E la ricacciai indietro con il dorso della mano,



prima che lui potesse vederla.



Tornai ben presto alla mia vita di sempre, Milano rimase un capitolo lasciato a metà al quale spesso mi trovavo a ripensare: qualunque cosa mi spingesse a ritornare con la mente verso quell'uomo, mi dicevo, con il tempo mi sarebbe passata.



Così come passarono i mesi e la vita riprese ad essere la solita, divisa tra gli impegni della scuola, le lezioni di pianoforte e ogni pomeriggio a casa mia, lui dentro di me e l'amore che era ormai l'imperativo delle nostre esistenze: non vivevamo d'altro e nessuno dei due sembrava accennare ad amare con un'intensità diversa rispetto al passato.



Era tutto amplificato, smodato, eccessivo... vibrante.



Come la prima volta.



Come se il tempo fra di noi non passasse e tutto rimanesse com'era sempre stato.



Meraviglioso.











continua---->>>

















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